lunedì 19 novembre 2012
La questione nazionale nella crisi del debito greco
Adottate le ricette europee: ma quanto sopporterà la società?
di Sergio Romano Corriere 19.11.12
Durante
il dibattito sul pacchetto di tagli e tasse per 13,5 miliardi di euro,
approvato dal Parlamento greco il 7 novembre, Alba Dorata, partito
dell'estrema destra nazionalista,
ha votato contro, come era prevedibile, e ha lasciato al suo portavoce, Christos Pappas, il compito di spiegarne le ragioni.
Christos
Pappas ha rievocato il drammatico incontro, nella notte fra il 27 e il
28 ottobre 1940, fra l'ambasciatore d'Italia Emanuele Grazzi e il Primo
ministro Ioannis Metaxas. Grazzi aveva svegliato Metaxas alle tre del
mattino e gli aveva consegnato l'ultimatum con cui l'Italia di Mussolini
chiedeva al governo greco di autorizzare l'ingresso di truppe italiane
nel suo territorio. La risposta non fu il «no» che i greci ricordano
ogni anno nel giorno — il 28 ottobre — che è oggi la loro festa
nazionale. Ma fu altrettanto esplicito: «Alors c'est la guerre», allora è
la guerra. «Così — ha detto Pappas — avreste dovuto rispondere alla
troika (i rappresentanti della Commissione di Bruxelles, della Banca
centrale europea e del Fondo monetario internazionale) quando vi ha
imposto le sue condizioni».
Metaxas era un dittatore, capo di un
regime che aveva preso a prestito formule e liturgie dell'Italia
fascista e della Germania nazista. Non è sorprendente che Alba Dorata si
appropri di quell'episodio per conferire maggiore dignità a se stessa e
una sorta di coerenza storica alla sua politica contro un governo
«servo dell'Europa». Ma nelle reazioni greche ai piani di risanamento
varati dalla coalizione di Antonis Samaras, il nazionalismo serve spesso
a coprire motivazioni meno nobili. Durante il dibattito parlamentare
sul pacchetto, gli impiegati della Camera hanno inscenato una
manifestazione contro il governo sostenendo che le loro funzioni non
potevano essere assimilate a quelle di altri «statali». Il governo ha
fatto un passo indietro ed è stato possibile continuare il dibattito
sino al voto. Ma nelle stesse ore un gruppo di poliziotti dimostrava
nelle vie di Atene con un cartello su cui era scritto: «Noi proteggiamo
quelli che ci proteggono».
Dietro l'orgoglio nazionale, quindi, vi
sono uno Stato ricattato dai suoi servitori e una straordinaria varietà
di interessi corporativi. A dispetto delle sue grandi tradizioni e della
vivacità intellettuale dei suoi cittadini, la Grecia è il Paese in cui
gli armatori (la maggiore industria del Paese) sono esentati dalle
tasse, l'evasione fiscale è uno sport nazionale, la percentuale del
lavoro nero supera quella italiana, la classe politica ha gonfiato gli
organici della pubblica amministrazione per ingrossare il proprio
elettorato e i ricchi mandano i loro soldi all'estero. Negli scorsi
giorni è stato processato per «violazione della privacy» (e
fortunatamente assolto) un giornalista che aveva avuto l'ardire di
pubblicare sul suo giornale online i nomi di duemila greci, titolari di
conti presso la filiale svizzera di una vecchia banca britannica (HSBC).
