mercoledì 20 novembre 2013

L'integrazione sistemica del neofascismo italiano


Questo movimento fu sempre integrato, anche quando era nella fogna. Solo che alla originaria funzione d'ordine (fare il lavoro sporco) è seguita una integrazione più compiuta [SGA].

Davide Conti: L'anima nera della Repubblica, Laterza

Risvolto
Quando il 27 gennaio 1995 il congresso di Fiuggi chiude la storia del Movimento Sociale Italiano il partito degli eredi di Salò è tornato alla guida politica del paese. Si conclude così una storia iniziata nel dicembre 1946 con la fondazione semiclandestina del Msi, a lungo forza politica di contestazione di legittimità delle istituzioni costituzionali e alternativa al sistema.

Il partito di Michelini e Almirante, i due segretari che segnano quasi per intero la vicenda del Msi dal 1954 al 1987, ha dato voce e rappresentanza all’’anima nera’ di una Repubblica che, nata sulle rovine del fascismo, non riuscì nel dopoguerra a sancire una rottura definitiva con l’eredità del regime. Nel corso della sua storia il partito rappresentò un ideologico magma carsico che, pur non riconoscendosi nei valori fondativi della Costituzione, riuscì ad esercitare un ruolo negli equilibri politici della democrazia repubblicana.

Un movimento antisistema con doppietto e manganello
La parabola del Msi, il partito neofascista capace di alleanze con gli «anticomunisti costituzionali»
APERTURA - Saverio Ferrari



Il Movimento sociale italiano non rappresentò solo un'esperienza testimoniale, un approdo unicamente reducistico, ininfluente rispetto alle vicende politiche. Un «polo escluso», come definito da qualcuno. Condizionò, invece, a più riprese il quadro politico e istituzionale, consentendo, fra il 1953 e il 1960, la nascita di ben quattro governi a guida democristiana (Pella, Zoli, Segni e Tambroni), nonché l'elezione di due presidenti della Repubblica, Giovanni Gronchi nel 1955 e Giovanni Leone nel 1972, quest'ultimo grazie proprio ai voti missini. Non solo, tra i primi anni Sessanta e la metà dei Settanta, nel pieno dispiegarsi della strategia della tensione, entrò in stretta relazione con i vertici militari italiani, con gli ambienti Nato e dell'Alleanza atlantica, con settori industriali, ma anche, in campo internazionale, con la destra repubblicana di Richard Nixon. Fece parte integrante di quell'ampio schieramento anticomunista che si costituì nel nostro paese e che operò dietro tutti i piani eversivi e di messa in discussione delle istituzioni democratiche, tentando addirittura di assumerne un ruolo guida. Di questo tratta in particolare L'anima nera della Repubblica di Davide Conti (pp. 226, euro 20 euro, Laterza), un libro che ricostruisce la storia dell'Msi in stretta connessione con l'evolversi delle più generali vicende politiche, economiche e internazionali. Una storia non solo partitica, si potrebbe dire, ma dell'estrema destra nel suo complesso, con uno sguardo sul passato recente e il presente. Qualcuno, forse, ha già dimenticato come l'Msi, nel 1994, con il suo top elettorale di sempre (il 13,5%), ancor prima di trasformarsi in Alleanza nazionale, riuscì nel quadro della fine della prima Repubblica, a diventare forza di governo insieme a Forza Italia e Lega.

