lunedì 28 ottobre 2013
Grandi migrazioni e questione dei diritti
Paul Collier: Exodus. How Migration is Changing Our World, Oxfort U.P.
Risvolto
It is one of the most pressing and controversial questions of our time
-- vehemently debated, steeped in ideology, profoundly divisive. Who
should be allowed to immigrate and who not? What are the arguments for
and against limiting the numbers? We are supposedly a nation of
immigrants, and yet our policies reflect deep anxieties and the quirks
of short-term self-interest, with effective legislation snagging on
thousand-mile-long security fences and the question of how long and
arduous the path to citizenship should be.
In Exodus, Paul Collier, the world-renowned economist and bestselling author of The Bottom Billion,
clearly and concisely lays out the effects of encouraging or
restricting migration. Drawing on original research and case studies, he
explores this volatile issue from three perspectives: that of the
migrants themselves, that of the people they leave behind, and that of
the host societies where they relocate.
As Collier shows,
emigrants from the poorest countries of the world tend to be the best
educated and most ambitious. And while these people often benefit
economically by leaving their home countries, they also drain these
countries of the skills they so desperately need. In the absence of
controls, emigration would accelerate: the poorest countries would face
nothing less than a mass exodus. Ultimately the danger is that both host
and countries of origin may lose their national identities -- an
outcome that would be disastrous, Collier argues, as national identity
remains a powerful force for good. Migration must be restricted to
ensure that it benefits both those countries left behind and those
opening their doors.
Immigration is a simple economic equation, but its effects are complex. Exodus
confirms how crucial it will be that public policy face and address all
of its ramifications. Sharply written and brilliantly clarifying, Exodus offers a provocative analysis of an issue that affects us all.
Fabio Marcelli (a cura di): Immigrazione, asilo e cittadinanza universale, Editoriale scientifica Napoli, pagg. 488, euro 30
L’Europa dei migranti
di John Lloyd Repubblica 27.10.13
L’immigrazione
incombe come un nuvolone nero sull’Europa, soprattutto sull’Italia.
Lampedusa era famosa tra i turisti per le sue belle spiagge e tra i
lettori per il fatto di chiamarsi come l’autore de “Il Gattopardo”. Oggi
il nome dell’isola evoca in milioni di persone immagini di bare,
dolore, morte. La sua vicinanza all’Africa del nord la destina a ciò, in
quanto la sua posizione geografica implica anche il fatto che è vicina
alla guerra, alla povertà, alla disperazione.
Che cosa può alleviare
questa sofferenza? Nell’immediato niente: disperazione significa che i
rischi di un viaggio pieno di pericoli sono considerati inferiori a una
misera vita se si resta in Somalia, o in Eritrea, o in Libia. Ma sul
lungo periodo, con una mentalità diversa, con modi di intervento
diversi, i migranti potrebbero esserci di aiuto in Europa, e potrebbero
giovarsi loro stessi del fatto di entrarvi.
Dobbiamo iniziare a
pensare in modo diverso, perché l’immigrazione sta diventando il
nocciolo del dibattito europeo, e continuerà a crescere di importanza
nei prossimi mesi. L’estrema destra sta guadagnando terreno: la vittoria
del Front National francese nell’elezione del sindaco della cittadina
di Brignolles, nel sud del paese, in precedenza in mano ai comunisti, è
stata vista come il segnale di una dissociazione dai partiti di centro,
soprattutto da parte della classe operaia.
Ipotizzando che questo
fenomeno continui, il nuovo Parlamento europeo, dopo le elezioni del
maggio 2014, si ritroverà un intero blocco di partiti – comprendente il
Front National, il britannico Ukip, il Partito per la libertà olandese, i
Veri Finlandesi, e l’Alternativa tedesca per la Germania – fortemente
contrario all’immigrazione o all’Unione europea o all’euro come valuta, o
a tutte e tre le cose insieme.
Un modo di pensare del tutto diverso è
il tema di un libro di recente pubblicazione. Paul Collier, direttore
del Centro per gli studi delle economie africane a Oxford è uno dei più
stimati esperti di povertà al mondo. Nel suo nuovo libro,Exodus, Collier
indica i presupposti di un nuovo approccio al problema
dell’immigrazione, con modalità a un tempo stesso razionali e
compassionevoli. “L’esodo di ogni singolo individuo scrive Collier - è
un trionfo dello spirito umano”. Coloro che lasciano le loro società di
origine, spesso per la prima volta, necessitano di coraggio, di abilità
organizzativa, di fede nel sogno del loro futuro. Per quanti avranno
successo, la vita quasi sempre migliorerà. Per i poveri delle società di
buona parte dell’Africa (ma non soltanto lì) il divario tra il reddito a
casa loro e ciò che potrebbe attenderli altrove è immenso.
È per
questo motivo che arrivano: per una vita migliore. Dal punto di vista
materiale le cose vanno ancora meglio: la maggior parte di loro vuole
guadagnare e molti spediscono a casa parte di ciò che guadagnano. Alcuni
faranno anche più mestieri, dato che i posti di lavoro che trovano di
solito sono scarsamente retribuiti.
Ciò dimostra, prosegue Collier,
che gli immigrati daranno vita a un “modesto aumento” nella crescita
economica del paese che li ospita. Aumenteranno la concorrenza per i
posti di lavoro, e così facendo possono migliorare i salari dei
lavoratori già occupati, a eccezione di chi è più in basso nella scala
delle retribuzioni. Lo fanno a condizione – e questa è la condizione più
importante – che l’immigrazione sia di per sé modesta.
L’immigrazione,
riconosciuta dalla maggioranza come adeguatamente controllata e
relativamente bassa, può essere assorbita. Ma i fattori cruciali e
determinanti – sempre secondo Collier – sono le dimensioni
dell’immigrazione e della diaspora all’interno dei paesi che li
ospita-no. Quando questi fattori diventano molto grandi, quando gli
immigrati restano separati dalla comunità che li ospita – compresi molti
che sono loro stessi discendenti di immigrati – i problemi aumentano.
Aumenteranno in maniera particolare se gli immigrati non abbracciano i
valori di fondo e i comportamenti della loro nuova terra.
Gli
immigrati si portano appresso come un bagaglio le loro abitudini, buone e
brutte che siano. Chi arriva da paesi poveri e sconvolti dalla guerra
spesso ha bassi livelli di fiducia nel prossimo e continua così. Gli
immigrati che vengono da società lacerate dalla criminalità spesso hanno
un comportamento da delinquenti e rapporti con i criminali. Nella
maggior parte dei paesi europei, gli immigrati sono rappresentati nella
popolazione carceraria in percentuali sproporzionatamente alte.
Pochi
soggetti, radicalizzati dalla propaganda islamista, diventano
terroristi: la polizia keniana ha identificato uno dei terroristi di
al-Shabab che a settembre hanno preso in ostaggio un intero centro
commerciale a Nairobi nella persona di Hassan Abdi Dhuhulow, un
cittadino norvegese di origini somale. Una prova come questa aumenta la
diffidenza popolare, soprattutto nei confronti dei musulmani.
In
Exodus Collier è particolarmente critico nei confronti di chi crede che
stiamo entrando in un’epoca di “post-nazionalismo”, e che l’Ue abbia
eliminato la necessità di leadership e disciplina nazionale. Egli scrive
che le nazioni “sono importanti unità morali”: ciò significa che se
intendono restare e integrarsi, gli immigrati in un paese ospite devono
assorbire l’etica, sia esplicita sia implicita, della vita quotidiana.
Molti nativi locali non seguono per primi le norme comportamentali,
naturalmente, ma un immigrato farà bene a seguire gli esempi migliori,
non i peggiori.
I paesi sono i loro popoli: i migranti che vengono
per restare e diventare residenti a lungo termine o cittadini diventano
dunque parte di un paese. Questi paesi sono ricchi allorché le loro
politiche sono più o meno stabili, e soprattutto quando tutti i loro
cittadini lavorano bene e sodo. Ciò implica avere buone leggi, aziende
ben amministrate, e lavoratori desiderosi di lavorare come si deve.
Molti datori di lavoro lodano le abitudini lavorative degli immigrati e
le mettono a confronto favorevolmente con quelle dei lavoratori locali:
gli immigrati che non raggiungono quel livello si espongono a critiche e
pregiudizi.
I paesi stabili politicamente sono quelli nei quali la
maggior parte della popolazione ha accettato, di buon grado, sia
l’ordine morale sia l’ordine legale: ciò significa che l’ordine non deve
essere ribadito di continuo, perché è parte della volontà popolare.
Gli
immigrati devono diventare parte di tutto ciò: laddove a livello
individuale o come gruppo danno segno di disprezzare quell’ordine, o di
volerlo rovesciare, diventano attaccabili.
E infine: le nazioni dalle
quali arrivano gli immigrati sono state le loro patrie. Di solito
partono con riluttanza e dispiacere, ma lo fanno perché nel restarvi non
intravedono speranze. Noi che abitiamo in paesi ricchi abbiamo il
dovere – nei confronti dei più indigenti al mondo, ma anche di noi
stessi – di essere molto più attivi nel fornire aiuto e sostegno per lo
sviluppo degli Stati falliti o di quelli in procinto di esserlo. Il
dovere nei loro confronti può essere espressione di un sentimento
religioso o umano. E tutto sommato è nel nostro stesso interesse, perché
così si affronta direttamente il problema del terrorismo, che prospera
proprio negli stati falliti e, col passare del tempo, si ridurrà il
flusso dei disperati che inizieranno a intravedere qualche speranza dove
si trovano, a casa loro.
Traduzione di Anna Bissanti
L'ANTICIPAZIONE · Un libro sulla cittadinanza universale
ARTICOLO - Fabio Marcelli il manifesto 2013.10.27 - 06 da dirittiglobali
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