martedì 29 gennaio 2013

Una mappa della filosofia contemporanea a cura di Tiziana Andina


Tiziana Andina (a cura di): Filosofia contemporanea. Uno sguardo globale, Prefazione di Maurizio Ferraris, Carocci

Risvolto
Che cosa significa oggi fare filosofia? Quali sono le domande che il mondo contemporaneo le pone, quali gli interrogativi che la chiamano in causa? E quali i suoi ambiti d’azione?
Spaziando dalla metafisica all’etica, dalla filosofia del linguaggio alla filosofia della scienza e della matematica, dalla filosofia della politica alla filosofia dell’arte, dalla epistemologia alla filosofia della mente, questo libro traccia la mappa di un cinquantennio di riflessione filosofica.
Percorrendone lo svolgimento, non solo attraverseremo una intera disciplina nelle sue articolazioni più interessanti, ma verificheremo la capacità immaginativa degli esseri umani, che esplorano il mondo e si pongono domande riguardo ai suoi sensi per organizzare società, creare arte, darsi un’etica e una dimensione politica.

Tiziana Andina
insegna Filosofia teoretica all’Università di Torino. Per Carocci editore ha pubblicato: Arthur Danto: un filosofo pop (2010; ed. inglese, Arthur Danto: Philosopher of Pop, Cambridge Scholars Publishing, 2011) e Filosofie dell’arte. Da Hegel a Danto (2012; ed. inglese, The Philosophy of Art: The Question of Definition. From Hegel to Post-Dantian Theories, Bloomsbury, 2013).
Gli autori: Tiziana Andina, Annalisa Amoretti, Luca Angelone, Alessandro Arbo, Carola Barbero, Andrea Borghini, Francesco Berto, Chiara Cappelletto, Stefano Caputo, Elena Casetta, Annalisa Coliva, Francesca De Vecchi, Valeria Ottonelli, Andrea Pedeferri, Daniela Tagliafico, Italo Testa, Giuliano Torrengo, Vera Tripodi.


Mario De Caro Domenicale 27 gennaio 2013

Libri divulgativi, pamphlet, romanzi. Così le ultime generazioni occupano la scena da protagoniste nel dibattito delle idee
Giovani filosofi crescono Se il nuovo pensiero diventa bestseller
di Maurizio Ferraris Repubblica 9.7.13

