domenica 9 dicembre 2012
Per una storia materiale che eviti le alesinate
E il grano plasmò l'uomo
Grande fonte di civiltà ma anche di conflitti Società e frumento si sono modificati a vicenda
di Telmo Pievani Corriere La Lettura 9.12.12
Nutre
un quinto del pianeta, secondo per produzione solo al mais e al riso.
Ha un genoma molto più grande del nostro, perché viene dalla fusione di
tre piante diverse, una erbacea e due graminacee. Questo ircocervo
genetico non ha mai smesso di evolversi col suo addomesticatore, la
specie umana. È il grano, nato da qualche parte tra il Tigri e
l'Eufrate, e forse anche sugli altipiani del Corno d'Africa, quando i
cacciatori raccoglitori umani iniziarono a selezionare inconsapevolmente
alcuni mutanti delle specie selvatiche di frumento.
Dal pane alle
paste, dall'amido all'alcol, dalla paglia alla crusca, è una manna per
agricoltori e allevatori. Si macina, si fa fermentare, ci si
costruiscono ripari. Non è difficile immaginare perché molti popoli lo
venerassero come un dio. Quando nacque (la fusione genetica si concluse 8
mila anni fa, ma secondo le ultime datazioni la domesticazione cominciò
almeno due millenni prima), si diffuse rapidamente tra la Persia e
l'Anatolia, il Caucaso e l'Etiopia. La mappa dell'arrivo del grano in
Europa sembra una marcia di conquista inarrestabile e coincide, secondo
le tracce genetiche, con l'arrivo di popolazioni neolitiche dal Medio
Oriente. Queste in alcuni casi soppiantarono i gruppi preesistenti e in
altri si mescolarono ad essi, diffondendo per via culturale le pratiche e
le tecniche agricole. Qualcosa di analogo accadde nella valle
dell'Indo.
Oggi sappiamo però che questa epopea eurocentrica non è
tutta la storia. Grazie a scoperte recenti si è appurato che la
«rivoluzione agricola» è stata preceduta da un lungo periodo di
sperimentazioni, durante il quale le tribù di cacciatori raccoglitori
impararono a lavorare le piante a scopi alimentari. Nel sito di
Bilancino, nel Mugello, come anche in Russia e Repubblica Ceca, sono
state trovate evidenze (macine e pestelli con tracce di granuli di
amido) della macinazione di radici, fusti e foglie per l'estrazione di
farine vegetali (in particolare dalla tifa) risalenti addirittura a 30
mila anni fa.
Inoltre la domesticazione di piante e animali non
avvenne soltanto in Medio Oriente. Cominciò in più luoghi della Terra
indipendentemente, forse persino sei o sette volte in un periodo
compreso tra 12 mila e 7 mila anni fa, finito il grande freddo
dell'ultima glaciazione: in Estremo Oriente con il riso e il miglio; in
Nuova Guinea con la canna da zucchero e la banana; in Africa con il
sorgo e il caffè; in America centrale con il mais e i fagioli; sulle
Ande con patate e manioca. La clemenza del clima sprigionò nuove
possibilità. Quando le condizioni sono favorevoli, una popolazione umana
può infatti aumentare grandemente in poche generazioni, e probabilmente
fu lo squilibrio fra il numero degli esseri umani e il cibo disponibile
in natura a promuovere lo sviluppo di agricoltura e allevamento. Si
iniziarono così a coltivare alcune delle piante di cui già ci si cibava
allo stato selvatico e ad allevare i più miti fra gli animali cui prima
si dava la caccia. A questo punto agricoltori e nomadi si incontrarono e
si scontrarono più volte, soprattutto nell'Africa centro-meridionale
con l'espansione dei bantù a scapito dei cacciatori raccoglitori.
In
questa pluralità di storie, il frumento fu forse il primo in ordine di
tempo e senz'altro il più fortunato. La disposizione del continente
euroasiatico, che da ovest a est comprende un'ampia fascia climatica
temperata, facilitò la diffusione delle specie animali e vegetali, la
loro domesticazione e lo scambio di tecnologie fra le diverse culture.
