mercoledì 24 ottobre 2012

La continuità dello Stato e la riabilitazione dei responsabili delle leggi razziali

<em>Baroni di razza</em>, di Barbara Raggi con l’introduzione di Pasquale Chessa

Raggi Barbara: Baroni di razza. Come l'università del dopoguerra ha riabilitato gli esecutori delle leggi razziali, Editori Riuniti

Risvolto
«Non appena si scava un pò sotto la superficie, si scopre che il numero dei “bravi italiani” al servizio della razza poteva forse essere scarso in relazione al totale della popolazione, ma non lo era affatto per la posizione occupata dalle persone coinvolte. Per sei anni intellettuali, docenti universitari, magistrati, avvocati e funzionari di basso e alto livello hanno prestato la propria opera agli apparati della propaganda e della persecuzione. L’incredibile fretta con cui, nel dopoguerra, ci si è precipitati ad

archiviare quanto accaduto tra il 1938 e il 1943, scaricando sull’alleato tedesco ogni responsabilità, ha impedito una vera presa di coscienza del passato e ha coperto, omettendoli, i nomi e i cognomi dei responsabili».
Baroni di razza, quasi un emblema scelto per titolo allo scopo di rappresentare il senso della ricerca di Barbara Raggi, non è solo un ben riuscito gioco di parole ma contiene, come il Witz freudiano, una verità rimossa dalla cultura civile, storica e politica, dell’Italia repubblicana. […] La discriminazione razziale messa in atto dal fascismo attraverso un complesso sistema di leggi e regolamenti che ha investito per 5 anni tutta la società italiana grazie all’azione degli apparati burocratici preposti alla loro applicazione, e nei seicento giorni di Salò strumento della persecuzione antisemita nel contesto della guerra civile, non ha trovato nella storiografia della transizione un adeguato rilievo. […] Baroni di razza riporta in luce dopo più di mezzo secolo procedure rimaste in ombra, poteri forti, storie sommerse e biografie salvate. […] L’indice dei nomi, oltre a confermare che negli archivi compulsati da Barbara Raggi i protagonisti della politica razziale del fascismo vi figurano ai massimi livelli del potere accademico e politico, da Acerbo a Pende, appunto, rivela anche inattese presenze e insospettabili compromissioni. […] Lascia un senso di amarezza lo «strabismo corporativo» di Guido Calogero… quando si legge la sua lettera del 1944 in difesa di Antonino Pagliaro, insigne linguista e glottologo. La biografia di Nicola Pende, la più esposta per storia e fama, non è la sola a dimostrare quanto sia centrale nell’algoritmo del potere delle «élite funzionali» la continuità delle «carriere». Gaetano Azzariti, per
nomina presidenziale, figura fra i primi 15 giudici insediati negli scranni più alti della Corte costituzionale al momento della sua nascita. […] Alla caduta del fascismo, quando entra nel primo governo Badoglio, troviamo Azzariti, in carica già dal 1938, alla presidenza della Commissione istituita presso il ministero per l’Interno, sinteticamente passata alla storia con la fosca definizione di Tribunale della Razza. […]. Il parametro migliore per misurare il maggiore pregio storiografico della ricerca di Barbara Raggi: aver introdotto il tema della persecuzione razziale nella storiografia della continuità dello Stato.

IL FOGLIO del 23/10/2012 LIBRI a pag. 3

La solerte riabilitazione dei docenti razzisti
di Michele Sarfatti Corriere 22.1.13

Il documento del luglio 1938 «Il fascismo e i problemi della razza», noto anche come Manifesto del razzismo fascista, ebbe dieci firmatari, tutti universitari. I loro nomi sono noti: Lino Businco, Lidio Cipriani, Arturo Donaggio, Leone Franzì, Guido Landra, Nicola Pende, Marcello Ricci, Franco Savorgnan, Sabato Visco, Edoardo Zavattari. Verrebbe spontaneo ritenere che, cessata la Seconda guerra mondiale, sconfitto il fascismo, debellato l'occupante nazista, abrogata la legislazione antiebraica e razzista, quei dieci studiosi siano stati, se non puniti, almeno espulsi, rimossi, allontanati dal sistema educativo italiano.
Barbara Raggi ha scritto il saggio Baroni di razza. Come l'università italiana ha riabilitato gli esecutori delle leggi razziali, (Editori Internazionali Riuniti, pp. 216, € 22,90) per comprovare e ricordarci che così non è stato. Che quei dieci e molti altri protagonisti italiani di vario livello dell'ideologia e della propaganda antisemita e razzista sono rimasti o rapidamente rientrati al loro posto di insegnamento e di ricerca, o comunque sono stati assolti, amnistiati, perdonati, restituiti a una incredibile condizione di sostanziale innocenza.
È accaduto che, nei singoli procedimenti di epurazione (prima e indipendentemente dall'amnistia generalizzata), di uno si tacquero o si declassarono gli articoli pubblicati sulla rivista «La difesa della razza», di un altro si omise la partecipazione all'Ufficio razza del ministero della Cultura popolare. Un terzo venne prosciolto già in istruttoria, senza che ce ne siano pervenute le motivazioni. Di altri si evidenziarono (a difesa) i soccorsi dati ad alcuni ebrei al momento della deportazione, come se l'antisemitismo non omicida cessasse di essere un delitto, un reato, una pugnalata inferta all'intera società.
Di tutti si negava o si taceva l'azione e/o l'intenzione razzista, sì che, verso la fine dell'illustrazione delle vicende individuali, così Barbara Raggi sarcasticamente sintetizza la situazione: «I docenti universitari italiani sono stati gli unici intellettuali europei ad aver manifestato il proprio dissenso contro le politiche antiebraiche, praticate negli Stati di cui erano cittadini, accettando di lavorare negli organismi che le promuovevano».
L'autrice si interroga anche su chi furono i riabilitatori di questi antisemiti. Alcuni erano fascisti e antisemiti come gli imputati. E difendevano loro per difendere se stessi. Molti erano mossi dallo spirito di casta: non volevano che questioni «esterne» all'università prevalessero sulle regole eterne del corpo accademico. Tra questi ultimi vi erano anche persone nettamente antifasciste, affette — scrive Raggi — da un vero e proprio «strabismo corporativo». Un professore (Cotronei) ammonì i colleghi della facoltà di Scienze della Sapienza che «un nostro voto di conferma al prof. Zavattari viene inevitabilmente ad avere il significato di un atto di solidarietà; significa in altre parole che noi non disapproviamo particolarmente dottrine della natura di quelle sopra ricordate», ma la discussione del Consiglio di facoltà si concluse con 11 voti a favore dello zoologo razzista, 7 contrari e una scheda bianca.
Tutto ciò ovviamente si innestò sulle strategie di difesa tecnica degli imputati e l'insieme produsse un altissimo risultato di permanenze o rapidi riaccoglimenti dei docenti antisemiti nel sistema educativo superiore (risultato che inoltre fu ben superiore a quello relativo al reingresso in servizio dei professori ebrei espulsi nel 1938, come è stato ricostruito da Roberto Finzi e altri storici). E questi pieni riaccoglimenti furono (e spesso sono tuttora) accompagnati da curricula e biografie mutile, colme di omissioni: come se essi non avessero mai agito con la testa e con la penna contro ebrei e neri.

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