lunedì 17 marzo 2014

Jared Diamond in Italia

Jared Diamond: “così gli stranieri ci dicono chi siamo”

Intervista allo studioso americano premio Pulitzer: “Autonomia, indipendenza, risoluzione dei problemi: la nostra società potrà salvarsi solo ispirandosi alle civiltà degli altri”
di Maurizio Ricci Repubblica 14.3.14


Il più celebre geografo vivente è, in realtà, un medico mancato, un fisiologo riluttante, un ornitologo troppo pronto a distrarsi e, tutto sommato, non è neanche un geografo, nonostante la cattedra in geografia all’Ucla di Los Angeles. Prima di sbancare il botteghino del libro, spiegandoci che la superiorità dell’Occidente è poco più di un accidente, dovuto principalmente alla presenza di grossi mammiferi da addomesticare (Armi, acciaio e malattie,1998), poi che le civiltà possono anche morire, se non tengono il passo del loro ambiente (Collasso,2005) e, infine, che le società tradizionali hanno parecchio da insegnarci (Il mondo fino a ieri,2013), Jared Diamond, in effetti, aveva iniziato laureandosi in medicina, sulle orme del padre. Scoperto di non avere la vocazione di Ippocrate, il giovane Jared si butta sulla fisiologia ed eccolo in Inghilterra, concentrato sulla cistifellea. Ma quando torna in America si rende conto - «con raccapriccio », racconta - di essere destinato ad occuparsi di vescicole biliari per tutta la vita. Parte per il Perù e, l’anno dopo, per il posto più remoto che gli viene in mente, la Nuova Guinea, terra degli uccelli del paradiso e di tanti meravigliosi pennuti, sua passione dall’età di sette anni. «Dopo un po’, però - spiega - mi sono reso conto che gli uomini intorno erano anche più interessanti ».
Diamond parla un italiano perfetto e, a tratti, anche ricercato. È a Roma, alla Luiss, per tenere un ciclo di lezioni, ma l’italiano lo ha studiato da zero, molto tempo fa, solo per prepararsi a un viaggio e, a casa, a Los Angeles, fa pratica metodicamente, tutte le settimane, con zelo anche maggiore di quello che dedica ai dialetti della Nuova Guinea, il suo terreno di ricerca privilegiato. «Ma l’italiano lo pratico solo per divertimento », spiega ridendo e mostrando una copia de Il deserto dei tartari di Buzzati, che sta rileggendo in questi giorni.
Buzzati, in effetti, è una delle cose che i dialetti della Nuova Guinea non le possono dare. Il suo ultimo libro, però, Il mondo fino a ieri, ci racconta quanto società apparentemente primitive possono aiutarci a vedere in modo diverso e più efficace molte cose della nostra vita. Mi ha colpito quello che racconta della risoluzione dei conflitti.
«In Nuova Guinea, come in molte società tradizionali, si vive in comunità in cui tutti conoscono tutti, di solito da quando sono nati e in cui ci si incontrerà di continuo, probabilmente per tutta la vita a venire. Mantenere invidia, rancore, malanimo, in questa situazione, è potenzialmente esplosivo. Ecco perché, se qualcuno mi ha ucciso un maiale, il problema non è quanto vale il maiale, ma continuare ad avere un rapporto con l’uccisore. L’obiettivo sociale prioritario diventa, così, la soluzione emotiva del conflitto, il suo superamento, trovare il modo di metterselo alle spalle».
Da noi, invece, conta quantificare il danno.
«Certo. L’incidente automobilistico lo hai di solito con qualcuno che non conosci. Ma anche quando ci si conosce - divorzi, liti per l’eredità - liti, odi, rancori ti inseguono per tutta la vita».
Cioè viviamo peggio?
«Il benessere psicologico ne risente. Un mio amico ha avuto la sorella uccisa dai ladri, sessant’anni fa. Non è mai andato in prigione a parlare con i ladri e, ancora oggi, l’odio lo consuma. So di una donna, invece, il cui marito è stato investito da un camionista. Ne hanno parlato, si sono spiegati: vedova e uccisore hanno pianto insieme. Alla fine, la donna ha detto: perdonare è difficile, ma non perdonare è più difficile».
Però, nelle società tradizionali, se i conflitti non li risolvi emotivamente, le conseguenze - faide, guerre - possono essere devastanti, più che da noi.
