La cosa più significativa è comunque che la Guerra Fredda culturale non è mai finita [SGA].
Karel Kosík:
Un filosofo in tempi di farsa e di tragedia. Saggi di pensiero critico, Mimesis pagg. 290 euro 24
Risvolto
A cinquant’anni dalla pubblicazione di La dialettica del concreto
(1963), uno dei testi fondamentali per il rinnovamento del marxismo che
preparò il ’68, e a dieci anni dalla morte dell’autore, avvenuta nel
2003, vengono presentati in una cornice unitaria i saggi e gli
interventi di Karel Kosík dal 1964 al 2000. Si tratta di un
indispensabile contributo alla conoscenza di un grande filosofo, legato
alla tradizione del pensiero europeo da Hegel a Marx fino a Husserl e a
Heidegger, e interlocutore diretto negli anni ’50 e ’60 di Sartre e
della cultura francese e tedesca. Si tratta anche della testimonianza
dell’impegno etico e politico di Kosík durante la Primavera di Praga,
portato avanti instancabilmente nei lunghi anni di isolamento e silenzio
a cui fu costretto fin quasi alla morte. Le riflessioni contenute in
questi saggi di pensiero critico affrontano, con l’inconfondibile stile
radicato nella cultura, nella storia e nella letteratura ceca, il tema
del riso, quello del comico e del tragico nel mondo in cui domina la
banalità del male, la possibilità di una nuova concezione architettonica
e poetica della città, il ruolo di una filosofia che offre la libertà
di un nuovo rapporto con la realtà e apre lo spazio per un nuovo legame
comunitario. Kosík lascia in eredità al nuovo millennio un programma
“antidiluviano”, contro il diluvio della voracità, dell’avidità che
minaccia l’umanità.
Karel Kosík (1926 – 2003) filosofo originario della Repubblica Ceca. Nella sua opera principale, La dialettica del concreto,
presenta un’originale analisi comparata del pensiero di Martin
Heidegegr e del giovane Marx. I suoi scritti più recenti sono una
critica tagliente della società contemporanea, a tratti visionari, ma
sempre densi della concretezza politica che caratterizza tutto il lavoro
di Kosik.
Torna il filosofo legato alla Primavera di Praga
La lezione di Kosìk contro la farsa del nostro tempo
di Pier Aldo Rovatti Repubblica 29.6.13
Di Karel Kosík, filosofo cecoslovacco, si parlò molto in Italia
all’inizio degli anni Sessanta e fino alla Primavera di Praga, che
certamente lui nutrì con il suo pensiero critico e dissidente, poi
sempre meno fino a un completo silenzio. Quando morì nel 2003, a 77
anni, la rivistaaut aut — la stessa che nel 1961, grazie a Enzo Paci, lo
aveva fatto conoscere — gli dedicò un dovuto omaggio. Adesso esce una
raccolta di suoi saggi e interventi intitolata Un filosofo in tempi di
farsa e di tragedia (a cura di Gabriella Fusi e Francesco Tava, con una
introduzione di Laura Boella, nella collana “Gli imperdonabili” delle
edizioni Mimesis) e all’Università Statale di Milano se ne è parlato in
un seminario di studi promosso dalla stessa Boella. Curioso: proprio lì
dove, cinquant’anni fa, Kosík aveva tenuto la sua unica conferenza
milanese dedicata a “La ragione e la storia”, invitato da Paci.
Ma chi è Kosík? È innanzi tutto colui che con La dialettica del concreto
(pubblicata nel 1963 a Praga e tradotta nel ‘65 da Bompiani, oggi
introvabile) lanciò al marxismo ufficiale di allora un messaggio critico
di eccezionale portata, puntando sull’idea di filosofia come senso
della pratica trasformatrice e invitando a una rilettura radicale
delCapitale di Marx al di là di ogni naturalismo economicistico e di
ogni schematismo politico. Un libro che innervò la giovane generazione
intellettuale protagonista di quella “primavera”, facendo saltare molti
interdetti che penalizzavano pensieri considerati “irrazionalistici”
(Heidegger, Sartre, ecc.), compreso quello relativo all’importanza di
Kafka, smascherando le “pseudoconcretezze” e aprendo tutte le dimensioni
del campo del “concreto”, dall’arte alla vita quotidiana, alla politica
ricondotta alla “prassi” vincente.
