venerdì 7 febbraio 2014

Nell'ennesimo libro infame di Giampaolo Pansa l'involontario omaggio alla sagacia tattica e alla potenza di fuoco dei partigiani comunisti


Giampaolo Pansa: Bella Ciao. Controstoria della Resistenza, Rizzoli, pagg. 430, euro 19,90

Risvolto
La controstoria di Pansa svela il lato oscuro della Resistenza e la spietatezza di uno scontro tutto interno al fronte antifascista.

Il 25 aprile chi va in piazza a cantare “Bella ciao” è convinto che tutti i partigiani abbiano combattuto per la libertà dell’Italia. È un’immagine suggestiva della Resistenza, ma non corrisponde alla verità. I comunisti si battevano, e morivano, per un obiettivo inaccettabile da chi lottava per la democrazia. La guerra contro tedeschi e fascisti era soltanto il primo tempo di una rivoluzione destinata a fondare una dittatura popolare, agli ordini dell’Unione Sovietica. Giampaolo Pansa racconta come i capi delle Garibaldi abbiano tentato di realizzare questo disegno autoritario e in che modo si siano comportati nei confronti di chi non voleva sottomettersi alla loro egemonia. Quando si sparava, dire di no ai comunisti richiedeva molto coraggio. Il Pci era il protagonista assoluto della Resistenza. Più della metà delle formazioni rispondeva soltanto a comandanti e commissari politici rossi. Bella ciao ricostruisce il cammino delle bande guidate da Luigi Longo e da Pietro Secchia sin dall’agosto 1943, con la partenza dal confino di Ventotene. Poi le prime azioni terroristiche dei Gap, l’omicidio di capi partigiani ostili al Pci, il cinismo nel provocare le rappresaglie nemiche, ritenute il passaggio obbligato per allargare l’incendio della guerra civile. La controstoria di Pansa svela il lato oscuro della Resistenza e la spietatezza di uno scontro tutto interno al fronte antifascista. E riporta alla luce vicende, personaggi e delitti sempre ignorati. Pagina dopo pagina, prendono vita i protagonisti di un dramma gonfio di veleno ideologico. A cominciare dagli “spagnoli”, i reduci delle Brigate internazionali nella guerra di Spagna, presenti in tutte le bande garibaldine, inchiodati a un comunismo primitivo e brutale. Pansa ce li presenta anche nei loro errori di rivoluzionari senza onore, pronti a uccidere chi li contrastava. E nel metterli a confronto con i partigiani che si battevano per un’Italia libera da qualsiasi dittatura rievoca una pagina di storia che la sinistra ha finto di non vedere. Bella ciao verrà ritenuto un libro scandaloso dai gendarmi della memoria resistenziale. E questa sarà la conferma che Pansa ha fatto un importante passo in più nel suo percorso di narratore revisionista.

IL LIBRO NERO DELLA GUERRA CIVILE PANSA RILANCIA LA "CONTROVERITA'"

Dario Fertilio 172 27-02-2014 corriere della sera 39

In "Bella ciao" Giampaolo Pansa racconta la strategia delle Brigate Garibaldi per sterminare i fascisti. E non solo

Giampaolo Pansa - il Giornale Ven, 07/02/2014

Terrorismi e uccisioni per le strade Il volto oscuro della Resistenza 
Le anticipazioni di "Bella Ciao", l'ultimo libro in cui Giampaolo Pansa racconta il vero obiettivo dei Gap: alimentare la lotta armata
7 feb 2014  Libero GIAMPAOLO PANSA

