giovedì 17 gennaio 2013
Su MicroMega un inedito di Günther Anders
Chi non è proletario alzi la mano
Una condizione che non riguarda più soltanto una classe ma tutti gli uomini: un inedito di Günther Anders
Günther Anders, pseudonimo di Günther Stern (Breslavia, 1902 – Vienna, 1992) La Stampa 17.1.13
IL NUOVO PROLETARIATO
Non è più definito dagli standard di vita, ma dalla mancanza di libertà: nessuno si può salvare
CHI VA ALLE URNE
Non vota in qualità di «uomo libero» ma di uomo manipolato da media a loro volta manipolati
Non
è corretto decretare la fine del proletariato perché non ci sarebbe più
alcun proletario, quanto semmai perché oggi difficilmente si troverebbe
ancora qualcuno che non lo sia. Il significato di quest’affermazione,
che inizialmente può suonare assurda, risulterà chiaro soltanto qualora
si stimasse come criterio per definire il proletariato non tanto lo
standard di vita, bensì quello di libertà. In tal guisa sarebbero da
considerarsi proletari non solo tutti gli operai, i dipendenti e gli
impiegati pubblici, sebbene possiedano un’auto propria e addirittura la
libertà di scegliere la marca, e benché viaggino ogni anno con l’aereo
verso Maiorca o la Thailandia; ma anche i presunti «lavoratori
autonomi».
Né i fisici, né gli inventori, né gli ingegneri (per non
parlare degli imprenditori costretti a scegliere i loro prodotti in base
ai rapporti di mercato) si realizzano per mezzo delle loro attività. O
si può forse parlare di «autorealizzazione» quando un ingegnere progetta
modelli di alcune parti di macchina, di una determinata macchina, che
dovrebbe a sua volta contribuire alla produzione di un’arma atomica?
Quest’ingegnere – e con lui il 99% dei suoi colleghi – vive e lavora
altrettanto ciecamente di un operaio non-qualificato, il quale, senza
sapere a quale scopo, senza che si interessi allo scopo, senza che se ne
possa o debba interessare, spinge su e giù una levetta mille volte al
giorno, eseguendo sempre lo stesso movimento. [...]
Il nostro
essere-proletari consiste nella totale manipolazione della nostra vita,
che insidia perfino il mondo e il tempo del nostro ozio e che non
consente più a nessuno, neppure a colui che manipola, di riconoscere la
propria illibertà. In altre parole: l’illibertà oggi consiste nella
totale discrepanza, nella totale mancanza di relazione fra il lavoratore
e il prodotto che egli rielabora; fra ciò che fa e l’effetto che
contribuisce a provocare o, meglio, di cui è corresponsabile; fra ciò
che gli viene venduto come piacere e la felicità che invero gli spetta.
Ma non esistendo più il proletariato in quanto «classe» secondo il
significato classico – perché oramai tutti appartengono a questa
categoria di schiavizzati – viene altresì meno ogni possibile discorso
sulla «lotta di classe». E sarebbe altrettanto insensato presentarsi
oggi come avanguardisti di una classe che non esiste più; e ripetere
ancora il motto «proletari di tutto il mondo, unitevi! ».
Il
lavoratore – ma, come vedremo fra poco, non soltanto lui – malgrado il
suo diritto di voto, la sua adesione al sindacato ecc., è totalmente
privo di libertà, ossia un proletario, per la ragione seguente: non ha
la libertà di partecipare alle decisioni su quale prodotto deve creare –
o meglio, contribuire a creare; non viene mai consultato sulla
questione se i prodotti che egli contribuisce a creare (e gli effetti
apocalittici che questi possono comportare) debbano essere in generale
creati, oppure no. Così l’Unione Sovietica ha fatto erigere un gran
numero di centrali nucleari senza concedere la libertà di discutere dei
rischi impliciti in simili progetti. Anche la maggior parte delle grandi
potenze industriali dell’Occidente ha fatto costruire le centrali senza
consultare i cittadini interessati o le popolazioni minacciate da esse;
anzi, senza che le popolazioni potessero accedere a informazioni
adeguate per essere anche soltanto nelle condizioni di votare. Hanno
piuttosto prodotto (con l’aiuto dei lavoratori naturalmente) la
disinformazione mirata e sistematica e l’ignoranza della popolazione. I
cosiddetti «responsabili» inoltre, dopo aver fatto costruire gli
impianti dei reattori fino a una certa altezza, hanno poi sostenuto che
lasciar cadere in rovina progetti sui quali il popolo aveva già
investito così tanto capitale e lavoro sarebbe stata un’irresponsabile
disgrazia per l’economia della nazione e il diritto al lavoro di ogni
cittadino.
Sembra che ogni cittadino, per il semplice fatto d’aver
delegato la sua voce, o meglio, la sua opinione, a un rappresentante,
partecipi così, quantomeno indirettamente, alle decisioni cruciali. Ma
il cittadino che si reca alle urne, un atto che garantisce solo
un’apparente libertà, non vota affatto in qualità di «uomo libero», ma
di un uomo che è stato manipolato e convinto dai mezzi di comunicazione
(già a loro volta manipolati). La sua opinione, che l’opinione che
esprime o delega sia davvero la sua, gli è stata in realtà indotta. La
parola «opinione» (nonostante il famoso gioco di parole di Hegel) non ha
nulla a che fare col possessivo «mio». Anziché dire «chi si esprime
[der Meinende] possiede un’opinione [Meinung]», dovremmo dire:
«l’opinione possiede chi la esprime». Sempre che si possa ancora
chiamare opinione quel che egli «possiede» (per non parlare di quel
giudizio che si fonda su una conoscenza specifica).
Ciò che il
presunto libero cittadino «possiede» e che lascia esprimere dai suoi
rappresentanti è piuttosto un’ignoranza creata (da persone interessate)
attorno alla materia che si sta discutendo; un’ignoranza che non si
presenta soltanto come opinione, ma come se si trattasse di un fondato
giudizio di esperti. Alla creazione e alla diffusione di questa
ignoranza – è il coronamento del presunto processo democratico –
contribuiscono gli stessi lavoratori o dipendenti (come addetti alla
distribuzione del, per esempio). Anche l’auto-istupidimento è un lavoro,
per il quale il lavoratore non soltanto si fa pagare: egli addirittura
lo rivendica come se fosse un prezioso diritto.
In altre parole: il
lavoratore – in Unione Sovietica come negli Stati Uniti – non ha la
minima libertà decisionale su ciò a cui deve lavorare. E non possiede
ancora la libertà di sentire la mancanza di questa libertà. È talmente
privo di libertà che è un proletario.
[Traduzione di Devis Colombo]
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