sabato 29 giugno 2013
Università: la "boiata" e le gravi complicità dei Rettori italiani
Kant? Un incapace per i nostri atenei
Giovanni Puglisi: perché alle nostre università serve un cambio di rotta L’intervista
Il rettore della Kore e dello Iulm, nonché presidente dell’Unesco
Italia, traccia un bilancio amaro: «La conoscenza ormai è stata ridotta a
un quiz»
intervista di Salvo Fallica l’Unità 29.6.13
«SE EMANUELE KANT TORNASSE A VIVERE E SI PRESENTASSE AD UN CONCORSO
PUBBLICO avendo scritto “solo” un capolavoro quale La critica della
Ragion Pura, con le attuali regole di valutazione del sistema
universitario italiano, non potrebbe vincerlo. Non basta una sola
pubblicazione. Se Einstein si presentasse con il celebre scritto sulla
teoria della Relatività ristretta, non lo farebbero nemmeno partecipare.
È un testo “troppo breve”. Sembra assurdo ma è la triste realtà di
questo Paese».
Sorride con amarezza, Giovanni Puglisi, rettore dell’università Kore di
Enna e dello Iulm, presidente dell’Unesco Italia, ed aggiunge: «Può
sembrare solo un paradosso provocatorio, eppure è una questione reale.
Se oggi Einstein si presentasse con quel testo, che ha cambiato la
visione del mondo, non entrerebbe nella griglia delle valutazioni delle
mediane, un sistema burocratico, quantitativo ed assurdo. Verrebbe
superato da un ricercatore che ha scritto molti testi ed ha avuto
parecchie citazioni. È un sistema talmente assurdo che lo stesso
ministero della Pubblica istruzione, successivamente alla sua
introduzione, ha sottolineato che non necessariamente bisogna tenerne
conto in maniera rigorosa. Sa quale sarà il risultato? Un ginepraio di
ricorsi giudiziari, alla fine saranno i giudici a doversi esprimere
sulla selezione dei docenti».
Puglisi esprime con nettezza e chiarezza le sue critiche in questo
dialogo con l’Unità, e mette in guardia sul rischio della deriva che
incombe sul sistema del sapere italiano, scuola ed università. Ma una
speranza la coglie nella visione culturale e nelle prime decisioni ed
azioni del nuovo ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza. «Ha le
idee chiare ed è partita bene. Condivido la sua impostazione culturale
sulla valorizzazione del merito e sulla centralità degli studenti nel
processo formativo. Ed ha anche la capacità del dialogo costruttivo. Vi è
però un limite...» Quale?
«È un limite che non dipende dal ministro Carrozza ma dal programma del
governo Letta. In nessun passaggio di quel programma vi è un accenno
alla riforma universitaria. Purtroppo Carrozza è costretta a muoversi
all’interno di una griglia legislativa che è ancora quella della
Gelmini. Potrà apportare modifiche innovative, fare riforme specifiche
ma per cambiare profondamente occorre mutare quell’impianto
strutturale».
Vi sono già atti concreti, come li giudica? «L’annuncio delle assunzioni
dei ricercatori è senz’altro positivo e in controtendenza rispetto ai
governi precedenti, ma la vera novità è il fatto di ottenere
l’innalzamento dal 20 al 50, in termini percentuali, del tetto
necessario per poter dare corso al turnover quando i docenti vanno in
pensione. È un risultato di estrema importanza. Le racconto un aneddoto.
L’altro giorno, durante l'incontro dei rettori con il ministro
dell'Istruzione, un collega ha detto: “Finalmente Saccomanni ha messo la
firma sul decreto”. Il ministro ha chiosato ironicamente: “Prima la
firma l’ha messa Carrozza”, rivendicando giustamente, in un quadro di
armonico confronto, l’autonomia del suo ruolo, che invece è apparso
subalterno nei governi precedenti. Non solo la Gelmini si è fatta
dettare la linea da Tremonti, ma anche Profumo ha seguito la linea
Monti-Grilli. Vorrei aggiungere che in quei casi vi è stato anche un
prevalere del potere della burocrazia del ministero dell’Economia
rispetto al potere politico. Ha fatto bene il ministro Saccomanni a
cambiare i vertici, non ne metto in dubbio la loro bravura, ma in
democrazia vanno fatte delle rotazioni, è fisiologico oltre che
razionale. Chi arriva ha uno spirito nuovo, guarda le cose in maniera
diversa».
