domenica 24 marzo 2013
Consolare Cacciari per la mancata elezione
Nel suo saggio i passi più significativi della tradizione teologica ci aiutano
a comprendere meglio
di Giuseppe Cantarano l’Unità 24.3.13
CHE
COS’È IL POTERE? QUAL È LA SUA NATURA? E perché Tutti noi siamo –
volentes o nolentes – inclini non solo a esercitarlo, ma a obbedirvi?
Non ci sottomettiamo, forse – più o meno volentieri al potere politico?
Non obbediamo, forse – più o meno volentieri – alle sue leggi? E ancora:
a cosa serve il potere? Qual è la sua funzione? È immaginabile una
auctoritas politica del tutto separata e distinta dalla potestas
teologica? Non è forse vero – come ha affermato Carl Schmitt – che le
categorie politiche si limitano a secolarizzare, a laicizzare un
originario impianto teologico? Sono un po’ questi i radicali
interrogativi sollevati dall’ultimo bel libro di Massimo Cacciari (Il
potere che frena, Adelphi, pp. 211, euro 13,00).
Che vi sia un
potere, che vi sia una Legge è un miracolo. E che vi sia chi si ribella,
non è che trita banalità, scriveva il grande compositore austriaco
Arnold Schönberg. Molto caro, del resto, a Massimo Cacciari. Ed è
sull’esistenza di questo «miracolo» che il filosofo veneziano riflette
nel suo libro. Misurandosi con quel celebre passo attribuito a san
Paolo, compreso nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Un passo
controverso. Di difficile, ardua interpretazione. È qui che balena forse
per la prima volta nella storia dell’Occidente – l’oscura
tematizzazione di quel «miracolo». Di quell’irresolubile enigma che è il
potere. Che è la Legge. Come poi ci racconterà Kafka.
Nel primo
grande documento cristiano sulla politica, che è la Lettera ai Romani,
san Paolo raccomanda obbedienza al potere politico. Poiché ogni potere
politico ha ricevuto da Dio il mandato di proteggere il bene. E di
arginare il male: «Ogni persona si sottometta alle autorità che le sono
superiori. Non esiste infatti autorità se non proviene da Dio» (13,
1-2).
Del potere politico non possiamo fare a meno, ci dice san
Paolo. Non fosse altro perché il potere politico – l’Impero romano, nel
caso specifico rappresenta un «freno» nei confronti di una società
tendenzialmente caotica, disordinata, anarchica. Il potere, pertanto,
sembrerebbe avere un timbro esclusivamente positivo. La sua funzione
sembrerebbe volta esclusivamente al bene. Giacché è quella di contenere,
di arginare, di frenare il dilagare del male nella società. E tuttavia,
le cose non stanno così, ci dice Cacciari.
Infatti, del potere come
«freno» (katechon, in greco) si fa cenno anche nella Seconda Lettera ai
Tessalonicesi. Su cui Cacciari esercita un’acutissima e penetrante
esegesi. Laddove è scritto: «E ora conoscete ciò che trattiene (to
katechon) la sua apocalisse, che avverrà a suo tempo. Già, infatti, il
mistero dell’iniquità è in atto; ma chi trattiene (ho katechon)
trattenga, precisamente fino a quando non venga tolto di mezzo” (2,
6-7). Rispetto all’univocità della Lettera ai Romani, qui il potere
assume invece un volto «diabolico», diciamo così. Nel senso letterale
del termine: ingannevole, ambivalente, enigmatico. E a suo modo,
tragico. Poiché viene concepito come una forza – non è chiaro se
espressione di un soggetto o di una cosa – che per trattenere, per
frenare il trionfo del male è costretta, contemporaneamente, a ritardare
la definitiva vittoria del bene. A ritardare, pertanto, anche
l’annientamento dello Spirito dell’empietà. Dunque del male. Fino a
quando anche questo freno che trattiene sarà «tolto di mezzo», spazzato
via, prima della parusia del Signore.
Come contenere in uno – si
chiede Cacciari – queste due paradossali, tragiche dimensioni?
Paradossali, tragiche dimensioni di ogni sovranità politica. Ogni potere
– scrive Cacciari – «è chiamato a esprimersi come mediazione. Il
mediatore dispone dell’effettuale comando, ma non risolve in sé
immediatamente ogni auctoritas, non ne è autarchicamente fonte e sede.
Il potere rappresenta – e viene così ad assumere sempre dal
rappresentato la propria autorità». Insomma, nessuna potenza teologica
detiene l’assoluta potestas su questa terra. E credersi idolatricamente
eterna. Così come nessuna potenza politica detiene l’assoluta
auctoritas. Senza la quale, tuttavia, il sovrano si ridurrebbe a
semplice funzionario di un apparato burocratico-amministrativo. Che
difficilmente riuscirebbe a legittimare le sue decisioni.
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