Un libro, infine, che ovviamente venne letto e usato dai critici del
“socialismo reale”, e meno ovviamente incise a lungo nel dibattito a
Occidente che cercava un marxismo più umano e spendibile. Troviamo,
nelle pagine di Kosík, tante singolari anticipazioni: cito solo il suo
interesse per iGrundrisse di Marx, che erano al tempo ignoti anche da
noi (dopo, produssero dibattiti molto significativi soprattutto
all’interno dell’“operaismo”) e in cui lui vedeva il necessario volano
per non tagliare in due il pensiero di Marx, di là gli scritti giovanili
e filosofici e di qua quelli maturi sotto il segno esclusivo
dell’economia politica. Questo libro, La dialettica del concreto, tra
l’altro scritto con rara chiarezza, è stato completamente dimenticato,
letteralmente “sepolto” nel tritacarne di quella cultura dell’amnesia
che oggi è diventata dominante. Andrebbe ripubblicato, fatto circolare
presso le nostre giovani generazioni, troppo digiune di storia e troppo
analfabete di dialettica (parola, quest’ultima, che per Kosík andava
rimessa al centro di ogni pensiero critico, mentre per noi si è ridotta a
nulla più che un flatus vocis).
Sono stati in pochi, e perciò ancor più meritevoli, coloro che hanno
cercato di salvare la preziosa memoria di Kosík, a partire naturalmente
da Paci stesso (che lo conobbe in Francia a Royaumont e che di lì a poco
si sarebbe recato proprio a Praga per lanciare il suo discorso su
fenomenologia e marxismo, appoggiandosi anche alla filosofia di un altro
grande “dimenticato”, Jan Patocka, amico di Kosík), poi Gianlorenzo
Pacini, Guido Davide Neri, per arrivare a Gabriella Fusi e a Laura
Boella.
Dopo il ‘68 a Praga arrivarono i carri armati sovietici e con loro la
cosiddetta “normalizzazione”. Molti intellettuali dell’Est andarono in
esilio (e qui le vicende di Praga e quelle di Budapest si intrecciano,
penso agli allievi di Lukács e in primis ad Ágnes Heller). Kosík decise
invece di rimanere, accettando che un pesante silenzio calasse su di
lui: più volte nel catalogo Suhrkamp fu poi annunciata una sua opera sul
“tecno-capitalismo” che però non vide mai la luce. Il volume adesso
uscito in Italia testimonia di alcuni scritti e conversazioni degli anni
Novanta, una geniale conferenza sulla Metamorfosi di Kafka, un saggio
su “globalizzazione e morale”, uno sulla “mafiosità” degli attuali
poteri forti, interventi su altri temi vari (sull’architettura urbana,
ecc.).
Ancora più coinvolgenti sono comunque un paio di recuperi di scritti del
‘69, allora bloccati dalla censura: Il ragazzo e la morte, in cui
traluce il sacrificio del giovane Jan Palach (che si diede fuoco in
piazza San Venceslao, lasciando attonita l’opinione mondiale), e dove
viene posta a tema la filosofia come “offerta sacrificale”; eIl
riso,dove questo tema assai caro a Kosík viene declinato come condizione
spirituale del nostro tempo, un’epoca in cui saremmo ormai diventati
del tutto incapaci di vivere la condizione della “tragedia”, sprofondati
come siamo in quella della “farsa”. Ma, a guardar bene, resta un buco
nero di più di vent’anni, tanti, in cui Kosík sembra essersi
volontariamente sepolto vivo, condannato al silenzio, ben al di là —
sembra proprio — della sua stessa idea di filosofia comeuna sorta di
offerta sacrificale.
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