Miguel de Unamuno:
In viaggio con Don Chisciotte, a cura di Enrico Lodi, Medusa
Risvolto
Il volume raccoglie un insieme di saggi brevi e di articoli
scritti dal grande intellettuale e scrittore spagnolo sull’opera di
Cervantes. Era un progetto che lo stesso Unamuno voleva realizzare e non
ebbe poi il tempo di condurre in porto. Si presenta come una raccolta
organica che, accanto al celebre Vita di Don Chisciotte e Sancio (1905),
completa per il lettore italiano il panorama delle importanti ricerche
di Unamuno sul mito più grande della letteratura spagnola, che Milan
Kundera, nella sua Teoria del romanzo, pone come fondamento del romanzo
moderno. La raccolta, a cura di Enrico Lodi, comprende il saggio “Il
cavaliere della triste figura” del 1896, mai tradotto finora, dove
Unamuno confronta le descrizioni che ritraggono Don Chisciotte nel
romanzo con i ritratti che i pittori moderni ci hanno dato dell’antieroe
di Cervantes. Tra baffi cadenti e riflessioni sulla possibile bruttezza
del personaggio di Cervantes, lo scrittore torna sul tema che gli sta
più a cuore: il valore universale di questo mito.
«i saggi brevi e gli articoli che Miguel de Unamuno ha dedicato, nel corso della sua vita, a uno dei pilastri letterari dell’Occidente moderno, al capolavoro che lui stesso ha chiamato in diverse occasioni la “bibbia nazionale” iberica o, a seconda del suo intento interpretativo, “l’opera universale” della letteratura: il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes.
In viaggio con Don Chisciotte, quindi, pur non esistendo come volume a sé nella ricchissima bibliografia di Unamuno, dà coesione a uno dei suoi sforzi critici più importanti e prolungati, e va così ad accostarsi all’altro grande lavoro che il nostro filosofo ha svolto sullo stesso argomento, ovvero a quella “Vita di Don Chisciotte e Sancio Panza” (1905) che, nelle parole dello stesso Unamuno, “più di ogni altra, ha riscosso il maggior favore tra il pubblico dei miei lettori”».
Il filosofo spagnolo studiò per anni l’eroe di Cervantes Ora un libro raccoglie i suoi saggi mai tradotti
Siamo tutti Don Chisciotte
Unamuno e l’Hidalgo, il nostro viaggio verso la saggezza della follia
di Roberto Esposito Repubblica 23.1.13
Quando,
il 12 ottobre 1936, alla cerimonia di apertura dell’anno accademico
dell’Università di Salamanca, un generale franchista pronuncia in
maniera sprezzante il motto della Legione Spagnola «Viva la morte»,
Miguel de Unamuno, rettore di quell’Università, gli risponde a muso duro
«Viva la vita». Così, dopo essersi opposto alla monarchia, e poi alla
dittatura di Primo de Rivera, pagando queste scelte con l’esilio, egli
rompe anche con il regime cui in un primo momento si era avvicinato. Ma
tale riferimento alla vita, al di là del significato politico che
assumeva in quel contesto, può essere assunto come l’epicentro semantico
dell’intera attività di uno dei più significativi intellettuali europei
del primo Novecento.
Narratore, drammaturgo, poeta, autore di
testi filosofici come Del sentimento tragico della vita e Agonia del
cristianesimo, egli è noto soprattutto per l’appassionato commento al
Don Chisciotte, considerato il suo capolavoro. Mancava, però, ancora un
volume che raccogliesse i suoi interventi, scritti lungo quasi un
quarantennio, sul grande libro di Cervantes che egli stesso considerava
come la Bibbia nazionale degli spagnoli.
Questo vuoto è ora
riempito dalla pubblicazione, egregiamente curata da Enrico Lodi per
l’editore Medusa, di una ampia scelta di suoi saggi e articoli con il
titolo In viaggio con Don Chisciotte.