I duemila appartenevano a una lista di 24 mila clienti caduta nelle
mani di Christine Lagarde, allora ministro francese delle Finanze. Alla
signora Lagarde era parso utile farne dono al collega greco che aveva
trasmesso alcuni nomi alla sua polizia tributaria. Ma non appena il
ministero greco delle Finanze ha cambiato titolare, nel giugno del 2011,
la lista è rimasta in un cassetto. Il nuovo ministro era Evangelos
Venizelos, oggi successore di George Papandreou alla testa del Pasok, il
partito socialista che è passato dal 43,92% del 2009 al 12,28% delle
ultime elezioni. Venizelos si è battuto per l'approvazione del pacchetto
«tagli e imposte» e ha cacciato dal partito i deputati socialisti che
avevano votato contro il governo. Ma la vicenda dei duemila evasori
getta un'ombra sulla sua reputazione. Wolfgang Schaüble, ministro
tedesco delle Finanze, non ha torto quando dichiara, come all'ultima
riunione del Fondo monetario nello scorso ottobre, che i problemi della
Grecia «sono stati causati dalla Grecia e che tocca alla Grecia
risolverli».
Antonis Samaras, leader di Nuova Democrazia e presidente
del Consiglio dopo il breve intervallo «tecnico» del governo presieduto
da Lucas Papademos, sembra esserne consapevole. Ha evitato di cavalcare
gli umori anti-tedeschi del Paese, ha coltivato i rapporti con Angela
Merkel, ha presieduto alla preparazione di un pacchetto e di una legge
di bilancio, approvata dal Parlamento domenica scorsa, che corrispondono
ai criteri dettati dalla troika e dovrebbero consentire l'arrivo dei
fondi necessari per il rifinanziamento del debito. Ma la drastica
riduzione dei salari e i licenziamenti nella funzione pubblica (30 mila
nel 2013) hanno colpito tutte le fasce sociali e tutti i gradi della
pubblica amministrazione creando forti risentimenti. Per certi aspetti
si potrebbe sostenere che il governo Samaras è stato equo perché tutti i
greci sono responsabili dell'artificiosa euforia in cui il Paese ha
vissuto dopo l'adesione alla Comunità europea e, più tardi, dopo
l'adozione dell'euro. Ma il quadro generale è quello di una società
arrabbiata e delusa che non sa più come e su chi scaricare la propria
rabbia. Il rischio maggiore, paradossalmente, non è l'instabilità
politica. Alexis Tsipras, leader di Syriza (il partito che è giunto
secondo nelle elezioni dello scorso giugno) chiede il ritorno alle urne
per dare un senso alla propria politica di opposizione e presentare se
stesso come una credibile alternativa. Ma è alla guida di una
confederazione composta da tredici frazioni, di cui alcune sono
staliniste, trotzkiste, maoiste, anarco-sindacaliste. Sa che potrebbe
governare soltanto rovesciando interamente la sua linea e preferisce
lasciare che il problema, per il momento, resti sulle spalle di Samaras.
Il vero rischio è la piazza. Le misure adottate dal governo si
conformano alla ricetta prescritta dell'Europa e rispondono
effettivamente agli interessi del Paese nel medio termine. Ma
contribuiscono al crollo di una economia che ha già perduto, negli
ultimi anni, un quarto delle sue dimensioni. Quale è il grado di
sopportazione della società greca? Le dichiarazioni della Germania e
degli altri partner europei sono sempre, quali che siano le intenzioni
con cui vengono pronunciate, sbagliate. Quando la Germania dice che il
problema greco è un problema dei greci, le sue parole vengono usate per
evocare il ricordo della durezza tedesca ai tempi dell'occupazione.
Quando la stessa Germania dice che la Grecia deve assolutamente restare
nell'euro, le sue parole permettono a Tsipras di affermare che il
governo, se ne avesse il coraggio, potrebbe giocare le sue carte con
maggiore fermezza. In queste condizioni, se non verranno adottate misure
più coraggiosamente generose, il problema della Grecia potrebbe
diventare non soltanto politico ma anche e anzitutto umanitario. Ho
chiesto a un vecchio diplomatico se qualcuno, a Bruxelles, stia già
studiando un programma di assistenza alimentare e sanitaria per una fase
di turbolenta emergenza sociale. Non lo sa, ma è convinto che in questo
caso i soldi diventerebbero immediatamente disponibili: gli stessi
soldi che, se dati al momento opportuno, avrebbero potuto evitare il
peggioramento della crisi.
Sergio Romano
1 - continua
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