Risvolto
sabato 21 settembre 2013
La distribuzione della ricchezza nelle varie fasi del capitalismo
Risvolto
La répartition des richesses est l’une des
questions les plus débattues aujourd’hui. Pour les uns, les inégalités n’en
finiraient pas de se creuser dans un monde toujours plus injuste. Pour les
autres, on assisterait à une réduction naturelle des écarts et toute
intervention risquerait de perturber cette tendance harmonieuse. Mais que
sait-on vraiment de l’évolution des inégalités sur le long terme ? En réalité,
les analyses économiques supposées nous éclairer se fondent plus souvent sur des
spéculations théoriques que sur des faits établis.
Fruit de quinze ans de recherches, cette étude,
la plus ambitieuse jamais entreprise sur cette question, s’appuie sur des
données historiques et comparatives bien plus vastes que tous les travaux
antérieurs. Parcourant trois siècles et plus de vingt pays, elle renouvelle
entièrement notre compréhension de la dynamique du capitalisme en situant sa
contradiction fondamentale dans le rapport entre la croissance économique et le
rendement du capital.
Si la diffusion des connaissances apparaît comme
la force principale d’égalisation des conditions sur le long terme, à l’heure
actuelle, le décrochage des plus hautes rémunérations et, plus encore, la
concentration extrême des patrimoines menacent les valeurs de méritocratie et de
justice sociale des sociétés démocratiques.
En tirant de l’expérience des siècles passés des
leçons pour l’avenir, cet ouvrage montre que des moyens existent pour inverser
cette tendance.
Directeur d’études à l’EHESS et professeur à
l’École d’économie de Paris, Thomas Piketty est l’auteur de nombreux
travaux historiques et théoriques qui lui ont valu, en 2013, le prix Yrjö
Jahnsson décerné par la European Economic Association.
Il nuovo millennio delle diseguaglianze
Un mondo eguale all'Ottocento. Un libro che propone una tesi che ha suscitato aspre polemiche in Francia
APERTURA - Anna Maria Merlo il manifesto 2013.09.14 - 11 CULTURA
L'ex galeotto Vautrin, rivelando cinicamente
allo studente spiantato Eugène de Rastignac i meccanismi sociali, gli
aveva spiegato che era molto più conveniente sposare un'ereditiera che
studiare e lavorare. Balzac scrive Le Père Goriot nel 1835. Per tutto il
XIX secolo e l'inizio del XX, fino alla Belle Epoque, questo
suggerimento resta valido. Ai tempi di Proust, a Parigi viveva un
ventesimo della popolazione francese, ma la capitale concentrava un
quarto dei patrimoni del paese. La «prima mondializzazione» (1870-1914)
ha accresciuto le diseguaglianze sociali. Poi le due guerre mondiali, le
distruzioni materiali, l'inflazione e anche alcune scelte politiche
hanno ridotto il peso dei patrimoni. Ma oggi, nell'epoca di un'altra
mondializzazione, il XXI secolo rischia di tornare al passato e di
assomigliare al XIX. È la tesi di un poderoso volume dal titolo
ambizioso, Le capital au XXIe siècle , che l'economista Thomas Piketty
pubblica da Seuil (pp. 969, euro 25). «All'inizio del XXI secolo
l'eredità non è lontana dal ritrovare l'importanza che aveva all'epoca
del Père Goriot » afferma Piketty. La spiegazione economica di questa
minaccia è la seguente: «poiché il tasso di rendimento del capitale
oltrepassa durevolmente il tasso di crescita della produzione e del
reddito, situazione che è durata fino alla fine del XIX secolo e che
rischia fortemente di tornare ad essere la norma nel XXI secolo, il
capitalismo produce meccanicamente delle ineguaglianze insostenibili,
arbitrarie, rimettendo radicalmente in causa i valori meritocratici sui
quali si fondano le società democratiche».
Il passato che torna
Piketty, basandosi su una considerevole massa di dati statistici
(soprattutto di Francia, Gran Bretagna, Usa, ma anche dei paesi
emergenti grazie alla World Top Incomes Database), analizza la questione
della ripartizione delle ricchezze e, quindi, dell'ineguaglianza. Tra
Marx che aveva analizzato l'accumulazione e la concentrazione del
capitale, e Kuznets, che ottimisticamente credeva nelle forze
equilibratrici della crescita, della concorrenza e del progresso
tecnico, che avrebbe dovuto portare spontaneamente alla riduzione delle
ineguaglianze. Gli spari dei poliziotti contro i minatori, a Marikana
vicino a Johannesburg il 16 agosto 2012, che hanno fatto 34 morti tra i
lavoratori che chiedevano un aumento di stipendio che la compagnia
mineraria con sede a Londra non voleva concedere per poter versare
maggiori dividendi agli azionisti, ci ricorda l'attualità dello scontro
tra lavoro e capitale. A Heymarket Square, a Chicago, il 1˚ maggio 1886
c'erano state violenze analoghe. «Lo scontro tra capitale e lavoro
appartiene al passato oppure sarà una delle chiavi del XXI secolo?» si
chiede Piketty. La questione della ripartizione delle ricchezze è già al
centro dell'economia politica classica. Malthus, a fine Settecento,
vede la minaccia nella sovrappopolazione. Ricardo si inquieta del prezzo
della terra, bene raro, e della rendita fondiaria. Cinquant'anni dopo
Ricardo, Marx analizza la dinamica del capitalismo in pieno sviluppo. I
dati statistici dicono che «una crescita debole permette di equilibrare
solo debolmente il principio marxista di accumulazione permanente».
Storicamente, nei paesi europei industrializzati i salari cominciano a
crescere, molto debolmente, solo nell'ultimo terzo del XIX secolo: ma
«dal momento in cui il tasso di crescita della popolazione e della
produttività è relativamente debole, i patrimoni accumulati nel passato
assumono naturalmente un'importanza considerevole, potenzialmente
smisurata e destabilizzatrice per le società». L'happy end prevista
dalla curva a U di Simon Kuznets a metà del secolo scorso - le
ineguaglianze di reddito destinate a diminuire nella fase avanzata dello
sviluppo capitalistico - non ha luogo all'inizio del XXI secolo. Certo,
c'è stata una forte riduzione delle ineguaglianze di reddito tra la
prima guerra mondiale e la fine della seconda: negli Usa, il 10% degli
americani più ricchi concentrava ogni anno il 45-50% del reddito
nazionale negli anni Dieci. Alla fine degli anni Quaranta, questa
percentuale è caduta al 30-35% (oltre alle guerre e all'inflazione, un
ruolo l'ha avuto anche l'imposta progressiva sul reddito, introdotta nel
1913 negli Usa, nel 1909 in Gran Bretagna, nel 1914 in Francia, nel
1922 in India, nel 1932 in Argentina). Ma dagli anni Settanta-Ottanta,
la tendenza si è invertita. Dal secondo dopoguerra c'è stato il tempo
per ricostruire i patrimoni e la svolta di Reagan, con l'abbassamento
delle tasse, ha fatto il resto. Le ineguaglianze crescono: negli Usa,
dimostra Piketty, «la concentrazione dei redditi ha ritrovato negli anni
2000-2010, o addirittura leggermente oltrepassato, il livello record
degli anni 1910-1920». Tra il 2000 e il 2010 nei paesi ricchi è stato
ritrovato il livello di capitalizzazione di Borsa (in proporzione alla
produzione interna o al reddito nazionale) esistente a Parigi o a Londra
negli anni 1900-1910. Oggi, il valore del capitale finanziario,
immobiliare nei paesi ricchi è equivalente a sei anni di produzione e di
reddito nazionale, un rapporto simile a quello che esisteva nel XIX
secolo. Piketty si chiede: «il mondo del 2050 o 2100 sarà posseduto dai
traders , dai super dirigenti e da chi controlla patrimoni importanti,
oppure dai paesi petroliferi, o ancora dalla Banca di Cina, a meno che
non siano i paradisi fiscali, che ospitano, in un modo o nell'altro,
l'insieme di questi attori?».
Una tendenza da invertire
Per evitare questa deriva , Pikeyy invoca scelte politiche, poiché «non
esiste nessun processo naturale e spontaneo che permetta di evitare che
le tendenze destabilizzatrici e che portano all'ineguaglianza con
l'abbiano vinta durevolmente». La principale fonte di convergenza dei
redditi è la diffusione delle conoscenze e l'investimento nella scuola
per tutti, sia all'interno di ogni paese che tra paesi. A questo Pikeyy
suggerisce di aggiungere un'imposta mondiale progressiva sui redditi da
capitale, perché l'eguaglianza formale dei diritti di fronte alla forza
del mercato non è sufficiente per garantire una società più giusta. Ma
la vicenda della tassa sulle transazioni finanziarie, che avrebbe dovuto
essere introdotta in nove paesi della Ue, ma che progressivamente è
svuotata di ogni contenuto e di fatto abbandonata, ci dice che la
battaglia sarà lunga e difficile, senza nessuna certezza di vincerla.
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