Il 25 aprile chi va in piazza a cantare Bella ciao è convinto che tutti i partigiani abbiano combattuto per la libertà dell’Italia. Un’immagine suggestiva della Resistenza, ma non corrisponde alla verità. I comunisti si battevano, e morivano, per un obiettivo inaccettabile da chi lottava per la democrazia. La guerra contro tedeschi e fascisti era solo il primo tempo di una rivoluzione destinata a fondare una dittatura popolare, agli ordini dell’Urss. Giampaolo Pansa racconta come i capi delle Garibaldi abbiano tentato di realizzare questo disegno autoritario e come si siano comportati nei confronti di chi non voleva sottomettersi alla loro egemonia. Per concessione di autore ed editore anticipiamo dal libro Bella ciao( Rizzoli, ppgg 432, 19.90 euro) il capitolo 6 del libro, Terrorismo e ostaggi. (...) di San Martino in Rio, sul confine tra le province di Reggio e di Modena. Aveva l’aspetto del contadino o del bracciante che ritorna a casa dopo una giornata di lavoro sui campi. Raggiunta la frazione di Gazzata, arrivò davanti alla villetta abitata da Guido Tirelli. Era unborghese di43anniche unventennio prima aveva fatto parte delle prime squadre di Mussolini. Il ciclista era sicuro che in quel momento il Tirelli se ne stesse tranquillo in casa. Infatti era seduto a tavola e stava cenando con la famiglia. Lo chiamò dalla strada e lui, senza immaginare quanto stava per accadergli, aprì la porta. Come si affacciò, lo sconosciuto lo uccise con due colpi di rivoltella all’addome. Poi se ne andò pedalando tranquillo. Dopo aver lasciato accanto all’uscio un messaggio scritto a matita su un foglio di taccuino. Diceva: «Per ordine di Badoglio così finiscono le spie dei tedeschi».
Lì per lì qualcuno s’illuse di essere di fronte a un delitto qualsiasi, originato da questioni private. Ma quanto accadde in seguito cancellò tutti i dubbi. E confermò che anche nella campagna reggiana aveva mosso il primo passo un terrorismo di tipo nuovo. Aveva un’origine politica molto chiara: il comunismo di guerra, anzi di guerra civile.
Nel primo autunno del 1943 molti italiani non se ne resero conto, ma il Pci dimostrò subito di essere il partito dominante di quella che ancora non veniva chiamata la Resistenza. E lo provò nell’unico modo in quel momento possibile: l’assassinio degli avversari, i fascisti rimasti fedeli a Mussolini che avevano scelto di schierarsi con la nuova Repubblica sociale.
Talvolta gli obiettivi da eliminare erano militari tedeschi, però assalirli non era affatto semplice. I reparti della Wehrmacht consideravano l’Italia un paese occupato anche se guidato da un governo amicodella Germania nazista. Sapevano di trovarsi in un territorio pericoloso sin dall’8 settembre. E stavano molto attenti alle insidie che li attendevano. Assai più facile era colpire militari e civili italiani. Loro erano bersagli indifesi che potevano essere raggiunti in qualsiasi momento e nelle circostanze più impreviste. Conunrischio ridotto per chi gli sparava nella schiena.

Adistanza di tanti decenni colpisce sempre la strategia messa in atto dai militanti del Pci. In molti luoghi dell’Italia del Nord e del Centro, senza strutture apposite, comandi riconosciuti, progetti elaborati, basi predisposte.

All’inizio tutto avvenne per iniziativa di singoli militanti, a volte sconosciuti anche ai dirigenti comunisti periferici. Fu così che si mise in moto un’offensiva fondata su uno schema semplice e terribile. Lo schema può essere riassunto nel modo seguente. Un attentato, una rappresaglia nemica. Un nuovo attentato, una nuova rappresaglia più dura. Un terzo attentato, una terza rappresaglia ancora più aspra. E così via, con una catena senza fine che aveva un solo risultato: allargare l’incendio della guerra civile e spingere alla lotta pure chi ne voleva restare lontano.

Scriverà Giorgio Bocca: «Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Cerca la punizione per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio».

