lunedì 15 aprile 2013
Tradotto l'ultimo libro di Dworkin
Risvolto
Giustizia per i ricci difende un'antica tesi filosofica
quella dell'unità del valore. Il titolo del libro si riferisce a un
verso del poeta greco Archiloco, reso celebre da Isaiah Berlin, secondo
cui le volpi sanno molte cose, mentre i ricci ne sanno solo una, ma
grande. In questo molto esauriente volume Ronald Dworkin sostiene che il
valore in tutte le sue forme è appunto una grande cosa: che cosa sia la
verità, che senso abbia la vita, che cosa prescriva la moralità e che
cosa richieda la giustizia sono solo diversi aspetti della stessa più
ampia questione. Lo argomenta sviluppando originali teorie su una
varietà di tematiche: lo scetticismo morale, l'interpretazione
letteraria, artistica e storica, la libera volontà, la teoria morale
degli antichi, l'essere buoni e vivere una buona vita, la libertà,
l'eguaglianza e la legge, tra le altre cose. Quello che pensiamo
riguardo a ciascuno di questi temi deve poter reggere a
un'argomentazione che risulti convincente per gli altri, deve
giustificarsi attraverso gli altri. La minaccia a tale unità viene
principalmente dallo scetticismo. Il procedimento interpretativo
consente di far discendere da un principio morale la giustificazione di
un altro principio morale, superando le contraddizioni tra valori in un
sistema in cui i valori si tengono l'un l'altro, si interpretano alla
luce degli altri. Giustizia per i ricci tira le fila dei suoi studi nel
campo della filosofia morale e politica.
Diritto inseparabile dalla morale, la lezione di Dworkin
di Antonio Carioti Corriere 15.4.13
Diritto e morale non sono universi separati, ma vi è al contrario tra di
essi un legame imprescindibile, sosteneva il filosofo americano Ronald
Dworkin (nato nel 1931 e scomparso un mese fa), contrastando le
posizioni positiviste e relativiste di molti suoi colleghi. Una
posizione la cui sostanza troviamo ora sintetizzata nel numero appena
uscito della rivista «Notizie di Politeia», diretta da Emilio D'Orazio,
che pubblica, con una presentazione di Salvatore Veca, il testo della
conferenza tenuta da Dworkin nello scorso novembre per la consegna del
premio Balzan, che gli era stato assegnato appunto per il suo contributo
alla filosofia del diritto.
In questo intervento l'autore riassume le tesi esposte più ampiamente
nel suo saggio Giustizia per i ricci, appena tradotto in Italia da
Feltrinelli (pagine 557, € 45). Ogni interpretazione giuridica da parte
di studiosi o magistrati, afferma Dworkin, deve ovviamente richiamarsi
al contenuto delle norme vigenti e tener conto del loro retroterra
storico, ma non può fermarsi qui. Necessita al tempo stesso di «una
qualche giustificazione, per quanto debole, nel campo della moralità
politica».
Insomma, nell'applicare il diritto occorre riferirsi a un retroterra
filosofico che consenta d'identificare i valori meritevoli di tutela.
Dworkin indica a tal proposito due principi basilari. Il primo è
l'attribuzione di una pari dignità a ogni esistenza umana in modo che,
per quanto possibile, «la gente viva bene», secondo le proprie
aspirazioni personali. Il secondo è il richiamo alla «fondamentale,
inalienabile responsabilità» di ogni individuo per le proprie scelte. In
campo economico, per esempio, ciò comporta l'esigenza di fare in modo
che il reddito e il patrimonio di una persona dipendano da come ha
agito, non dai favori che ha ricevuto dalla sorte.
Il richiamo al significato e all'importanza oggettiva che aveva per lui
la vita umana è al centro anche del suo modo di concepire la
religiosità. Dworkin si era soffermato sull'argomento in un libro che
uscirà postumo quest'anno da Harvard University Press, Religion Without
God («Religione senza Dio»), ma di cui la rivista «New York Review of
Books» ha anticipato un estratto dal primo capitolo nel numero del 4
aprile scorso.
Secondo Dworkin, è un errore pensare che tutti gli atei, intesi come
soggetti che non professano alcuna fede in un dio personale, creatore e
giudice, siano da considerarsi estranei alla dimensione religiosa. Del
resto la stessa Corte suprema degli Stati Uniti, ricorda il filosofo, ha
ritenuto che la garanzia costituzionale della libertà di religione
possa essere estesa anche alle credenze dell'«umanesimo laico».
Ciò che conta nel definire una spiritualità religiosa non è infatti,
secondo Dworkin, il culto di una particolare divinità, bensì un
atteggiamento generale verso la vita che posa su due pilastri. Il primo è
riconoscimento della dignità umana, che abbiamo già visto in opera nel
campo strettamente giuridico; l'altro è la convinzione che la natura non
sia solo una realtà inerte, ma abbia un proprio valore intrinseco, che
ne fa qualcosa di sublime.
Su questa base, Dworkin ritiene si possano identificare valori comuni in
cui credenti e non credenti si riconoscano, a prescindere da dogmi e
testi sacri, scavalcando le barriere che un po' ovunque i
fondamentalisti cercano d'innalzare. Ma ciò presuppone anche il
superamento del naturalismo, cioè dell'idea che non vi sia niente di
reale eccetto quanto può essere studiato dalle scienze empiriche. In
fondo è la prosecuzione, sul terreno spirituale, della polemica condotta
da Dworkin contro il positivismo giuridico.
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