martedì 22 gennaio 2013

La metafisica dal punto di vista della filosofia analitica



Con tutta la noia che ne consegue [SGA].

David Malet Armstrong: Ritorno alla metafisica. Universali-Leggi-Stati di fatto-Verità, Bompiani, pagg. 2016, euro 40

Risvolto
Sono qui raccolti in un unico volume, tradotti e commentati, i principali testi del filosofo analitico David M. Armstrong (nato a Melbourne nel 1926) con l’intento di offrire al lettore un quadro completo della sua metafisica sistematica, a partire dal fondamentale studio sul problema degli universali, Universali e Realismo Scientifico (1978). Il volume contiene inoltre Cosa è una legge di Natura? del 1983, e i più recenti e organici Un Mondo di Stati di fatto (1997) e Verità e Verificatori (2004). Nel testo del 1978 Armstrong espone e difende le tesi principali del suo realismo degli universali. Egli sostiene che gli universali non hanno una realtà trascendente, ma sono calati nello spazio-tempo e connessi da un legame fondamentale con i particolari; per questo dichiara che il suo realismo si inserisce a pieno titolo in una tradizione di matrice “aristotelica”. Ma il suo è anche un realismo di tipo “scientifico”, in quanto sostiene che le proprietà e le relazioni, cioè gli universali, che costituiscono la natura propria degli oggetti non debbono essere ricercati e scoperti dalla filosofia, ma dalle scienze nel loro complesso. Alla filosofia spetta il compito di individuare le strutture di base del mondo, le “pepite” di cui esso è composto. E la struttura ontologica di base consiste nell’insieme di un particolare con un universale, entità che Armstrong chiama, seguendo la terminologia del Tractatus di Wittgenstein, “stato di fatto”. Il cemento dell’universo è dato poi dalla rete delle leggi di natura, considerate da Armstrong anch’esse universali, cioè relazioni fra universali. Decisiva si rivela poi nell’ultimo testo del 2004 la funzione che gli stati di fatto svolgono per la validità della nostra conoscenza: sono essi che nel mondo “corrispondono” alle nostre proposizioni vere, venendo a coincidere con quelli che Armstrong chiama “truthmakers”, cioè “verificatori”.

David Malet Armstrong (Melborune 1926), professore emerito dell’Università di Sydney, è unanimemente riconosciuto come il massimo filosofo australiano. Considerato fra i più eminenti metafisici contemporanei di tradizione analitica, con A Materialist theory of Mind, (New York, 1968) ha anche fornito un contributo alla filosofia della mente fra i più importanti del Novecento.