Quali sono i limiti dell’università italiana? «Purtroppo negli ultimi 20
anni vi è stato un progressivo peggioramento, una moltiplicazione di
ruoli che ha avuto un effetto finanziario disastroso. In nome
dell’autonomia sono avvenuti fenomeni di dequalificazione, rettori e
presidi per ingraziarsi l'elettorato hanno aggregato, a volte, persone
diciamo di non alto profilo. Spesso i concorsi sono avvenuti in
coincidenza di elezioni di rettori e presidi. Questo è accaduto finché
la vacca, munta eccessivamente, non si è spenta. In questo sistema
impazzito, si è andata ad incardinare la riforma Gelmini con le sue
forme di reclutamento, che oggettivamente le debbo dire, qualche novità
l’hanno apportata, ma le novità si stanno dimostrando delle negatività.
Abbiamo già citato il paradosso di Einstein».
Quali sono gli altri punti deboli?
«Parliamo delle abilitazioni. Ebbene qui la pseudo novità consiste nel
fatto che occorrono 4 voti su cinque, invece di tre su cinque. Sa cosa
vuol dire? Basta che uno dei membri della commissione ne convince un
altro e la minoranza può ricattare la maggioranza. E per evitare la
paralisi, si potranno verificare molti casi di abilitazioni dei docenti
con l'unanimità dei voti. Ciò vuol dire che i commissari dovranno spesso
trovare una mediazione per evitare l'impasse. Per non parlare delle
abilitazioni prima delle sedi, che potranno portare ad abilitati di
serie A con le sedi, altri senza. Conoscendo l'Italia non è difficile
immaginare che resteranno fuori i migliori».
Rettore, il metodo quantitativo dall'università è giunto anche alle
scuole medie inferiori e superiori. Che ne pensa della cultura dei quiz?
«Il metodo quantitativo è semplicemente una boiata. La cultura dei quiz è
ancora peggio, è una sottocultura. La dobbiamo smettere di valutare la
storia, la letteratura, la filosofia con gli stessi metodi
dell’ingegneria, della clinica e della matematica. Così si finisce per
uccidere l’area umanistica. Alcuni insistono sulla necessità di regole.
Ma la regola non vuol dire omologazione. È servilismo culturale ed
esterofilo attingere a modelli di quiz pensati per altre realtà e
calarle in contesti diversi. Senza neanche delle opportune modifiche».
Sui media sono state pubblicate notizie sulle domande dei quiz del
concorsone per i docenti della scuola. Vi erano anche domande sulla
cucina e sulla moda. Dunque un insegnante che non sa queste nozioni non
può insegnare?
«Vede, la moda e la cucina sono cose che hanno una loro valenza
culturale, ma non necessariamente debbono far parte del bagaglio di
conoscenze di un insegnante di lettere. Ma ancor più grave è la medesima
concezione dei quiz, oppure i testi brevi di risposta agli scritti,
magari ispirati da una visione didattico-scolastica contraria
all’originalità interpretativa, all’approfondimento intelligente. In
questo modo non si selezionano i migliori, ma quelli che hanno alcune
nozioni in più, oppure sono semplicemente più fortunati. Siamo dinanzi a
una crisi storica del modello di valutazione, ormai simile ad una forma
di sorteggio. Con questi metodi non si coglie la qualità, la
preparazione autentica, la capacità di scrittura e di analisi critica.
Il metodo quantitativo porta la scuola italiana ad essere più debole
rispetto agli altri grandi Paesi. Si uccide la peculiarità della nostra
storia».
Professore, in Germania dove convivono armonicamente cultura umanistica e
scientifica, in parecchie scuole elementari studiano anche la
filosofia...
«In Italia invece ai professori nei concorsi pubblici chiedono qualcosa
sul taglio e cucito. Magari alcuni burocrati hanno sbagliato la taglia
dei vestiti, dimenticando le taglie grosse. Fuor di metafora, parlo di
burocrati, perché non penso che questa cultura dei quiz sia il frutto
della Minerva dell’ex ministro Profumo. Ho troppo rispetto per la sua
intelligenza, credo che sia stato mal consigliato da qualche burocrate o
esperto».
Vi è qualche possibilità di uscire da questo impasse?
«Come dicevo prima ho fiducia intellettuale nelle qualità del nuovo
ministro Carrozza, però avrà molte difficoltà ad intervenire in maniera
efficace su questi aspetti. L’omologazione verso la cultura dei quiz, il
metodo quantitativo applicato a tutto ed in maniera indistinta è ormai
una moda. Vi è una deriva pericolosa, se non la si ferma ed inverte
avremo un ulteriore decadimento del sistema del sapere ed anche una
opinione pubblica peggiore. Serve un nuovo metodo formativo e valutativo
che recuperi i valori della cultura e li coniughi con le innovazioni,
lo spirito scientifico e tecnologico. Ma il tutto deve avvenire in
maniera critica, sì alla multidisciplinarità, non alla distruzione delle
specificità e delle differenze».
Il dibattito è aperto...
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