giovedì 24 gennaio 2013

Tradotti alcuni saggi di Unamuno sul Chisciotte


Miguel de Unamuno: In viaggio con Don Chisciotte, a cura di Enrico Lodi, Medusa

Risvolto
Il volume raccoglie un insieme di saggi brevi e di articoli scritti dal grande intellettuale e scrittore spagnolo sull’opera di Cervantes. Era un progetto che lo stesso Unamuno voleva realizzare e non ebbe poi il tempo di condurre in porto. Si presenta come una raccolta organica che, accanto al celebre Vita di Don Chisciotte e Sancio (1905), completa per il lettore italiano il panorama delle importanti ricerche di Unamuno sul mito più grande della letteratura spagnola, che Milan Kundera, nella sua Teoria del romanzo, pone come fondamento del romanzo moderno. La raccolta, a cura di Enrico Lodi, comprende il saggio “Il cavaliere della triste figura” del 1896, mai tradotto finora, dove Unamuno confronta le descrizioni che ritraggono Don Chisciotte nel romanzo con i ritratti che i pittori moderni ci hanno dato dell’antieroe di Cervantes. Tra baffi cadenti e riflessioni sulla possibile bruttezza del personaggio di Cervantes, lo scrittore torna sul tema che gli sta più a cuore: il valore universale di questo mito.
«i saggi brevi e gli articoli che Miguel de Unamuno ha dedicato, nel corso della sua vita, a uno dei pilastri letterari dell’Occidente moderno, al capolavoro che lui stesso ha chiamato in diverse occasioni la “bibbia nazionale” iberica o, a seconda del suo intento interpretativo, “l’opera universale” della letteratura: il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes.
In viaggio con Don Chisciotte, quindi, pur non esistendo come volume a sé nella ricchissima bibliografia di Unamuno, dà coesione a uno dei suoi sforzi critici più importanti e prolungati, e va così ad accostarsi all’altro grande lavoro che il nostro filosofo ha svolto sullo stesso argomento, ovvero a quella “Vita di Don Chisciotte e Sancio Panza” (1905) che, nelle parole dello stesso Unamuno, “più di ogni altra, ha riscosso il maggior favore tra il pubblico dei miei lettori”».

Il filosofo spagnolo studiò per anni l’eroe di Cervantes Ora un libro raccoglie i suoi saggi mai tradotti
Siamo tutti Don Chisciotte
Unamuno e l’Hidalgo, il nostro viaggio verso la saggezza della follia

di Roberto Esposito Repubblica 23.1.13


Quando, il 12 ottobre 1936, alla cerimonia di apertura dell’anno accademico dell’Università di Salamanca, un generale franchista pronuncia in maniera sprezzante il motto della Legione Spagnola «Viva la morte», Miguel de Unamuno, rettore di quell’Università, gli risponde a muso duro «Viva la vita». Così, dopo essersi opposto alla monarchia, e poi alla dittatura di Primo de Rivera, pagando queste scelte con l’esilio, egli rompe anche con il regime cui in un primo momento si era avvicinato. Ma tale riferimento alla vita, al di là del significato politico che assumeva in quel contesto, può essere assunto come l’epicentro semantico dell’intera attività di uno dei più significativi intellettuali europei del primo Novecento.
Narratore, drammaturgo, poeta, autore di testi filosofici come Del sentimento tragico della vita e Agonia del cristianesimo, egli è noto soprattutto per l’appassionato commento al Don Chisciotte, considerato il suo capolavoro. Mancava, però, ancora un volume che raccogliesse i suoi interventi, scritti lungo quasi un quarantennio, sul grande libro di Cervantes che egli stesso considerava come la Bibbia nazionale degli spagnoli.
Questo vuoto è ora riempito dalla pubblicazione, egregiamente curata da Enrico Lodi per l’editore Medusa, di una ampia scelta di suoi saggi e articoli con il titolo In viaggio con Don Chisciotte.
Essa comprende un testo, come quasi tutti gli altri, mai tradotto finora, Il cavaliere dalla triste figura. Saggio iconologico — in cui l’autore confronta le descrizioni di Don Chisciotte presenti nel romanzo con i ritratti che i pittori gli hanno poi dedicato. Già in esso si profilano i tratti di un’interpretazione magistrale, che oltrepassa i confini tradizionali dell’ermeneutica, per configurarsi come un vero corpo a corpo con il proprio oggetto d’analisi. Egli stesso sempre in lotta con se stesso, diviso tra ricerca della concretezza ed aspirazione all’universale, Unamuno proietta questa contraddizione sul Cavaliere Solitario, facendone un simbolo vivente non solo dell’anima spagnola, ma anche dell’uomo contemporaneo, sospeso tra angoscia e fede. Contro l’accademismo erudito di quelli che chiama “masoreti” — come i rabbini interpreti delle Sacre Scritture persi dietro minuziose ed inutili ricerche filologiche — Unamuno cerca la perenne attualità del Chisciotte nel contrasto che lo oppone a se stesso, sdoppiando la sua esistenza tra la saggezza inerte di Alonso Quijano e la follia utopica del suo stralunato alter ego.
Contrariamente ai buoni propositi del primo, è proprio lo sguardo stravolto e allucinato del secondo a gettare un inedito fascio di luce sulle cose, riscattandole dalla loro insignificanza. Solo dimenticando la propria identità, sacrificata alla più sublime delle follie, egli ritrova il significato profondo della vita aldilà della linea del nulla che, prima o poi, è destinata ad avvolgerci tutti. È perciò che la sua figura allampanata, i suoi baffi spioventi, il suo naso aquilino, tutt’altro che emblemi luttuosi, traducono una estrema energia vitale. Lo stesso culto della morte, che si è voluto vedere nell’anima spagnola, piuttosto che attestare un distacco nei confronti della vita, ne determina la continua ricarica. Come appare dal sorriso tragico dell’hidalgo, quella malinconia non è che la faccia in ombra di una ricerca di immortalità destinata ad esser sempre delusa, ma perciò anche rinnovata. In questo senso Unamuno può richiamare perfino l’idea, diversamente declinata da Spinoza e Nietzsche, che la vita ha una inestinguibile tendenza a perseverare nel proprio stato ed anzi a potenziarsi. Nonostante le sconfitte che sperimenta, Chisciotte incarna questa potenza storica, capace di restituire alla Spagna un primato spirituale che da secoli ha perduto. Per cogliere il senso di tale affermazione, che Unamuno contrappone al parere di chi ne sottolinea la decadenza culturale e civile, bisogna attivare una doppia prospettiva, di tipo teoretico ed esegetico. Intanto intendere per storia non la semplice successione dei fatti, situati in maniera indifferenziata nello spazio e nel tempo, ma quegli eventi, anche di ordine intellettuale, capaci di modificare le coscienze lungo il filo delle generazioni. Qui Unamuno si rifà alla distinzione di Kierkegaard tra semplice memoria e ricordo di qualcosa che resta nel tempo. Si può avere memoria di un episodio senza ricordarne il significato pregnante.
L’altro presupposto, attuale al punto di richiamare una metodologia strutturalista, sta nel privilegio assoluto del romanzo rispetto al suo autore. La tesi di Unamuno è che Don Chisciotte sia molto più avanti di Cervantes. Che, una volta pubblicato, la sua proprietà sia sfilata di mano all’autore, per appartenere al suo popolo e all’umanità intera. Come la Bibbia, o l’Iliade, il Chisciotte ha una vita autonoma che sta appunto nella durata dei suoi effetti storici. Da questo lato Unamuno tocca un vertice della riflessione contemporanea. La vera opera d’arte, come quella del pensiero, è sempre impersonale, di nessuno perché di tutti. La genialità di Cervantes sta nel dileguarsi dietro la propria opera, mandando il suo protagonista avanti, nel tempo e nello spazio, fino a naufragare nell’oceano dell’impossibile. Ma non avevano fatto naufragio, in questo senso, anche i grandi condottieri spagnoli, da Cortes a Pizarro, quando, perdendo il contatto con la propria terra, avevano scoperto nuovi mondi?

Se avessimo il coraggio di uscire dal gregge
di Miguel De Unamuno Repubblica 23.1.13

Durante la stagione in cui Cervantes stette sotto le ali spirituali della sua patria, e fu da essa incubato, nella sua anima si formò Don Chisciotte, ovvero il suo popolo creò in lui Don Chisciotte, e così questi venne al mondo, abbandonò Cervantes al suo popolo, e Cervantes tornò a essere il povero scrittore girovago, preda di tutte le preoccupazioni letterarie del suo tempo. E così si spiegano molte cose e, tra le altre, la debolezza del senso critico di Cervantes e la povertà dei suoi giudizi letterari (...).
Tutto ciò che nel Chisciotte è critica letteraria è quanto di più povero e grossolano possa darsi e tradisce una vera e propria saturazione di senso comune.
Incredibile come un uomo così assennato e pieno di luoghi comuni, e della più grande grossolanità immaginabile, com’era Cervantes, abbia potuto generare un cavaliere così folle e così colmo di senso proprio.
Cervantes non ebbe altra scelta che consegnarci un folle per poter incarnare in lui l’eternità e la grandezza del suo popolo. E il fatto è che molte volte, quando l’intimo dell’intimo delle nostre viscere, quando l’umanità eterna che dorme nel profondo del nostro seno spirituale ci affiora nell’anima gridando i propri aneliti, allora o sembriamo pazzi o fingiamo di esserlo affinché ci venga perdonato il nostro eroismo. Migliaia di volte lo scrittore ricorre all’espediente di dire in tono scherzoso ciò che sente molto seriamente, o mette in scena un pazzo per fargli dire o fare quello che lui direbbe o farebbe molto volentieri e convinto, se solo la miserevole condizione di gregge degli uomini non li portasse a voler annullare chi esce dal recinto da cui vorrebbero uscire tutti, se solo avessero il valore o il coraggio per farlo (...).
Vedete quindi cosa c’è di geniale in Cervantes, e qual è la relazione intima che intercorre tra lui e il suo Don Chisciotte. E tutto questo dovrebbe spingerci ad abbandonare il cervantismo in favore del chisciottismo, e a curarci più di Don Chisciotte che non di Cervantes. Dio non ci ha dato Cervantes se non perché scrivesse il Chisciotte, e mi sembra che sarebbe stato un vantaggio non conoscere nemmeno il nome dell’autore, essendo il nostro libro un’opera anonima come lo sono il
Romancero e, lo pensiamo in molti, l’Iliade. E dirò di più: scriverò un saggio in cui sostengo che non sia esistito Cervantes e sì, invece, Don Chisciotte. E visto che Cervantes non esiste più e che, al contrario, continua a vivere Don Chisciotte, dovremmo tutti lasciare il morto per seguire il vivo, abbandonare Cervantes e accompagnare Don Chisciotte.
(Traduzione di Enrico Lodi) © 2013 by Edizioni Medusa)

Unamuno, il filosofo allievo di Don Chisciotte
Come per l'hidalgo di Cervantes, anche per il pensatore l'insuccesso è il vero sigillo che nobilita l'azione. E l'utopia rivoluzionaria del singolo vince su quella delle masse

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