Ecco qual era la strategia dei Gruppi di azione patriottica, i Gap. Fondati verso la fine del 1943 per iniziativa del Comando generale della Brigate Garibaldi, ossia di Longo e di Secchia. Uno degli spagnoli, Francesco Scotti, poi raccontò: «Qualche compagno sosteneva che non era giusto scatenare il terrore individuale, perché questo era contrario ai principi marxisti leninisti. Anche in Francia avevo ascoltato critiche di questo genere».
Aderire alla strategia dei Gap, anche soltanto sul terreno del consenso politico, era difficile per molti iscritti al Pci clandestino. Gente semplice e coraggiosa che rischiava l’arresto perché aveva in tasca una tessera o partecipava a una raccolta di denaro per i primi nuclei ribelli. Ma trovare dei compagni disposti a sparare alla schiena di un avversario, e a sangue freddo, risultava un’impresa davvero ardua.
Lo riconobbe un dirigentecomunista emiliano, responsabile dei Gap modenesi. Era Osvaldo Poppi, un personaggio che più avanticonosceremo meglio.
Sentiamo che cosa raccontò a Liano Fanti, autore di un buon libro sui fratelli Cervi, Una storia di campagna, pubblicato da Camunia nel 1999: «Quando procedetti all’organizzazionedei primiGap, incontrai grandi difficoltà a far passare i vecchi compagni sul terreno della lotta armata. Non trovavano lo stato d’animo giusto per sparare a un altro uomo. Ho dovuto cambiare per ben tre volte il comandante dei nostri Gap che non riuscivano a far scendere i propri uomini sul terreno dell’azione». Poppi chiese consiglio a un altro dirigente comunista, Vittorio Ghini. Era un compagno sui quarant’anni, già condannato dal Tribunale speciale, poi emigrato in Svizzera. Nel 1936 era andato a combattere in Spagna, nella Brigata Garibaldi Gastone Sozzi, poi era stato internato al Vernet e di qui era passato a Ventotene. Dopo aver lavorato per il partito in Emilia, divenne un ispettore delle BrigateGaribaldi in Lombardia. Il 14 giugno 1944, durante una missione in Piemonte, fu catturato dai fascisti e fucilato a Novara.
Interpellato da Poppi, lo spagnolo Ghini gli spiegò come doveva muoversi: «Tu non devi ricorrere al vecchio compagno, ormai stanco e anchilosato. Tu devi rivolgerti ai giovani. Anche se sono giovani ex fascisti, devi avere fiducia in loro». Poppi seguì il consiglio e anche a Modena i Gap entrarono in azione.
Il vertice delle Garibaldi non perdeva tempo a strologare su queste esitazioni. Voleva vedere subito dei morti nelle strade. Secchia incitava ad agire «contro le cose e le persone» dei fascisti. Le azioni non venivano quasi mai rivendicate. E questo accentuava la paura seminata dalle molte uccisioni.
Pochi si rendevano conto che i Gap erano piccoli nuclei armati, composti soltanto da militanti comunisti, clandestini nella clandestinità, capaci di vivere nell’isolamento più totale. Una solitudine in grado di mettere a dura prova la resistenza nervosa anche del più freddo terrorista.
In realtà i gappisti veri e propri, quelli professionali e in servizio permanente, erano una frazione davvero minuscola rispetto ai tanti comunisti che iniziarono a sparare quasi subito contro i fascisti. Gli omicidi di dirigenti del nuovo Partito fascista repubblicano, di solito segretari federali, vennero preparati e compiuti da terroristi dei Gap. Magli altri delitti, benpiù numerosi, furono il risultato di iniziativedecise da singoli militanti, decine e decine di volontari, senza nessun rapporto con il vertice delle Garibaldi. Erano pronti a sparare e a uccidere, sulla base di una tacita parola d’ordine diffusa da nessuno. Ecco qualche esempio di queste azioni, di solito destinate a non entrare nella storia della guerra civile.
Il 5 novembre 1943, a Imola, venne ucciso il seniore della Milizia Fernando Barani. Il 6 novembre, a Medicina, sempre in provincia di Bologna, furono accoppati quattro fascisti. Il 7 novembre, a San Godenzo (Firenze) altri quattro fascisti caddero sotto le rivoltellate di sconosciuti. In seguito Giorgio Pisanò scrisse che questo attentato era stato compiuto da un gruppo guidato dal meccanico Alessandro Sinigaglia, poi capo dei Gap fiorentini. Anche lui uno spagnolo reduce da Ventotene, perse la vita nel febbraio 1944 in una sparatoria.
Nel Reggiano, dopo la fine del Tirelli, si cercò di accoppare il commissario della nuova federazione fascista, l’avvocato Giuseppe Scolari.
Era l’imbrunire del 13 novembre e l’attentato fallì. Andò a segno il terzo colpo, messo in atto il 17 dicembre. L’obiettivo era Giovanni Fagiani, cinquantenne, seniore della Milizia e già comandante della 79ª Legione...



