martedì 19 febbraio 2013

Cos'è il "realismo speculativo"

Quando i filosofi pensano in grande
Verso un pensiero sull’intera realtà. Oggi un convegno a Milano
di Maurizio Ferraris Repubblica 19.2.13

Completata la critica del postmoderno si tratta, per la filosofia contemporanea, di passare a una fase costruttiva, di “ricostruire la decostruzione”. Il che però non significa ritornare all’ordine (e quale, poi?), ma elaborare una filosofia che si sforzi di rendere conto dell’intera realtà, dalla fisica al mondo sociale. Non stupisce che, in questo clima di ricostruzione e non di restaurazione, torni ad affacciarsi il progetto di una filosofia speculativa, di un “filosofare in grande” che, da almeno un secolo, sembrava abbandonato. Lo dimostrano i testi di nuovi filosofi che rilanciano l’idea di un realismo speculativo.
Così è nei saggi raccolti nel monumentale The Speculative Turn. Continental Materialism and Realism( a cura di Levi Bryant, Nick Srnicek e Graham Harman, re. press), o in Les nouveaux réalistes, curato da Alexander R. Galloway (Éditions Léo Scheer), in Dopo la finitudine di Quentin Meillassuoux, o nei lavori di Gabriel e di Hogrebe.
Gli autori sono di provenienza molto varia, si va dall’americano Graham Harman (nato nel 1968) all’inglese Ray Brassier (nato nel 1965), a francesi come appunto Quentin Meillassoux (nato anche lui nel 1968), o Catherine Malabou e Bernard Stiegler, che si sono formati con Derrida. Ma si tratta di una svolta che riguarda l’intero mondo filosofico, e che oggi, al San Raffaele di Milano, sarà uno dei temi del convegno Le molte facce del realismo. Storia e geografia di un problema filosofico, nel quadro di un programma di ricerca nazionale che coinvolge oltre cento studiosi (il convegno è visibile in streaming a questo indirizzo: http://www. ustream.tv/ channel/unisr).
Nella prospettiva dei “realisti speculativi”, lo speculativo viene associato al materialismo e al realismo, mentre tradizionalmente era associato allo spiritualismo e all’idealismo. La torsione spiritualista era caratteristica del neoidealismo italiano e anglosassone del secolo scorso, che muoveva cartesianamente dallo spirito.
Ma non c’è nulla del genere in Hegel, per il quale il concetto emerge dall’essere e lo spirito emerge dalla natura. Per Hegel gli elementi logici non sono prodotti dall’Io, ma emergono dalla natura, dalle cose stesse. Certo Hegel è costretto a pensare l’emergenza con gli strumenti di cui dispone, come sviluppo del concetto e dello spirito, e magari facendo riferimento a principi mitologici come l’anima del mondo. Noi, grazie a Darwin, possiamo pensarla come lo sviluppo dell’epistemologia (intelligente) sulla base di una ontologia non intelligente, d’accordo con la proposta di Dennett. Non è necessario concepire uno spirito o una teleologia che dall’alto in basso determini il passaggio dalla natura allo spirito o, in altri termini, dall’ontologia all’epistemologia. Si può benissimo proporre una prospettiva dal basso in alto: l’organico è il risultato dell’inorganico, la coscienza emerge da elementi che non sono coscienti, e l’epistemologia emerge dall’ontologia. Il senso si produce dal non senso, e le possibilità sorgono dall’urto della realtà, senza che per questo la filosofia debba ridursi a una visione frammentaria e rinunciare a fornire un senso complessivo del reale.
Un secondo elemento della svolta riguarda precisamente la possibilità di una filosofia sistematica. Che cosa organizza il sistema? Che cosa lo muove? Nei sistemi idealistici tradizionali l’organizzazione del sistema veniva dallo spirito o dal concetto. Ma, come abbiamo visto, noi oggi disponiamo di spiegazioni più efficaci e meno impegnative, di matrice neo-darwiniana. A questo punto, abbiamo tutto ciò che è necessario per un sistema pienamente articolato. C’è un primo livello, quello di una ontologia del mondo naturale, in cui si passa dall’inorganico all’organico e finalmente al cosciente. Senza che sia necessario presupporre in questo un qualsiasi “disegno intelligente”. A questo stadio, abbiamo la costituzione di una ontologia che costituisce la premessa per una epistemologia, ossia per un sapere su ciò che c’è. Questa epistemologia si sviluppa attraverso la coscienza, il linguaggio, la scrittura, il mondo delle leggi, della politica, della scienza e della cultura. Ed è a questo punto che diviene capace di due operazioni. La prima è quella di una ricostruzione del mondo naturale, che è l’oggetto della scienza della natura. La seconda è quella di una costruzione del mondo sociale, che è l’oggetto delle scienze sociali, e nella quale l’epistemologia ha per l’appunto un ruolo non semplicemente ricostruttivo, ma costruttivo, visto che spiega la legge di formazione degli oggetti sociali.
Un ultimo aspetto riguarda la nozione di “realismo positivo”. In definitiva, la doppia articolazione che ho descritto più sopra si presenta come il rovescio speculare dell’operazione di filosofia negativa di matrice cartesiana. Se per la filosofia negativa si trattava di revocare ogni consistenza ontologica al mondo per riportare tutto al pensiero e al sapere, e di lì procedere alla ricostituzione del mondo per via epistemologica, con il realismo positivo – recuperando la lezione dell’idealismo tedesco e coniugandola con l’evoluzionismo – è possibile partire dall’ontologia per fondare un’epistemologia. La quale, quando accede al mondo sociale, può e deve diventare costitutiva, mentre non può esserlo nel mondo naturale, come voleva la filosofia negativa che da Cartesio conduce ai postmoderni. Se tutti questi movimenti di cui si vedono segni da più parti dovessero trovare uno sviluppo credo che potremmo trovare un piccolo motivo di soddisfazione: la filosofia non è morta, e non si limita alla dimensione critica, ma si sforza di pensare in grande.

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