Essa comprende un testo,
come quasi tutti gli altri, mai tradotto finora, Il cavaliere dalla
triste figura. Saggio iconologico — in cui l’autore confronta le
descrizioni di Don Chisciotte presenti nel romanzo con i ritratti che i
pittori gli hanno poi dedicato. Già in esso si profilano i tratti di
un’interpretazione magistrale, che oltrepassa i confini tradizionali
dell’ermeneutica, per configurarsi come un vero corpo a corpo con il
proprio oggetto d’analisi. Egli stesso sempre in lotta con se stesso,
diviso tra ricerca della concretezza ed aspirazione all’universale,
Unamuno proietta questa contraddizione sul Cavaliere Solitario,
facendone un simbolo vivente non solo dell’anima spagnola, ma anche
dell’uomo contemporaneo, sospeso tra angoscia e fede. Contro
l’accademismo erudito di quelli che chiama “masoreti” — come i rabbini
interpreti delle Sacre Scritture persi dietro minuziose ed inutili
ricerche filologiche — Unamuno cerca la perenne attualità del Chisciotte
nel contrasto che lo oppone a se stesso, sdoppiando la sua esistenza
tra la saggezza inerte di Alonso Quijano e la follia utopica del suo
stralunato alter ego.
Contrariamente ai buoni propositi del primo,
è proprio lo sguardo stravolto e allucinato del secondo a gettare un
inedito fascio di luce sulle cose, riscattandole dalla loro
insignificanza. Solo dimenticando la propria identità, sacrificata alla
più sublime delle follie, egli ritrova il significato profondo della
vita aldilà della linea del nulla che, prima o poi, è destinata ad
avvolgerci tutti. È perciò che la sua figura allampanata, i suoi baffi
spioventi, il suo naso aquilino, tutt’altro che emblemi luttuosi,
traducono una estrema energia vitale. Lo stesso culto della morte, che
si è voluto vedere nell’anima spagnola, piuttosto che attestare un
distacco nei confronti della vita, ne determina la continua ricarica.
Come appare dal sorriso tragico dell’hidalgo, quella malinconia non è
che la faccia in ombra di una ricerca di immortalità destinata ad esser
sempre delusa, ma perciò anche rinnovata. In questo senso Unamuno può
richiamare perfino l’idea, diversamente declinata da Spinoza e
Nietzsche, che la vita ha una inestinguibile tendenza a perseverare nel
proprio stato ed anzi a potenziarsi. Nonostante le sconfitte che
sperimenta, Chisciotte incarna questa potenza storica, capace di
restituire alla Spagna un primato spirituale che da secoli ha perduto.
Per cogliere il senso di tale affermazione, che Unamuno contrappone al
parere di chi ne sottolinea la decadenza culturale e civile, bisogna
attivare una doppia prospettiva, di tipo teoretico ed esegetico. Intanto
intendere per storia non la semplice successione dei fatti, situati in
maniera indifferenziata nello spazio e nel tempo, ma quegli eventi,
anche di ordine intellettuale, capaci di modificare le coscienze lungo
il filo delle generazioni. Qui Unamuno si rifà alla distinzione di
Kierkegaard tra semplice memoria e ricordo di qualcosa che resta nel
tempo. Si può avere memoria di un episodio senza ricordarne il
significato pregnante.
L’altro presupposto, attuale al punto di
richiamare una metodologia strutturalista, sta nel privilegio assoluto
del romanzo rispetto al suo autore. La tesi di Unamuno è che Don
Chisciotte sia molto più avanti di Cervantes. Che, una volta pubblicato,
la sua proprietà sia sfilata di mano all’autore, per appartenere al suo
popolo e all’umanità intera. Come la Bibbia, o l’Iliade, il Chisciotte
ha una vita autonoma che sta appunto nella durata dei suoi effetti
storici. Da questo lato Unamuno tocca un vertice della riflessione
contemporanea. La vera opera d’arte, come quella del pensiero, è sempre
impersonale, di nessuno perché di tutti. La genialità di Cervantes sta
nel dileguarsi dietro la propria opera, mandando il suo protagonista
avanti, nel tempo e nello spazio, fino a naufragare nell’oceano
dell’impossibile. Ma non avevano fatto naufragio, in questo senso, anche
i grandi condottieri spagnoli, da Cortes a Pizarro, quando, perdendo il
contatto con la propria terra, avevano scoperto nuovi mondi?
