lunedì 17 settembre 2012
Marc Augé sulla fine della Grande Narrazione liberale
di Marc Augé Corriere La Lettura 16.9.12
La crisi attuale non è semplicemente finanziaria. Né semplicemente
economica, politica o sociale. È al tempo stesso una crisi di coscienza
planetaria, del rapporto sociale e dei fini. La crisi di coscienza
planetaria riguarda il nostro posto nell'universo: sappiamo che viviamo
su un pianeta piccolo in un universo infinitamente grande; un pianeta
fragile, e che trattiamo male. Questa coscienza ecologica è un fatto
radicalmente nuovo nella storia dell'umanità. Ed è accentuata dalla
constatazione che il divario fra i più ricchi e i più poveri continua ad
aumentare nei Paesi sviluppati come nei Paesi «emergenti» e nei Paesi
sottosviluppati.
La crisi del rapporto sociale non è estranea all'ampliarsi di tale
divario, che può farci temere a termine un'esplosione di violenza. La
violenza è al centro di ogni crisi di dimensione sociale poiché, se io
non esisto senza gli altri, senza di me essi spariscono: il suicidio è
anche un modo di uccidere gli altri, non solo quando è commesso da un
kamikaze. L'immagine uniformatrice del pianeta diffusa dai media e le
possibilità offerte dalle tecnologie dell'informazione alimentano
l'illusione eccitante dell'evidenza e della trasparenza. Ci abituiamo a
vivere in un mondo dove crediamo di conoscere gli altri perché li
riconosciamo ogni giorno sui nostri schermi, un mondo che ci aliena con
le sue immagini come le religioni alienano i fedeli con i loro idoli.
Quando l'illusione si dissolve, la tentazione della violenza appare:
violenza contro di sé, contro gli altri, razzismi d'ogni genere.
La crisi dei fini si riassume in un paradosso. Mentre la scienza
progredisce a velocità esponenziale, tanto dal punto di vista
fondamentale che da quello delle sue ricadute pratiche, il divario fra i
protagonisti della scienza e la massa di chi non ha alcuna idea delle
sfide che essa comporta aumenta ancor più velocemente di quello dei
redditi. Lo scarto fra i Paesi implicati nella scienza e quelli che ne
sono lontani, e fra l'élite scientifica e i più svantaggiati nel campo
del sapere, si amplifica più rapidamente di quello delle ricchezze. Se
nei Paesi emergenti appaiono poli di sviluppo scientifico, al loro
interno le ineguaglianze in materia di istruzione e conoscenza sono più
rilevanti che nei Paesi sviluppati, dove tuttavia continuano a crescere.
Possiamo ipotizzare che il rifiuto di pensare insieme i problemi
dell'economia e dell'educazione sia la causa profonda dei nostri
fallimenti nei due campi. Dissociarli significa cedere alla grande
tentazione postmoderna: rifiutare di porsi la questione delle finalità.
Nelle situazioni di penuria attuali, è fatale che la priorità sia data
ai fini a breve termine e ai mezzi di realizzarli. Ma, al tempo stesso,
il fatto di sapere per quale fine si lavora o si studia è passato sotto
silenzio. È considerato una sorta di lusso, un sogno da intellettuale
idealista destinato ad altri sognatori, un sogno che bisogna presto
dimenticare per ripiegare alla svelta su sfide a breve termine. Come in
altri ambiti, la questione dei fini ultimi è abbandonata ai deliri
talvolta cruenti dei fanatici e dei folli.
La conseguenza non è di poco conto. Nel momento in cui si invocano
esigenze di produttività per giustificare riduzioni di effettivi che
comportano una diminuzione del potere d'acquisto, le politiche educative
sono sempre meno orientate verso l'acquisizione del sapere per il
sapere. L'orientamento avviene sempre prima e, negli ambienti
«economicamente svantaggiati», i ragazzi hanno una possibilità molto
bassa, se non nulla, di accedere a certi tipi di insegnamento.
Forse un giorno ricorderemo che l'unica finalità degli esseri umani è
imparare a conoscersi e a conoscere l'universo che li circonda. La
conoscenza è l'unico mezzo di riconciliare le tre dimensioni di ogni
uomo: simultaneamente individuale, culturale e generica.
Come si delinea oggi l'avvenire? La crisi segna forse l'atto di decesso
dell'ultima «grande narrazione», secondo l'espressione di Jean-François
Lyotard. L'ultima grande narrazione è la grande narrazione liberale che
Fukuyama si azzardò a chiamare «fine della storia». La fine della storia
era la constatazione dell'accordo ritenuto unanime sulla forma compiuta
del governo degli uomini, che si riassumeva nel combinare democrazia
rappresentativa e mercato liberale. Non è vero che ci dirigevamo verso
la democrazia universale così concepita. Nel mondo globalizzato in rete,
competenza scientifica, potere economico e potenza politica si
concentrano in alcuni punti nodali. Quella che apparirà, che è già
apparsa, all'orizzonte delle nostre aspettative, non è una democrazia
generalizzata alla terra intera, ma una oligarchia planetaria dominata
da tutti coloro che si collegano, in un modo o in un altro, alla sfera
del potere politico, scientifico ed economico, mantenuta e riprodotta
dalla massa di utilizzatori passivi che sono i consumatori costretti a
consumare, ma anche dalla massa immensa di tutti gli esclusi dal sapere e
dal consumo. L'esistenza di tre sfere sociali, con le loro tensioni e
contraddizioni interne, e l'enorme divario fra di esse in un universo
socio-economico in espansione che contrasta con la piccolezza del
pianeta: è ciò che la crisi ci ha rivelato o confermato in maniera
clamorosa.
A forza di ignorare il tempo, di chiuderci nell'illusione del presente
perpetuo, rischiamo di scoprire che la confusione attuale era solo la
premessa di uno sconvolgimento più radicale. Ho parlato di tre sfere
sociali, ma il termine «classe», nel linguaggio del secolo scorso, o
quello di «stato», nel linguaggio del XVIII secolo, sarebbero più
appropriati. Questi termini hanno comunque il vantaggio di ricordarci
che viviamo innanzitutto un cambiamento di proporzioni al quale il
nostro sguardo non è ancora abituato e di cui la crisi è una delle
conseguenze.
L'utopia di domani ha almeno trovato il proprio luogo: il pianeta in
quanto tale. Non possiamo ancora sapere se sarà nel bene o nel male, se
l'utopia nera dell'oligarchia planetaria si compirà o se, dopo un
capovolgimento storico imprevisto, grazie forse a qualche scoperta
scientifica di rilievo, si delineeranno nuove convergenze fra pensiero
dell'universale e azione politica.
(Traduzione di Daniela Maggioni)
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