domenica 26 maggio 2013
Ritorna la polemica su ermeneutica e Nuovo realismo
Esempi di filosofia non populistica sarebbero dunque: "Pornosofia. Filosofia del pop porno"; "La filosofia di Lost"; "Harry Potter e la filosofia"... E' possibile ed anche giusto criticare l'impostazione di Ferraris e anche cercare di mostrarne la sintonia con alcuni aspetti dello spirito dei tempi, ma c'è modo e modo [SGA].
Donatella Di Cesare, Corrado Ocone e Simone Regazzoni (a cura di): Il nuovo realismo è un populismo, il melangolo
Risvolto
Il
populismo in filosofia è una banalizzazione del pensiero che mira a
riscuotere il consenso del vasto pubblico. Sotto questo aspetto il nuovo
realismo non solo è un populismo, ma rappresenta la forma di populismo
per eccellenza. Perché non nasconde, ma anzi rivendica la bontà
etico-politica della propria manovra riduttiva. Non si tratta di
condannare la popolarizzazione della filosofia nell'epoca della
democrazia di massa. Piuttosto il problema è non confondere la
popolarizzazione con il suo doppio osceno: il populismo. Il nuovo
realismo sceglie la scorciatoia del populismo e degrada così la
filosofia a una modesta terapia che mira a rinforzare il buon senso.
Il nuovo realismo in filosofia? Un film già visto e doppiato male
di Guido Vitiello Corriere La Lettura 26.5.13
Ecco,
in una formula, il provincialismo italiano: doppiamo tutti i film
americani, perché non sappiamo l'inglese, ma il titolo lo lasciamo nella
lingua originale, perché suona meglio. La regola non vale solo per il
cinema. Prendiamo il caso di Maurizio Ferraris e della sua creatura
filosofica, il New Realism. Battezzarlo «nuovo realismo» non avrebbe
avuto lo stesso effetto, così come uno striptease è più allettante di
uno spogliarello. Tutto sta a scoprire (già che siamo in tema) quali
grazie nasconde la veste esterofila del New Realism. Ebbene, rispondono
gli autori del pamphlet Il nuovo realismo è un populismo (il melangolo):
sotto l'etichetta non c'è niente.
Procediamo con ordine. Nell'agosto
del 2011, su «Repubblica», Ferraris lancia il Manifesto del New
Realism, a cui seguono convegni, libri e controversie giornalistiche.
L'operazione è ambiziosa: si tratta di tornare a un'idea forte di realtà
accantonando i giochi ermeneutici della filosofia postmoderna, che ha
spinto al parossismo il principio di Nietzsche secondo cui «non ci sono
fatti, solo interpretazioni». Doveva essere, quella postmoderna, una
filosofia liberatrice, una sfida alla tirannia della verità oggettiva, e
invece ci siamo ritrovati, dice Ferraris, con i populismi mediatici che
plasmano la realtà a piacimento, con il Berlusconi della nipote di
Mubarak e il Bush delle armi di distruzione di massa. Il New Realism ci
ricorda, con il vecchio proverbio, che «i fatti hanno la testa dura», e
non vuole essere neppure una nuova corrente filosofica, ma la fotografia
di una (contro)tendenza in atto, o meglio, dice Ferraris parafrasando
Marx ed Engels, di uno spettro che si aggira per l'Europa.
I sei
autori del pamphlet, curato da Donatella Di Cesare, Corrado Ocone e
Simone Regazzoni, ironizzano sulla forma plumbea e démodé del manifesto,
ma dal loro libro, se volessero, potrebbero ricavare un anti-manifesto
suddiviso per capi d'accusa. Elenchiamoli. Primo punto: nessuno spettro
si aggira per l'Europa, e neppure per l'America. Se si menzionasse il
New Realism a Berlino o a New York, scherza Di Cesare, «per tutta
risposta ci si sentirebbe fare i nomi di Rossellini e di Germi»: lo
scambierebbero per il neorealismo, e chiederebbero i sottotitoli. Ai
filosofi del mondo non giunge eco del nostro piccolo dibattito alla
provincia dell'impero, e quella che Ferraris presenta abilmente come la
grande tendenza del tempo presente ha in realtà un solo esponente di
spicco: Maurizio Ferraris.
Questo ci porta al secondo punto: il New
Realism è un'operazione di marketing filosofico, è un brand che serve a
smerciare una posizione vecchia di secoli (il realismo, appunto) a fini
di egemonia personale. Corrado Ocone rivede in Ferraris lo stile
«autopromozionale» del suo maestro Vattimo, che trent'anni prima aveva
saputo imporre la moda del pensiero debole. Ma con una differenza, che
ci porta al terzo capo d'accusa: malgrado il suo richiamo ai fatti,
Ferraris ricorre alle più disinvolte interpretazioni per foggiare
l'immagine caricaturale del «postmoderno filosofico», un monolite
oscurantista ostile alla realtà e alla ragione, e soprattutto una testa
di turco contro cui averla vinta facile.
Ma perché l'operazione ha
avuto tanta eco su «Repubblica»? È il quarto punto: perché si sposava a
meraviglia con la linea politica del giornale. In sostanza il New
Realism, scrive impietosamente Simone Regazzoni, «è una piccola
filosofia giornalistica cresciuta all'ombra del berlusconismo», e
Ferraris ha compiuto un salto mortale «dalla decostruzione di Derrida
alla Scomparsa dei fatti di Marco Travaglio». Ricapitolando: il nuovo
realismo è un provincialismo, un narcisismo, un illusionismo e un
antiberlusconismo. Ed è, recita il titolo, un populismo, ossia «una
banalizzazione del pensiero che mira a riscuotere il consenso del vasto
pubblico».
Vasto pubblico? Qui gli autori rischiano di dimenticare
quanto sia irrisoria l'incidenza dei filosofi, realisti o meno, sul
mondo reale (ci permettiamo di aggiungere: grazie al cielo). «Populismo
filosofico» è quasi un ossimoro, e così come non è stato Vattimo a
inaugurare la società dell'immagine, così non sarà Ferraris a
seppellirla. Perché è vero che Umberto Eco, arruolato anch'egli tra i
«nuovi realisti», la sera non ha tempo per il bunga bunga perché legge
Kant. Ma è anche improbabile, come scrive Laura Cervellione nel suo
spiritoso saggio, «che Berlusconi tenga i libri di Baudrillard sul
comodino».
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2 commenti:
Ho scoperto ieri di questo volume e non l'ho ancora letto. Mi sono occupato anch'io della polemica su ermeneutica e nuovo realismo, criticando sia Vattimo che Ferraris da una prospettiva storico-materialistica. Mi limito qui a dire che può anche darsi che Ferraris sia populista, ma certo la Pornosofia non si rivolge alle elites illuminate...
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