Se avessimo il coraggio di uscire dal gregge
di Miguel De Unamuno Repubblica 23.1.13
Durante
la stagione in cui Cervantes stette sotto le ali spirituali della sua
patria, e fu da essa incubato, nella sua anima si formò Don Chisciotte,
ovvero il suo popolo creò in lui Don Chisciotte, e così questi venne al
mondo, abbandonò Cervantes al suo popolo, e Cervantes tornò a essere il
povero scrittore girovago, preda di tutte le preoccupazioni letterarie
del suo tempo. E così si spiegano molte cose e, tra le altre, la
debolezza del senso critico di Cervantes e la povertà dei suoi giudizi
letterari (...).
Tutto ciò che nel Chisciotte è critica letteraria
è quanto di più povero e grossolano possa darsi e tradisce una vera e
propria saturazione di senso comune.
Incredibile come un uomo così
assennato e pieno di luoghi comuni, e della più grande grossolanità
immaginabile, com’era Cervantes, abbia potuto generare un cavaliere così
folle e così colmo di senso proprio.
Cervantes non ebbe altra
scelta che consegnarci un folle per poter incarnare in lui l’eternità e
la grandezza del suo popolo. E il fatto è che molte volte, quando
l’intimo dell’intimo delle nostre viscere, quando l’umanità eterna che
dorme nel profondo del nostro seno spirituale ci affiora nell’anima
gridando i propri aneliti, allora o sembriamo pazzi o fingiamo di
esserlo affinché ci venga perdonato il nostro eroismo. Migliaia di volte
lo scrittore ricorre all’espediente di dire in tono scherzoso ciò che
sente molto seriamente, o mette in scena un pazzo per fargli dire o fare
quello che lui direbbe o farebbe molto volentieri e convinto, se solo
la miserevole condizione di gregge degli uomini non li portasse a voler
annullare chi esce dal recinto da cui vorrebbero uscire tutti, se solo
avessero il valore o il coraggio per farlo (...).
Vedete quindi
cosa c’è di geniale in Cervantes, e qual è la relazione intima che
intercorre tra lui e il suo Don Chisciotte. E tutto questo dovrebbe
spingerci ad abbandonare il cervantismo in favore del chisciottismo, e a
curarci più di Don Chisciotte che non di Cervantes. Dio non ci ha dato
Cervantes se non perché scrivesse il Chisciotte, e mi sembra che sarebbe
stato un vantaggio non conoscere nemmeno il nome dell’autore, essendo
il nostro libro un’opera anonima come lo sono il
Romancero e, lo
pensiamo in molti, l’Iliade. E dirò di più: scriverò un saggio in cui
sostengo che non sia esistito Cervantes e sì, invece, Don Chisciotte. E
visto che Cervantes non esiste più e che, al contrario, continua a
vivere Don Chisciotte, dovremmo tutti lasciare il morto per seguire il
vivo, abbandonare Cervantes e accompagnare Don Chisciotte.
(Traduzione di Enrico Lodi) © 2013 by Edizioni Medusa)
Unamuno, il filosofo allievo di Don Chisciotte
Come
per l'hidalgo di Cervantes, anche per il pensatore l'insuccesso è il
vero sigillo che nobilita l'azione. E l'utopia rivoluzionaria del
singolo vince su quella delle masse
Marcello Veneziani
- il Giornale Lun, 04/02/2013
Nessun commento:
Posta un commento