Ogni filosofo è stato giovane, ma il giovane filosofo è una cosa diversa, una regione dello spirito che evoca immagini romantiche come il mito del genio, e dunque, del tutto ovviamente, una categoria ideologicamente opaca («non sempre giovinezza è verità», ammoniva Fortini). Evoca anche una categoria merceologica, come “giovane scrittore”, potenzialmente inserito nel ciclo vitale descritto da Arbasino (e che ha dato il titolo a un memorabile libro di Edmondo Berselli): «In Italia c’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di bella promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di venerato maestro». Avendo da lunghissimo tempo superato la prima fase (oltretutto in un’epoca in cui andavano di moda filosofi vecchissimi, come Gadamer), e attraversando la seconda senza concrete aspettative sulla terza, leggo i giovani filosofi per ragioni terapeutiche (o, se vogliamo, vampiristiche), nella convinzione che quanti meno anni si sono passati nel Novecento tanto è più facile capire quanto ormai ce ne siamo allontanati e quanto sia necessario rinnovare.
Anzitutto, chi è un giovane filosofo? Mi sembra ragionevole fissare la soglia dei 35 anni, “nel mezzo del cammin di nostra vita”, anche perché dopo i giochi sono fatti: senza dimenticare che Schelling ha pubblicato il Sistema dell’idealismo trascendentale a 25 anni e Wittgenstein il Tractatus a 32, è difficile considerare “giovani filosofi” Hegel che a 37 anni pubblica laFenomenologia dello spirito o Heidegger che a 38 pubblica Essere e tempo. Fatta questa premessa, la prima buona notizia è che anche in Italia ci sono giovani filosofi. Alcuni di questi sono presenti, come Cristina Amoretti, 34 anni, insieme ad altri poco più anziani, inFilosofia contemporanea. Uno sguardo globale, da poco uscito da Carocci a cura di Tiziana Andi- Ma ci sono anche Diego Fusaro, che a 30 anni appena compiuti ha all’attivo dieci libri tra cui un best seller assoluto come
Bentornato Marx! (Bompiani 2009), o Leonardo Caffo, che di anni ne ha solo 24 ma ha già pubblicato due libri, tra cui il recentissimo Il maiale non fa la rivoluzione (Edizioni Sonda) in cui combina il Peter Singer di Liberazione animale con il Derrida di L’animale che, dunque, sono.E a ben vedere il tratto metodologico caratteristico di molti giovani filosofi è una fusione creativa della linea analitica e di quella continentale, superando barriere che sono ancora dei vincoli per le generazioni precedenti, e che soprattutto si erano rivelate dei limiti oggettivi per il progresso della filosofia.
Si prenda il caso di Markus Gabriel, 33 anni, il più giovane ordinario di filosofia tedesco, direttore a Bonn di un centro internazionale per la filosofia e visiting professor a Berkeley dopo studi a Heidelberg, a New York e a Lisbona. Ha appena pubblicato da Ullstein un libro, Perché non c’è il mondo che è alla terza ristampa a due settimane dall’uscita, è uno SpiegelBestseller (l’equivalente tedesco del New York Times Bestseller) ma, sia pure con un linguaggio chiaro, pieno di humour e lontanissimo dalla gergalità che spesso si associa alla tradizione tedesca, si propone come un vero e proprio trattato di ontologia realistica, che mira a superare i limiti del costruttivismo postmoderno così come della metafisica tradizionale attraverso una combinazione creativa di Hegel, Schelling e Wittgenstein, e, tra i contemporanei, di Putnam e di Hogrebe. Se Quine sosteneva che «Essere è essere il valore di una variabile vincolata» (cioè ogni ontologia è relativa al linguaggio che adotta), Gabriel sostiene che«Esistere è apparire in un campo di senso». Per cui, ad esempio, Harry Potter esiste nel campo di senso della letteratura fantastica e gli atomi in quello della fisica. Sembra una versione iper-tollerante ma non è così, visto che i postmoderni avevano la tendenza a confondere gli atomi con Harry Potter, e i vecchi metafisici (così come i materialisti) dovevano concludere, del tutto controintuitivamente, che Harry Potter non esiste in nessun senso del termine “esistere”. La sola cosa che non esiste, per Gabriel, è il mondo, da considerarsi non come il solo universo fisico, ma come la somma di tutti i campi di senso: non esiste il campo di senso dei campi di senso, quanto dire che, con buona pace di Hegel, l’assoluto non esiste.
Ce ne faremo una ragione, cercando, intanto, di risolvere delle questioni aperte, a cominciare (secondo me) da quella degli esseri non umani, per esempio dei maiali di Caffo, per i quali è arduo postulare che esista il campo di senso in cui si dà la rivoluzione, ma è problematico, anche moralmente, escludere che esista la morte in mattatoio, che tuttavia difficilmente si inserisce (per un maiale ma dopotutto anche per un umano) all’interno di un “campo di senso”, presentandosi come una insensatezza opaca e resistente. È per esempio un tema presente nel romanzo Memorie della giungla, dove l’io narrante è uno scimpanzé. L’autore è un filosofo francese di 32 anni, Tristan Garcia, già allievo dell’Ecole Normale Supérieure, professore nell’Università della Piccardia, autore di cinque romanzi, tra cui La parte migliore degli uomini (Premio Flore 2008, tradotto in italiano da Guanda), oltre che di quattro libri tra cui spicca il monumentale Forma e oggetto, 486 pagine nella collana di metafisica delle Presses Universitaires de France, nella quale ontologia analitica e ontologia continentale si ritrovano sotto il segno del “realismo speculativo” di Quentin Meillassoux e di Graham Harmann.
Garcia muove dall’assunto, a mio parere perfettamente fondato, che la filosofia del Novecento si è occupata troppo poco di oggetti, e troppo invece del modo in cui li conosciamo (magari per arrivare alla conclusione che non li conosciamo). Ora, come Gabriel scrive che non esiste il campo di senso universale, così Garcia esclude che esista una totalità che comprenda tutti gli oggetti, con argomenti che si ritrovano in un altro giovane filosofo, questa volta di Cambridge, Tim Button (I limiti del realismo, in uscita da Oxford University Press). Questo, a ben vedere, è un importante retaggio novecentesco: il sapere assoluto non si dà. Ma non possiamo neppure rassegnarci al frammento (Garcia conduce analisi meticolose che ricordano Meinong), ecco a mio avviso il filo conduttore, questa volta non metodologico ma concettuale, che unisce questi filosofi anche diversissimi tra loro, e che potrebbe essere compendiato da due versi di Eliot: «Oh, do not ask, “What is it?”/ Let us go and make our visit».

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