mercoledì 5 marzo 2014
La periodica - inutile - polemica su Céline
Céline riscattato dall’inaudita compassione
Un poeta da salvare o un pamphlettista da condannare? È una finta alternativa
di Philippe Forest La Stampa 5.3.14
Il supposto scandalo, è stato detto e ripetuto, si enuncia così: un
genio può essere un criminale? O viceversa: un criminale può essere un
genio? Nella fattispecie, come può uno stesso individuo, Louis-Ferdinand
Céline, essere stato uno dei più grandi scrittori del secolo scorso e
contemporaneamente aver condiviso le idee più barbare della sua epoca? O
Céline è un criminale, e allora non è un genio. Il che significa che il
Viaggio al termine della notte e gli altri libri che ha scritto dopo
non possono essere considerati capolavori come è stato fatto. O Céline è
un genio, e allora non è un criminale. E in questo caso bisogna pensare
che le opinioni delittuose che ha illustrato in Bagatelle per un
massacro e altrove non possono essergli totalmente imputate. Già si
capisce che nessuna delle due ipotesi soddisfa del tutto. [...]
L’opposizione morale tra il «genio» e il «criminale» ne sottende in
realtà un’altra, strettamente letteraria, che contrappone due concezioni
della scrittura – Barthes le chiamava «transitiva» e «intransitiva» – e
due figure dell’autore – diciamo, nel caso di Céline, il
«pamphlettista» e il «poeta». Il dibattito attuale si trova a dover
decidere quale di queste due opzioni critiche debba essere privilegiata
per rendere conto del caso Céline e se quest’ultimo debba essere
considerato un «pamphlettista» oppure un «poeta». I detrattori
dell’autore del Viaggio al termine della notte attribuiscono al
«pamphlettista» la paternità dell’opera nel suo insieme e vi mettono in
evidenza, puntualmente, la presenza disseminata di convinzioni
criminali. I suoi sostenitori invece attribuiscono l’opera intera al
«poeta» come se quelle stesse convinzioni evaporassero grazie alla pura
magia dello stile che le sublima. Ma sia i detrattori che i sostenitori
si sbagliano per via della visione unilaterale della letteratura cui si
limitano. Perché il «romanziere» è contemporaneamente «pamphlettista» e
«poeta» e proprio per questa ragione non è né l’uno né l’altro, facendo
dialogare queste due figure di se stesso all’interno di un’opera che
instaura un altro rapporto con la Verità.
Questa dialettica di cui è perfettamente consapevole, Céline la innesca
assumendo contemporaneamente i discorsi contraddittorii di cui la sua
opera è stata oggetto, invalidando e confermando di volta in volta sia
le teorie che lo accusano sia quelle che lo discolpano, non lasciando a
nessuno il compito di istruire al posto suo il suo stesso processo,
pronunciando tanto l’accusa quanto la difesa, spingendo al parossismo il
paradosso su cui poggia la sua concezione del romanzo vero. Ora assume
il ruolo del «poeta», ora adotta quello del «pamphlettista». E certo, la
soluzione semplicistica che consiste nel separare il buon grano della
«poesia» dal loglio del «pamphlet» risulta pateticamente inadatta perché
ovunque in Céline, in ogni suo testo, lo scritto implica entrambe
queste concezioni antagonistiche della letteratura.
Da un lato, capita a Céline di presentarsi come un puro stilista,
indifferente o persino refrattario alle idee. Insomma, un musicista
delle parole. Il che corrisponde a evacuare con discrezione il problema
della sostanza della sua opera per mettere in evidenza quello della sua
forma. Questa è la tesi che sostengono a loro volta i difensori dello
scrittore quando affermano che esclusivamente su questo terreno deve
essere apprezzato il genio di Céline, salutato come l’eroe di
un’operazione poetica senza equivalenti centrata sulla lingua. Ma è
evidente che questa interpretazione formalista e estetizzante è del
tutto insufficiente. E soprattutto è in totale contraddizione con la
concezione che ha Céline della letteratura in generale e della sua
letteratura in particolare. D’altro lato infatti gli capita anche – e in
realtà ben più spesso – d’insistere sul fatto che la sua opera si basa
su un’esperienza vissuta da cui trae la sua sostanza e che ne fa una
testimonianza effettiva sul mondo, di cui fa affiorare il vero e
terribile volto. [...]
Tra tutte queste menzogne e tutti questi misfatti, Céline però dice il
vero. Ed è per questo che la sua opera sta dalla parte del Bene. E la
sua ultima parola è la stessa che Barthes, alla fine del suo
insegnamento, scopriva in Proust e Tolstoj, e nella quale formulava la
sua ultima definizione di romanzo, quella che colloca l’autore del
Viaggio al termine della notte sullo stesso piano degli autori della
Recherche e di Guerra e pace. Ciò che il romanzo è veramente, Barthes lo
enuncia così: «Il sentimento che deve animare l’opera sta dalla parte
dell’amore: ma quale? La bontà? La generosità? La carità? Forse
semplicemente perché Rousseau ha dato alla pietà (alla compassione) la
dignità di un filosofema».
Che il romanzo debba essere considerato una grande parola di pietà
rivolta a tutto ciò che vive e a tutto ciò che muore, che questa stessa
parola risuoni essenzialmente in esso, e persino dietro agli scoppi
d’odio e agli accenti di rabbia, Céline ne è testimone. La lettura di
tutti i suoi libri lo dimostra. Ad esempio Pantomima per un’altra volta,
forse il più grande ma anche il meno letto dei suoi romanzi,
significativamente dedicato «Agli animali, ai malati, ai prigionieri».
Vi si trova la strana dichiarazione che, da sola, meriterebbe ancora
pagine e pagine di riflessione: «Quando vorrete, vi proverò l’esistenza
di Dio al contrario». Il romanzo come anti-prova ontologica? Ma si
tratta di provare alla rovescia che Dio esiste o viceversa di provare
che non esiste? Molto più della poesia, il romanzo parla quando il
divino si è ritratto, nella vertigine che ne consegue, per far sentire
da quell’abisso una parola semplicissima, una parola di rivolta volgare
come la vita che si oppone a tutto ciò che la nega: «la coscienza è
questo: merda! merda!… mai, in nessuna circostanza, ho potuto
rassegnarmi alla morte… non ho mai potuto abbandonare nulla… la mia
propria morte sarebbe una pacchia, sarei ben contento, è la morte degli
altri che mi offende… nel fondo più fondo di tutto è per questo che io
sto sulle scatole, che si accaniscono a appiopparmi un sacco di colpe,
perché impreco sulla morte degli altri… persino sui centenari che tirano
le cuoia non sono mai stato d’accordo!… io sono perché niente
sparisca…merda! merda! merda!». Questa è la verità di Céline.
Traduzione di Gabriella Bosco
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