Lo stesso fenomeno non si verificò nei continenti disposti da nord a
sud, come le Americhe, perché le accentuate variazioni di clima e di
vegetazione alle diverse latitudini impedirono tale diffusione,
frapponendosi come barriere ecologiche. Il resto lo fecero le
contingenze storiche: in alcune regioni dove vi sarebbero state
condizioni favorevoli, come in Sudafrica e in Cile, la rivoluzione
agricola non avvenne.
La posizione geografica non fu l'unico
vantaggio del grano, perché, grazie all'autoimpollinazione, è anche tra
le specie più semplici da selezionare artificialmente. È così flessibile
da poter essere seminato prima dell'inverno in certe varietà, in marzo
per altre. Si è adattato a ecosistemi assai diversi, fin nei Paesi
nordici. Insomma, in fatto di malleabilità è il perfetto compagno
dell'uomo e dei roditori, specie cosmopolite e invasive.
All'olivo e
al grano, facilmente immagazzinabile, dobbiamo le prime civiltà urbane,
l'inizio della proprietà privata, il commercio (e l'uso della scrittura
che ne deriva), le prime città di Çatal Hüyük, di Tell es Sultan e di
Gerico. Questo cereale ha plasmato dunque profondamente le nostre prime
società, al punto che diventa controverso stabilire se sia il grano a
essersi adattato a noi oppure il contrario. In ogni caso, l'Homo sapiens
si trasformò in una specie culturale anche grazie a questa convivenza
biologica. E qui cominciano i paradossi dell'amico frumento, perché
l'accumulo di beni che esso permette ha generato pure la necessità di
difendere i territori, di espandersi, di fare la guerra. L'aumento
demografico innescò nuove diffusioni di popoli, colonizzazioni e
conflitti.
Uscendo da una città, un campo di grano prima della
mietitura ci sembra oggi un paesaggio «naturale», il condensato di tutto
il bene che deriva dall'essere «biologico». Ma è un errore di
prospettiva. Quella distesa di spighe dorate è il frutto di migliaia di
tentativi di incrocio falliti, di selezioni incidentali di mutanti, di
esperimenti improvvisati e di manipolazioni. La spiga più grande e senza
dispersione dei semi è il risultato di un sistema che produce molto più
di quanto sarebbe spontaneo fare, al fine di soddisfare le esigenze di
un primate di grossa taglia particolarmente affamato. Quest'ultimo ha
l'abitudine, dopo un po', di considerare naturale ciò che ha lungamente
fabbricato.
La tentazione di attribuire alla natura un'autorità
morale — in quanto buona, armoniosa, saggia dispensatrice di vita — fa
parte del nostro corredo cognitivo contemporaneo, oltre che dei nostri
sensi di colpa. In realtà, stando al suo successo mondiale, il grano ci
ha addomesticato ben bene, usandoci come veicolo di diffusione. Quello
coltivato è ormai così diverso geneticamente che spesso non si riesce
più a incrociarlo con alcune forme selvatiche. Tra grani teneri e grani
duri, ibridando, selezionando e talvolta creando mutanti con
bombardamenti di raggi X, abbiamo prodotto migliaia di varietà. Sarebbe
utile dare meno importanza alle categorie di naturale e artificiale, per
concentrarsi maggiormente su quelle di economicamente giusto e
ingiusto.
Anche la pelle chiara potrebbe essere connessa
all'alimentazione a base di cereali: questa di per sé sarebbe povera di
vitamina D3 (necessaria per la mineralizzazione delle ossa), ma nel
frumento è presente un precursore della vitamina D, l'ergosterolo, che
si converte nella vitamina sotto l'azione dei raggi solari, che
traversano la pelle e raggiungono il sangue tanto più facilmente quanto
più essa è chiara. Oltre alla ridotta insolazione, questo fatto deve
avere favorito, fra gli agricoltori che colonizzarono l'Europa, le
mutazioni che portarono un colore di pelle più chiaro. Sembra proprio
che l'uomo e il grano si siano per millenni selezionati a vicenda.
A
proposito, alcuni nel grano vedono talvolta persino dei cerchi. Ma è uno
scherzo del vento, di un buontempone, o di una qualche dea del pane che
da dodici millenni benignamente ci strizza l'occhio.
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Alberto Alesina La Lettura 9 dicembre 2012
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