«Vero. Ecco perché si sforzano tanto di trovare la risoluzione emotiva ».
C’è un altro esempio nel libro, che riguarda l’educazione dei bambini. Lei dice: noi vogliamo controllare e comandare a bacchetta i nostri figli nell’infanzia e, poi, a 16 anni vogliamo che siano autonomi e indipendenti. Difficile. In Nuova Guinea, invece, i bambini sono autonomi e indipendenti fin da piccoli. E fa l’esempio del ragazzino che si offre di fare da guida a un bianco nella foresta e parte per una settimana, senza neanche avvertire i genitori.
«Esatto. È capitato a me».
Ma lei come avrebbe reagito se suo figlio se ne fosse andato con uno sconosciuto per le strade della California?
«Non bene, di sicuro. Ma volevo soprattutto sottolineare un atteggiamento mentale su cui tutti i genitori dovrebbero riflettere».
D’altra parte, come lei ricorda, sono anche società in cui, ad esempio, può essere considerato assolutamente normale strangolare le donne che rimangono vedove.
«Non lo raccomando certamente ».
Insomma, ci sono esempi positivi ed esempi negativi. In questo senso, è un libro strano. Armi, acciaio e malattie era un libro con una tesi suggestiva e precisa per spiegare perché è Cortés che sbarca in Messico e non Montezuma che arriva in Spagna. Collasso ruota intorno a una ricostruzione dettagliata di come società che non si preoccupano del fatto che le loro pratiche non siano ecologicamente sostenibili siano destinate a perire, i Vichinghi in Groenlandia, come gli abitanti dell’isola di Pasqua. Il mondo fino a ieri, invece, manca di una tesi univoca.
«Sono d’accordo, è un libro meno semplice. Forse, perché, in origine, doveva essere soprattutto un percorso autobiografico sulle mie esperienze in Nuova Guinea. Alla fine, è venuto fuori un libro che vuole intrattenere con le sue storie e, contemporaneamente, fornire suggerimenti e insegnamenti».
Un filo che corre lungo tutta la sua opera, però, c’è. Lo potremmo definire: Noi e Loro. Perché abbiamo vinto noi in Armi, acciaio e malattie.
Perché i vichinghi europei, rifiutando deliberatamente di imparare dagli eschimesi (ad esempio, mangiando pesce) si condannano all’estinzione. E altre cose da imparare dai vinti di ieri in questo ultimo.
«Accettando il fascino delle differenze. Quando sono sbarcato per la prima volta in Nuova Guinea loro mi sembravano diversissimi, da come si vestivano a come si comportavano, a come vivevano. Poi, ho cominciato a vedere le somiglianze: in fondo, ridevano come noi. E piangevano anche. Ma ci sono differenze più profonde. Prenda l’amicizia. Noi facciamo amicizia in fretta e poi restiamo amici a lungo, solo per il piacere di vedersi e frequentarsi. In Nuova Guinea, un’amicizia per puro piacere non ha senso. Si è amici solo se c’è un reciproco vantaggio che possiamo scambiarci. Ci ho messo dieci anni per capirlo».
Sarà “Noi e Loro” anche il prossimo libro?
«No. Lo sa che sono vissuto in Inghilterra, negli anni Cinquanta e Sessanta, quando smettevano di essere un impero, in Germania quando alzavano il Muro, in Cile prima di Allende e Pinochet? Vorrei raccontare come le società moderne affrontano le grandi prove di crisi e cambiamento».
È questo il titolo, “Crisi e cambiamento”?
«Probabile. Mi interessa capire quali fattori sono in azione, anche basandomi sulla psicologia».
In che senso la psicologia?
«Mia moglie è psicologa e mi sono convinto che ci sono corrispondenze fra crisi nazionali e crisi personali ».
Difficile pensare a una nazione sul lettino dello psicanalista. Mi faccia un esempio.
«La leadership. La capacità di leadership è un fattore cruciale nelle crisi nazionali, inesistente in quelle personali. Ma prenda la rigidità, la capacità o l’incapacità di sperimentare cose nuove. O anche il senso di sicurezza. O la fiducia».
Quando sarà pronto?
«Nel 2018».
Jared Diamond dialogherà con Piergiorgio Odifreddi durante l’incontro “Come raccontare il mondo del passato” che si terrà a “Libri Come. Festa del libro e della lettura” domenica 16 marzo alle ore 16, all’Auditorium Parco della Musica di Roma

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