lunedì 16 dicembre 2013

Un Mandeville per questi tempi di crisi e di lupi che hanno di nuovo fame

bookjacketEmrys Westacott: The Virtues of Our Vices, Princeton U.P.

Risvolto
Are there times when it's right to be rude? Can we distinguish between good and bad gossip? Am I a snob if I think that NPR listeners are likely to be better informed than devotees of Fox News? Does sick humor do anyone any good? Can I think your beliefs are absurd but still respect you?
In The Virtues of Our Vices, philosopher Emrys Westacott takes a fresh look at important everyday ethical questions--and comes up with surprising answers. He makes a compelling argument that some of our most common vices--rudeness, gossip, snobbery, tasteless humor, and disrespect for others' beliefs--often have hidden virtues or serve unappreciated but valuable purposes. For instance, there are times when rudeness may be necessary to help someone with a problem or to convey an important message. Gossip can foster intimacy between friends and curb abuses of power. And dubious humor can alleviate existential anxieties.
Engaging, funny, and philosophically sophisticated, The Virtues of Our Vices challenges us to rethink conventional wisdom when it comes to everyday moral behavior.

Emrys Westacott is professor of philosophy at Alfred University in Alfred, New York. His work has been featured in the New York Times and has appeared in the Philosopher's Magazine, Philosophy Now, the Humanist, the Philosophical Forum, and many other publications. He is also the coauthor of Thinking through Philosophy: An Introduction.

La maleducazione che ci rende liberi 

Il filosofo di Princeton Emrys Westacott tesse l’elogio delle cattive abitudini: snobismo, brutto carattere e maldicenze ci aiutano a vincere il politicamente corretto e ad affermare le nostre idee 

4 dic 2013 Libero CORRADO OCONE 


Come sapevano i moralisti classici, il vizio non è semplicemente il lato oscuro della virtù, ma è anche in qualche modo il suo più potente alleato: «Il diavolo è l’uomo di affari del buon Dio». Un uso accorto del vizio non solo lo si deve accettare, ma è addirittura necessario per il vigore di una società. Non desta pertanto meraviglia, in chi ha senso storico, un libro come quello che esce in questi giorni in edizione economica per i prestigiosi tipi dell’Università di Princeton: Le virtù dei nostri vizi: una modesta difesa del pettegolezzo, della maleducazione e di altre cattive abitudini. Autore è un giovane ma affermato filosofo americano: Emrys Westacott. Ed anche se il procedere è più analitico e professorale, come non ricordare la celebre Favola delle api che Mandeville pubblicò nel 1705, aggiungendovi poi il sottotitolo «vizi privati, pubbliche virtù»? «Il vizio», scriveva, «è tanto necessario in uno Stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare». Era allora in corso una polemica intellettuale sul ruolo sociale di vizi come il lusso, l’avidità, l’invidia e la lussuria. I pensatori radicali e libertini avevano capito che lo sperpero e l’ostentazione finiscono per mettere in circolazione le ricchezze e le idee, avvantaggiando in ultima istanza anche i più poveri (vediAnticristianesimo e libertà. Studi sull’illuminismo radicale di Silvia Berti pubblicato ora da Il Mulino nella collana del Croce di Napoli). Virtù come la frugalità o la sobrietà oggi tanto decantate avvitano le società su stesse, in uno spirale di recessione economica e di conformismo culturale. Il sindaco di Londra Boris Johnson, proprio per aver voluto ricordare questa funzione essenziale dell’avidità, è stato quasi linciato daimedia d’oltremanica e persino il portavoce di Cameron ha dovuto discostarsi dicendo che «il primo ministro è da sempre un sostenitore delle pari opportunità».
Nel volume di Westacott si insiste molto nell’elogiare il cattivo carattere e persino lamaleducazione. Come è possibile? E soprattutto che effetto può fare in un ambiente ove fino a qualche anno fa dominava incontrastata quella ideologia del multiculturalismo che si meritò i giusti strali di un giudice severocomeHarold Bloom? Cheeffetto può fare, ad esempio, una domanda come quella del titolo del quinto capitolo del volume di Westacott: «Perché dovrei rispettare la tua stupida opinione»? Sì, perché il problema è che, abituati per anni a dare ascolto a chiunque, a giudicare tutti degni di rispetto e comprensione, abbiamo dimenticato noi stessi, quel patrimonio ideale che è il modo di essere occidentale. 

Abbiamo soprattutto dimenticato che quello che siamo non ci è piovuto dal cielo, non è una colpa che dobbiamo espiare quasi vergognandoci e annullandoci rispetto alle altre culture: è il frutto di una lotta incessante, di un processo di perfezionamento durato secoli e che è quello che propriamente chiamiamo civiltà. Ecco, il punto è questo: il rispetto, o anche la dignità, non è nulla di statico, di dato ad ogni uomo quasi come una proprietà naturale, ma è qualcosa da conquistarsi giorno per giorno, attraverso le azioni e i comportamenti. I diritti, sucui tanto insiste Rodotà, non esistono: esiste la lotta per meritarseli. Nessuno può garantirceli. Anche perché se ci vengono somministrati, casomai dallo Stato, perdono il loro valore e si convertono nel loro contrario. Il perfezionismo e il paternalismo sono, a ben pensarci, i due più potenti nemici del liberalismo (unabuonastoria della critica del concetto è ora in Michael Rosen, Dignità. Storia e significati, Codice Edizioni). 
Ritornando alla rudeness, alla cattiva educazione di cui parla Westacott, sovvengono anche le parole dette recentemente in un’omelia romana da papa Francesco, che, pur essendo sicuramente un grande comunicatore, abbiamo forse etichettato con troppa facilità come progressista. Egli ha detto di non fidarsi di chi mostra affettazione e si fa innanzi «con parole morbide, con parole belle, con parole troppo zuccherate». 
Avere un modo di fare scostante, persino intollerante, significa spesso onestà morale, credere in ciò che si pensa e non volere a tutti i costi piacere per un utile personale. Dietro un carattere burbero, spesso c’è un cuore. E avere un brutto carattere significa quasisempreavere carattere. Implacabile è la critica che Westacott fa del concetto di tolleranza, vera «vacca sacra», come la chiama, delle nostre società. Tollerare chiunque, mostrare accondiscendenza universale, significa in sostanza aderire al relativismo, eliminare ogni gerarchia fra le persone e le culture. In questo senso, non in ovviamente in quello dei radical chic, Westacott rivaluta anche lo snobismo, il «sentirsi superiori» agli altri in modo non velleitario. Anche perché, potremmo aggiungere, dietro un’ideologia che si presenta aperta quante altre mai, che propone una democratizzazione integrale («siamo tutti uguali”), finisce per crearsi inevitabilmente un altro potere: quello degli incompetenti, dei violenti osemplicemente dei furbi. 
È un potere che esclude, perimetrando il proprio campo, quanto altri mai. E lo fa usando come clave armi improprie che rispondono ai nomi di Decenza o Decoro (vedi Tamar Pitch, Contro il decoro. L’uso politico della pubblica decenza, Laterza). Armi che tendono a normalizzare e a controllare i diversamente senzienti e pensanti. Contro di esse una dose di maleducazione è necessaria, anche perché la storia ci insegna che la scostumatezza di oggi è il nuovo e superiore costume sociale di domani. E d’altronde, quasi sempre, dietro l’arcigno moralismo dei censori delle cattive abitudini c’è l’ipocrisia di chi vuole dominare gli altri fermando la loro corsa.

Nessun commento: