sabato 1 marzo 2014

La natura inumana: Lasch e Castoriadis in una conversazione del 1986

Cornelius Castoriadis e Christopher Lasch: La cultura dell’egoismo. L'anima umana sotto il capitalismo, Elèuthera

Risvolto
Non capita spesso di leggere a distanza di anni le lungimiranti previsioni di chi sa leggere il suo tempo e così anticipare l'esito dei processi in atto. Ed è appunto quello che fanno due pensatori disincantati come Castoriadis e Lasch in questa conversazione del 1986 sulla modernità e i suoi costi. Una modernità già ostaggio di quella logica capitalista che ha invaso l'intero campo dell'esistenza umana, tanto che a essere messe in discussione sono soprattutto le ricadute morali, psicologiche e antropologiche di quel capitalismo di tutti i giorni che si è tradotto in una nuova cultura dell'egoismo. In un mondo abitato da estranei chiusi nella loro intimità, ha avuto libero gioco il processo di atomizzazione sociale che ha sancito la fine tanto dei legami comunitari quanto di uno spazio pubblico in cui esercitare una democrazia non corporativa. Nulla di cui stupirsi, ci avvertono con decenni di anticipo gli autori: sono gli esiti necessari e prevedibili di un mondo in cui l'anima umana è plasmata dal capitalismo. Postfazione di Jean-Claude Michéa.


Narcisismo virus dell'Occidente
Il greco-francese Castoriadis e l'americano Lasch collegano la crisi dello spirito pubblico al tramonto delle grandi narrative come il marxismo
di Sebastiano Maffettone Il Sole 24Ore Domenica 16.3.14


Contrariamente alle nostre abitudini, in questa rubrica non recensiamo un saggio ponderoso di filosofia politica ma due brevi operette di occasione il cui contributo alla filosofia politica appare comunque significativo. Il primo dei due libricini in questione pubblica – per i tipi di Eleuthera – un'intervista televisiva congiunta (27 maggio 1986) di Michael Ignatieff a due pensatori di tutto rispetto internazionale, il greco-francese Cornelius Castoriadis e l'americano Christopher Lasch. Il tema dibattuto coincide sostanzialmente con la crisi dello spirito pubblico nel mondo occidentale. Per entrambi i pensatori, questa crisi dipende dal tramonto delle grandi narrative come il marxismo. 
Per Lasch, la conseguenza consiste in una diffusa perdita del noi in favore dell'io. Per Castoriadis, però, anche l'individuo è una costruzione sociale e quindi la perdita del pubblico implica anche la presenza di un sé disturbato. Lasch chiama questo sé "io minimo", e lo ritiene affetto da pervasivo narcisismo. Per entrambi gli autori poi l'effetto duraturo della perdita del pubblico ha a che fare con un montante egoismo generalizzato, nel cui ambito la vita trascorre in orizzonti angusti e senza speranza. Un interessante corollario di questa tesi lo si può ritrovare nel fatto che i movimenti più recenti di emancipazione - per i neri, le donne e così via – sono per così dire tutti settoriali e non richiedono mobilitazione in nome di valori universali: solo se sei donna o nero puoi partecipare a pieno titolo e condividere gli ideali.
Quest'ultimo punto costituisce un ideale trait-d'union con le tesi di Juergen Habermas così come riportate nelle interviste-colloquio di Enrico Filippini, pubblicate ora da Castelvecchi, riprendendo quelle di Repubblica nel 1986 e Espresso nel 1976 (a cura di Alessandro Bosco, con un saggio di Giacomo Marramao). La perdita del pubblico, di cui si diceva, viene reinterpretata da Habermas in termini di «colonizzazione del mondo della vita» da parte di sistemi economico-sociali aggressivi e spersonalizzanti. 
I meccanismi di controllo impliciti in questi sistemi conducono a una distruzione sistematica della comunicazione. Contro tutto ciò deve operare la ragione critica orientata all'emancipazione. La rinascita della comunicazione non-distorta sarà poi il segno della liberazione progressiva in atto del mondo della vita. Come si vede, Habermas non esita qui a riprendere temi classici di filosofi radicali come Nietzsche e Heidegger. Sua intenzione è però spostare l'enfasi di questi pensatori dal dominio estetico al dominio etico-politico. Heidegger e Nietzsche, agli occhi di Habermas, non si sono mai occupati delle forme istituzionali della ragione perdendo così l'opportunità di trasformare il loro approccio in una critica sostanziale della società.



Il virus dell’individualismo 
Saggi. «La cultura dell’egoismo» di Cornelius Castoriadis e Christopher Lasch per Elèuthera. Il dialogo tra i due filosofi sulle ragioni della sconfitta della sinistra avvenuto negli anni Ottanta mantiene una sorprendente attualità

Alberto Giovanni Biuso, il Manifesto 1.3.2014 

Il 4 e il 27 marzo del 1986 la tele­vi­sione bri­tan­nica Chan­nel 4 mandò in onda una con­ver­sa­zione tra Cor­ne­lius Casto­ria­dis e Chri­sto­pher Lasch, mode­rata da Michael Igna­tieff. Sono tra­scorsi 28 anni e l’analisi delle ragioni pro­fonde della crisi della sini­stra in Europa è ancora attuale. E que­sto non è un buon segno. I due stu­diosi con­cor­dano, infatti, nell’individuare un ele­mento di tale crisi che da allora si è dispie­gato sino a non essere più nep­pure avver­tito. Si tratta dell’individualismo libe­rale che ha con­ta­giato la cul­tura di sini­stra sino a tra­sfor­marla alla radice. 

Casto­ria­dis e Lasch par­tono dalla con­sa­pe­vo­lezza ari­sto­te­lica che «quel che noi chia­miamo indi­vi­duo è in un certo senso una costru­zione sociale» (La cul­tura dell’egoismo. L’anima umana sotto il capi­ta­li­smo, post­fa­zione di Jean-Claude Michéa, elèu­thera, pp. 68, euro 8), che «nella società attuale non stiamo più pro­du­cendo indi­vi­dui capaci di incar­nare la visione ari­sto­te­lica. […]Abbiamo perso quell’ideale?». Sì, la sini­stra lo ha perso, sosti­tuendo la lotta di classe con una ideo­lo­gia dei diritti umani di evi­dente impronta libe­rale, non certo mar­xiana. Invece che affian­carsi alla lotta di classe, la lotta con­tro le discri­mi­na­zioni ha sosti­tuito la lotta di classe, segnando in que­sto modo la fine della sinistra. 

I dispo­si­tivi con­cet­tuali di que­sta auto­dis­so­lu­zione sono con­si­stiti nella nega­zione delle inva­rianti antro­po­lo­gi­che, nella rinun­cia a ogni iden­tità col­let­tiva a favore dei diritti del sin­golo, nell’illusione della cre­scita illi­mi­tata, alla quale sono legati quelli dello «svi­luppo soste­ni­bile» e dell’equa distri­bu­zione dei pro­fitti del capi­tale. Si esprime qui una certa iro­nia verso coloro che al mate­ria­li­smo delle iden­tità cor­po­ree pre­fe­ri­scono quella che Michéa defi­ni­sce «l’ideologia neo­spi­ri­tua­li­sta». Di sini­stra sarebbe piut­to­sto «il rifiuto della ridu­zione degli esseri umani allo sta­tuto di ’atomi iso­lati privi di con­sa­pe­vo­lezza gene­rale’ (Engels)». La sini­stra del XXI secolo ha dun­que rinun­ciato alla cri­tica nei con­fronti di un mondo domi­nato dall’iperindividualismo e ha accet­tato come ine­vi­ta­bile e ricca di oppor­tu­nità «una ’società dei con­sumi’ basata sul cre­dito, sull’obsolescenza pro­gram­mata e sulla pro­pa­ganda pubblicitaria». 

È sulla base di tale con­sa­pe­vo­lezza che Casto­ria­dis e Lasch «erano giunti ad avere lo stesso sguardo disin­can­tato sulla tri­ste evo­lu­zione delle moderne sini­stre occi­den­tali e su quello che fin dal 1967 Guy Debord defi­niva ’le false lotte spet­ta­co­lari delle forme rivali del potere sepa­rato’». Un disin­canto che li induce ad affer­mare che ormai «da lungo tempo il diva­rio destra-sinistra, in Fran­cia come nel resto del mondo, non cor­ri­sponde più ai pro­blemi del nostro tempo, né riflette scelte poli­ti­che radi­cal­mente oppo­ste». Ma per entrambi la pos­si­bi­lità della libertà nell’eguaglianza è sem­pre aperta. Casto­ria­dis, in par­ti­co­lare, insi­ste sulla natura «tra­gica» della libertà poi­ché essa non pos­siede limiti esterni sui quali fare affi­da­mento ed è fon­data invece sulla pra­tica dell’autonomia, il cui modello riman­gono per lui sem­pre i Greci. Nelle loro tra­ge­die, infatti, «l’eroe muore a causa della sua hybris, della sua super­bia, per­ché tra­sgre­di­sce in un con­te­sto dove non esi­stono limiti pre­de­fi­niti. Que­sta è la nostra con­di­zione». La nega­zione del limite sta a fon­da­mento della pre­sunta razio­na­lità libe­rale, il cui prin­ci­pio di cre­scita inde­fi­nita con­tra­sta con la realtà dei limiti del pia­neta, il cui prin­ci­pio di oppor­tu­nità per tutti con­fligge con la realtà del pro­fitto che mol­ti­plica sol­tanto se stesso. 

Que­sto libro non si limita a una cri­tica argo­men­tata e con­vin­cente dell’individualismo di sini­stra. Pro­pone alter­na­tive pra­ti­ca­bili, fon­date sul fatto che tra­di­zione e muta­mento devono essere viste e vis­sute in una logica non oppo­si­tiva ma inclu­siva. Un pro­gramma poli­tico di sini­stra deve «defi­nire le isti­tu­zioni con­crete gra­zie alle quali una ’società libera, egua­li­ta­ria e decente’ (George Orwell) possa con­fe­rire tutto il pro­prio senso a que­sta dia­let­tica crea­trice tra il par­ti­co­lare e l’universale. (…) Ecco dove sta tutta la dif­fe­renza fra una lotta poli­tica che, sulla scorta di quella degli anar­chici, dei socia­li­sti e dei popu­li­sti del XIX secolo, mirava innan­zi­tutto a offrire agli indi­vi­dui e ai popoli i mezzi per acce­dere a una vita real­mente auto­noma e un pro­cesso sto­rico di per­pe­tua fuga in avanti (sotto il tri­plice pun­golo del mer­cato ‘auto­re­go­lato’, del diritto astratto e della cul­tura main­stream) che quasi più nes­suno, quanto meno tra le file delle nostre sfa­vil­lanti élite, si cura di padro­neg­giare a fondo e che potrà sola­mente con­durre (ancor­ché san­ti­fi­cato con il nome di Pro­gresso) a una defi­ni­tiva ato­miz­za­zione della spe­cie umana». Non si può dire che non fos­simo stati avvertiti.

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