Guida metafisica alla realtà

Tradotta l’opera del filosofo australiano D. M. Armstrong

di Franca D’Agostini Repubblica 21.1.13

Un antico aneddoto taoista racconta che un tizio chiese a un saggio: «che cosa è la realtà?», e il saggio rispose dandogli un pugno in faccia. Evidentemente, il saggio aveva due obiettivi. Il primo era segnalare che la realtà è appunto pugni in faccia: è ciò che urta i sensi, la vita, i pensieri degli esseri umani, e su di essa non c’è granché da dire, c’è piuttosto da “sentirla”, e “viverla”, e se è il caso riferirne in modo veritiero. Il secondo era rendere noto al visitatore che la domanda era importuna, se non implicitamente offensiva: tu chiedi «che cosa è la realtà?», ed è come se chiedessi: «con quale bastone picchi tua moglie?».
Ora il saggio era visibilmente un antimetafisico (più che un antirealista), ossia una persona che ritiene che la domanda sulla realtà non abbia risposte teoriche (che non siano ovviamente le risposte particolari ed empiriche della scienza); oppure: che sia una domanda insensata, mal formulata, o di per sé fuorviante (come appunto le domande multiple sottilmente denigratorie: non hanno risposta, e offendono chi le riceve).
La prima posizione è tipica dei neokantiani, e di coloro che ad essi più o meno direttamente si sono ispirati. La seconda è tipica dei neopositivisti, in una certa epoca. Il saggio si era formato presumibilmente a Marburgo, o a Vienna. Il divieto neokantiano e neopositivista di occuparsi di metafisica, ossia di indagare la natura della realtà con strumenti che eccedono quelli della scienza empirica, e di chiedersi come sia fatto, realmente, ciò che chiamiamo “esistente” o “reale”, ha agito pesantemente nella tradizione filosofica, tanto analitica quanto continentale. Tanto è vero che ancora oggi c’è chi associa alla parola “metafisica” l’idea di una ricerca insensata o mistica, che rincorre vanamente la trascendenza e prende sul serio i sogni dei visionari, oppure
vuole sostituirsi alla scienza nell’indagare i fenomeni.
Ma da alcuni decenni è in atto una controtendenza, specie nella filosofia analitica, dove la metafisica, di nome e di fatto, è decisamente rifiorita. In Italia ne ha dato conto Achille Varzi, in varie opere, e in modo definitivo con la raccolta Metafisica. Classici contemporanei (Laterza, 2008). Qui si vede bene anzitutto che la metafisica contemporanea ha trovato negli strumenti della logica moderna (proprio quelli elaborati dalla tradizione nominalmente più antimetafisica) nuove risorse di metodo: tanto che si potrebbe parlare di una vera e propria “rinascita della metafisica dallo spirito della logica”. E si vede bene anche che la scienza non è una rivale della ricerca filosofica sul reale, ma anzi, oggi come sempre, ha bisogno di metafisica, ossia riflessione critica sui concetti fondamentali di cui si serve (tempo, spazio, causalità, movimento, ecc.).
Un contributo importante al metaphysical turn è stato offerto dal realismo australiano, una prospettiva che inizia a profilarsi negli anni Settanta dello scorso secolo, e il cui massimo esponente è David Malet Armstrong. Nato a Melbourne nel 1926, e autore di opere straordinariamente influenti, Armstrong è piuttosto noto in Italia tra i filosofi, ma ad oggi non esistevano traduzioni italiane dei suoi libri. Va dunque accolta con favore la pubblicazione delle principali opere metafisiche di Armstrong, tradotte da Annabella d’Alatri, con il titolo complessivo Ritorno alla metafisica (Bompiani, pagg. 2016, euro 40).
L’edizione comprende i due volumi del 1978 sul realismo scientifico, in cui l’autore con una mossa per allora sorprendente mostrava che la scienza non soltanto non è contraria all’esistenza di entità universali, vale a dire le proprietà delle cose, come “rosso”, “alto 6 metri”, “ruvido” (le quali sono condivise da tutti i rossi, o alti 6 metri, o ruvidi, che ci capita di incontrare), ma addirittura lavora con gli universali, studiandone i rapporti ed esprimendo questi ultimi nelle formule delle leggi di natura.
Le tesi sono riprese poi nelle opere successive, e la raccolta include anche What is a Law of Nature?, del 1983, A World of States of Affairs, del 1997, e Truth and Truthmakers, del 2004. (Mancano solo Universals del 1989 e Sketch for a Systematic Metaphysics, del 2010). È particolarmente felice la decisione di includere il testo a fronte, perché il lettore possa apprezzare lo stile di Armstrong: stile tipicamente “australiano”, per la natura diretta, risoluta, e argomentativamente stringente. Di fronte all’importuna domanda «che cosa è la» realtà? », la risposta di Armstrong è di aristotelica semplicità: la realtà è fatta di “stati di cose”, ovvero combinazioni di entità particolari con le loro proprietà universali. Gli stati di cose, o fatti, sono ciò che rende vero (o falso) quel che diciamo.
Troppo semplice? Solo in apparenza: le implicazioni di questo ritorno in grande stile di Aristotele sono inaspettate, e di importanza cruciale. D’altra parte, come sosteneva un altro metafisico contemporaneo, David K. Lewis, compito dell’analisi filosofica non è complicare le cose, ma rendere ragione della loro semplicità: chiarire perché dall’estrema e aggrovigliata complessità del mondo deriva la nostra straordinaria capacità di conoscere la realtà, e darne conto in modo utile e veritiero.

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