La Resistenza oltre il Pci
di Gennaro Sangiuliano Il Sole Domenica 23.2.14

Lo storico Renzo De Felice nel saggio Rosso e Nero, uno dei suoi ultimi scritti, avverte: «La Resistenza è stata un grande evento storico. Nessun "revisionismo" riuscirà mai a negarlo. Ma la storia, al contrario del l'ideologia e della fede, si basa sulla verità dei fatti piuttosto che sulle certezze assolute». Il professore precisa: «Una vulgata storiografica, aggressivamente egemonica, costruita per ragioni ideologiche (legittimare la nuova democrazia con l'antifascismo), ma usata spesso per scopi politici (legittimare la sinistra comunista con la democrazia), ha creato, invece, una serie di stereotipi che ci hanno impedito di dipanare i nodi irrisolti degli ultimi cinquant'anni…».
Più o meno contemporanea a quella di De Felice è la riflessione di un altro grande storico, Claudio Pavone, ex partigiano che scrive il volume Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, introduce il concetto di "guerra civile" fino ad allora negato dalla storiografia dominante. E si spinge oltre ponendo un interrogativo sulla moralità della Resistenza stessa. La guerra partigiana fu certamente una guerra patriottica contro l'invasore tedesco ma fu anche una guerra civile fra italiani fascisti e antifascisti, e una guerra di classe dove la frangia comunista propugnava la prosecuzione del conflitto, anche dopo la sconfitta nazifascista contro le classi borghesi fino alla vittoria del proletariato.
Pavone, come De Felice, non discute il valore della Resistenza ma ne coglie una «immagine apologetica, levigata e rassicurante» che si era formata nel tempo come base legittimante della democrazia italiana.
Giampaolo Pansa che alla riflessione sulla Resistenza dedicò i primi passi di studioso (la sua tesi di laurea) torna dopo lunghi viaggi nella politica e nella storia d'Italia ad affrontare quella che definisce una «questione assai più grande e cruciale nella storiografia della Resistenza: il predominio assoluto dei memorialisti e degli storici comunisti». Un titolo di due parole, Bella ciao, canzone simbolo, per proporre storie inedite che tentano di «rimediare a qualche buco della storiografia», troppo legata al Pci che «aveva imposto il proprio punto di vista» nascondendo la realtà di una parte della Resistenza proiettata esclusivamente a «imporre una dittatura popolare d'impronta sovietica». L'egemonia del Pci nella Resistenza fu subito chiara, i comunisti erano gli unici che disponevano nelle loro fila di ex combattenti come quelli confinati a Ventotene che avevano partecipato alla guerra civile spagnola, avevano comandanti duri e autorevoli come Luigi Longo e Pietro Secchia, disponevano anche di cospicue risorse economiche. «I primi a sparare e uccidere furono i comunisti di Reggio Emilia», racconta Pansa, che ricostruisce la lunga serie di agguati messi in atto dai Gap, la punta avanzata e più ideologica del comunismo armato. Questi gruppi colpirono non solo i fascisti ma anche personaggi ritenuti nemici di classe o potenziali ostacoli della rivoluzione. Uno dei reduci della Spagna, Francesco Scotti, poi ammetterà: «Qualche compagno sosteneva che non era giusto scatenare il terrore individuale, perché questo era contrario ai principi marxisti leninisti». E Giorgio Bocca scrive: «Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell'occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Cerca la punizione per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell'odio».
Il Cln, il Comitato di Liberazione Nazionale, la struttura politica in cui erano rappresentati in posizione paritaria tutti i partiti antifascisti e articolata sul territorio, contò nei fatti sempre poco, i comunisti decidevano, facevano, e poi al massimo chiedevano la ratifica di quanto già eseguito. Fu così per l'assassinio di Gentile.
La storia, però, è fatta di contestualizzazioni. Pansa, opportunamente, insiste anche sul clima delle violenze fasciste, le fucilazioni di giovani inermi renitenti alla leva ordinate da Graziani, il collaborazionismo odioso con i nazisti, l'oppressione tedesca, le deportazioni, le persecuzioni vili e assurde degli ebrei.
Gli spicchi di verità si susseguono nelle pagine del libro, aprendo polemiche, dalla vicenda di Francesco Moranino, il comandante Gemisto, condannato all'ergastolo dalla magistratura, fatto eleggere più volte dal Pci in Parlamento e graziato da Saragat, al mistero dei sette fratelli Cervi, forse non aiutati dai vertici della Resistenza perché troppo autonomi rispetto al Pci.
«Il diavolo si nasconde nei dettagli», annota in una delle ultime pagine Pansa. E su questi dettagli si misurerà un lungo confronto.

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