Tra inserimento e sovversioneIndipendentemente dal carattere nostalgico, l'Msi cercò subito, nell'immediato dopoguerra (nacque il 26 dicembre 1946), di ritagliarsi uno spazio politico nell'alveo anticomunista. Dirimenti in questo senso furono le vicende internazionali. Prima la guerra di Corea del 1950, poi la rivolta antisovietica di Budapest nel 1956, portarono l'Msi a un sostegno pieno dell'Alleanza atlantica, accettata come «sistema militare anticomunista», a favore del quale già nel 1951 il suo gruppo dirigente si era espresso, nonostante le organizzazioni giovanili missine inscenassero manifestazioni antiamericane in opposizione alla ratifica del patto. D'altro canto l'ambivalenza e la doppiezza furono tra le costanti di tutta la sua storia, sempre in bilico tra inserimento e sovversione. «Inserimento», da un lato, negli anni Cinquanta e nei primissimi Sessanta, nell'area governativa, a destra della Democrazia cristiana, come contrappeso alle aperture nei confronti dei governi di centro sinistra, «sovversione», dall'altro, nei termini della riproposizione di sé come forza «alternativa al sistema», che lo spinse a coltivare un violento e sistematico squadrismo, a costituire gruppi paramilitari, ma soprattutto ad assecondare le pulsioni golpiste che in quegli anni attraversavano le forze armate, o parte di esse, progetto attorno al quale negli anni Settanta disegnò le proprie prospettive.
I fatti del luglio Sessanta con la sconfitta del governo Tambroni, nato con il sostegno determinante dei parlamentari missini, costretto alle dimissioni dalle proteste di piazza, portò all'irreversibile crisi di ogni opzione strategica di inserimento. Da qui anche una svolta con la decisione dell'Msi di costituire strutture parallele armate con la convergenza dell'ala guidata da Giorgio Almirante con tutta la galassia della destra extraparlamentare, da Ordine nuovo ad Avanguardia nazionale, nella prospettiva di uno scardinamento violento delle istituzioni repubblicane.
L'idea di un colpo di Stato attraversò gli stessi vertici dell'Arma dei carabinieri, si pensi al «Piano Solo» che coinvolse nell'estate del 1964 l'allora Presidente della Repubblica Antonio Segni e il generale Giovanni De Lorenzo, ma anche ampi settori dell'esercito. Gli atti finali del famoso convegno all'Hotel «Parco dei Principi» di Roma, agli inizi di maggio del 1965, promosso proprio dallo Stato maggiore, sono ancora lì a dimostrarlo.
I rapporti con gli ambienti militari furono strettissimi, collocando l'Msi all'interno di quell'«atlantismo radicale», volto al contrasto del Pci nei termini della cosiddetta «controinsorgenza» e della «guerra rivoluzionaria», con la collaborazione prevista tra militari e civili lungo crinali eversivi. I colonnelli che avevano, nell'aprile del 1967, assunto il potere in Grecia, indicavano la strada. Da qui lo svilupparsi della strategia della tensione come «strategia politico-militare di origine atlantica».
Giorgio Almirante fu il primo segretario dell'Msi, nell'immediato dopoguerra, ma soprattutto, dopo un lungo intervallo, al suo comando dal 1969 fino quasi alla fine degli anni Ottanta. Rispetto ai suoi predecessori rideclinò la politica di inserimento in modo assai più aggressivo, puntando alla frattura fra i partiti antifascisti con settori della Dc, Pli e Psdi. Una sorta di schieramento nazionale «anticomunista». Sotto la sua guida cercò di coniugare la carica «antisistema» delle origini, con il richiamo alla «piazza di destra», il ribellismo dei moti di Reggio Calabria (1970), ampiamente sostenuti, con una politica di «legge» e «ordine». «Doppiopetto e manganello», come si disse allora. A tale scopo riaggregò anche tutto l'estremismo extraparlamentare. I «bombaroli» di Ordine nuovo furono riaccolti nei ranghi del partito già nel novembre 1969, poche settimane prima della strage di piazza Fontana.

L'ereditàL'internità dell'Msi alla strategia della tensione, con un carico notevolissimo di episodi violenti e squadristici, fu indiscutibile come il suo proposito di concretizzare una svolta autoritaria sotto gli auspici delle forze armate. Molte le fonti utilizzate a questo proposito dall'autore, non solo istituzionali, ma anche di provenienza democristiana, tra gli altri, l'archivio dell'Istituto Luigi Sturzo. Da queste stessa documentazione una fotografia degli innumerevoli finanziamenti di cui godette l'Msi: dalla Fiat di Giovanni Agnelli (che incontrò Giorgio Almirante nel settembre 1969) alla Confindustria, all'Assolombarda, per passare da Eni, Snia e Montecatini. Aziende private e parastatali. Un flusso impressionate di denaro, anche straniero come i milioni di dollari, registrati nelle informative del Ministero degli interni, affluiti da Washington.
La strategia della tensione fu sconfitta, verso la metà degli anni Settanta, dopo una prolungata e imponente mobilitazione antifascista che fece naufragare i disegni eversivi e ricacciò l'Msi nella marginalità. Fino ai primi anni Novanta quando, sotto la direzione di Gianfranco Fini, il partito neofascista fu ripescato e rilegittimato all'interno del nuovo schieramento berlusconiano. Da questa stessa storia alcune delle radici della nuova destra politica italiana, dai tratti eversivi, di certo non conservatrice.

Nessun commento: