giovedì 21 novembre 2013
Gli scritti politici di Jack London
Jack London: Lotta di classe e altri saggi sul socialismo di
inizio ’900, prefazione di Goffredo Fofi, Malcor D’, pagine
128, euro 14,00
Risvolto
Il libro riporta alla luce la straordinaria
raccolta dei discorsi politici di Jack London, che offrono al lettore
una inedita versione dello scrittore quale sapiente interprete dei
fenomeni di industrializzazione negli Stati Uniti del secolo scorso.
L'incondizionata adesione agli ideali dell'emancipazione umana, del
socialismo, del riscatto sociale emerge prepotente in ciascuna delle
pagine proposte. In questa raccolta originale sono presenti, oltre a
quello che dà nome al libro, i seguenti saggi: "Il vagabondo", "Il
crumiro", "La questione del massimo" e "Come sono diventato socialista".
Una fotografia lucida e attenta, oltre che magistralmente narrata,
della società americana di inizio '900. London descrive la delusione di
gran parte della popolazione, in particolare della classe proletaria,
illusa dalla promessa del sogno americano di una vita dignitosa per
tutti. Il socialismo diventa così il collante per questi emarginati
nella lotta contro il nemico comune. Prefazione di Goffredo Fofi.
«Io, Jack il rosso»
L’autore di «Zanna Bianca» racconta com’è diventato socialista Raccolti
in volume i discorsi politici di London: la lotta di classe, la
necessità dell’emancipazione dei lavoratori, le battaglie per i portuali
e gli operai la difesa dei vagabondi
di Jack London l’Unità 21.11.13
Anticipiamo un brano di Jack London tratto da «Lotta di classe e altri
saggi sul socialismo di inizio ’900» (collana Persistenze, prefazione di
Goffredo Fofi, pagine 128, euro 14,00). Il libro è pubblicato da Malcor
D’Edizione, una giovanissima casa editrice di saggistica.
È BENE SPIEGARE CHE SONO DIVENTATO SOCIALISTA IN UN MODO PIUTTOSTO
SIMILE A QUELLO IN CUI I PAGANI TEUTONICI DIVENNERO CRISTIANI: MI FU
SCOLPITO A FORZA. Non solo al momento della mia conversione non ero un
simpatizzante del socialismo, ma lo stavo combattendo. Ero molto giovane
e inesperto, non sapevo molto e anche se non avevo mai sentito parlare
di una scuola chiamata «individualismo» elogiavo la forza con tutto il
mio cuore.
Questo perché ero forte. Per forte intendo dire che godevo di ottima
salute e avevo muscoli d’acciaio, caratteristiche ben visibili. (...) Il
mio ottimismo era dovuto al fatto che fossi sano e forte, non avevo
debolezze né venivo mai cacciato da un padrone perché non ero in forma;
avevo sempre trovato un lavoro, che fosse spalare carbone o stare sulle
navi, o qualsiasi altro lavoro manuale.
Per questo motivo, soddisfatto della mia giovane vita e in grado di
mantenere il mio posto di lavoro e di vincere nella lotta, ero un
individualista rampante. Era piuttosto naturale perché ero un vincente.
Perciò consideravo la concorrenza e la competizione una cosa da veri
uomini. Essere UOMO significava scrivere questa parola a caratteri
cubitali nel mio cuore. Avventurarmi e combattere come un uomo, svolgere
il lavoro di un uomo (anche per una paga da ragazzo), queste erano le
cose che avevo raggiunto e che si facevano parte di me come
nessun’altra. E guardando avanti all’orizzonte di un futuro nebuloso e
interminabile, giocando a quello che ho concepito essere il gioco
dell’uomo, avrei continuato a viaggiare, godendo di ottima salute, senza
incidenti e con muscoli sempre vigorosi. Come dicevo, questo futuro
appariva interminabile. Mi vedevo affrontare una vita senza fine come
una delle bestie bionde di Nietzsche, desiderosa e conquistatrice di
superiorità e di forza pura.
Devo confessare che non pensavo ai disgraziati, ai malati e agli uomini
in difficoltà, ai vecchi e ai mutilati, se non maturando che, a meno di
incidenti, avrebbero potuto essere efficienti nel lavoro quanto me, se
lo avessero voluto realmente. Gli incidenti rappresentavano il fato,
scritto anche in maiuscole e non c’era possibilità di evitarlo.
Napoleone aveva avuto un incidente a Waterloo, fatto che non ha smorzato
in me il desiderio di essere un novello Napoleone.
(...) La dignità del lavoro era per me la cosa più importante. Senza
aver letto Carlyle o Kipling, formulai un vangelo del lavoro che avrebbe
messo i loro in ombra. Il lavoro era tutto: santificazione e salvezza.
Non potreste comprendere l’orgoglio che ottenevo da una dura giornata di
lavoro. Ero uno fra gli schiavi salariati più coscienziosi che un
capitalista avrebbe mai potuto sfruttare. Mostrarmi inoperoso agli occhi
dell’uomo che mi pagava il salario era un peccato, in primo luogo,
contro me stesso e in secondo luogo, contro di lui. Lo consideravo un
crimine secondo solo al tradimento ma altrettanto malvagio. In breve, il
mio individualismo eroico era dominato dall’etica ortodossia borghese.
Leggevo giornali borghesi, ascoltavo i predicatori borghesi e non
reagivo alle banalità urlate dai politici borghesi. Non dubito che se
altri eventi non avessero cambiato la mia vita, mi sarei trasformato in
un crumiro professionista (uno degli eroi americani del Presidente
Eliot), la mia testa e le mie capacità di guadagno sarebbero state
irrimediabilmente distrutte da un manganello nelle mani di qualche
sindacalista militante.
Ma un giorno, di ritorno da un viaggio in mare lungo sette mesi, appena
compiuti diciotto anni, pensai di cominciare a vagabondare per il mondo.
Tra i bagagli dei treni merci abbandonai l’Occidente, dove gli uomini
lottavano e il lavoro non mancava e cacciava l’uomo, mi avventurai verso
i centri di lavoro industriali dell’Oriente, dove gli uomini erano
inetti e cercavano lavoro. In questa avventura mi sono trovato a
guardare alla vita da un punto di vista nuovo e completamente diverso.
Ero passato dal proletariato a quello che i sociologi amano chiamare il
«decimo sommerso», ed ero sorpreso di scoprire il modo in cui veniva
reclutato questo sommerso.
Vi trovai ogni sorta di uomini, molti dei quali un tempo erano stati in
buona salute come me, come le «bestie bionde»; marinai, soldati, operai,
tutti lacerati e deformati dalla fatica, dal travaglio e dagli
incidenti, alla deriva come cavalli alla fine della loro carriera. Ho
mendicato, rabbrividivo con loro per il freddo sui carri merci e nei
parchi pubblici, ho ascoltato storie di vita iniziate sotto i migliori
auspici come la mia, con forza fisica pari o migliore alla mia, che si
sono concluse sotto i miei occhi con lo sfascio e il risucchio nella
parte più misera della fossa sociale.
E mentre ascoltavo queste storie ho iniziato a riflettere. Ero vicino
alle donne di strada e agli uomini delle fogne. Ho visto l’immagine
della fossa sociale tanto vividamente come se fosse una cosa concreta e
li ho visti in fondo alla fossa, io sopra di loro, non lontano, appeso
alla parete scivolosa con forza e sudore per non scivolare. Confesso di
aver avuto paura. Che sarebbe successo quando non avrei avuto più le
forze? Quando non sarei più stato in grado di lavorare al fianco di
uomini giovani e forti? In quel momento decisi e formulai un giuramento
simile a questo: «Ho sempre lavorato con tutte le forze, ma sono sempre
più vicino al fondo della fossa. Uscirò fuori dalla fossa, ma non grazie
ai muscoli del mio corpo; e non svolgerò più il lavoro duro e che Dio
mi fulmini a morte se lavorerò ancora in modo duro, più di quanto il mio
corpo possa sopportare o sia assolutamente necessario fare». E da quel
momento mi sono dato da fare per sfuggire al duro lavoro.
Tra l’altro, durante un viaggio di circa diecimila miglia attraverso
Stati Uniti e Canada, mi trovai a vagabondare alle Cascate del Niagara e
fui beccato da un poliziotto borghese; mi è stato negato il diritto di
difendermi, sono stato condannato a una pena detentiva di trenta giorni
perché senza fissa dimora e senza mezzi visibili di sostentamento, sono
stato ammanettato e incatenato a un gruppo di uomini nelle mie stesse
condizioni, sono stato portato giù al paese di Buffalo e registrato
presso il penitenziario di Erie County; mi hanno rasato la testa e i
baffi e mi hanno vestito a strisce da carcerato, sono stato vaccinato
obbligatoriamente da uno studente di medicina praticante, mi hanno fatto
marciare incatenato e ho lavorato sorvegliato da guardie armate di
fucili Winchester; il tutto per amore dell’avventura, come le «bestie
bionde». Non ho altro da aggiungere sebbene possa affermare che questa
esperienza ha attenuato il mio entusiastico patriottismo, abbandonando
la mia anima. Ho compreso che per la mia vita uomini, donne e bambini
erano più importanti delle linee geografiche immaginarie.
Ritornando alla mia conversione, penso sia evidente che l’
individualismo rampante mi aveva abbandonato e che adesso dentro di me
nasceva qualcos’altro. Senza saperlo ero stato un individualista e
adesso ero un socialista inconsapevole, di stampo non scientifico. Ero
rinato senza cambiare nome e andavo in giro a scoprire cosa fossi
diventato. Tornai di corsa in California e iniziai a leggere. Non mi
ricordo quale fu la mia prima lettura, ma è un dettaglio irrilevante.
Ero già quell’altro, qualunque fosse il mio nome; e con l’aiuto dei
libri ho scoperto di essere diventato socialista. Da quel giorno ho
letto parecchi libri, ma nessuno di argomento economico; nessuna
dimostrazione lucida della logica e dell’inevitabilità del socialismo mi
ha colpito così tanto profondamente e in modo talmente convincente
quanto quel giorno in cui ho visto le pareti della fossa sociale
crescere intorno a me fino a soffocarmi e io che scivolavo in fondo alla
miseria più profonda.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento