giovedì 20 marzo 2014

L'Occidente atterrito dal declino e il social-imperialismo come soluzione

Una nuova scoperta dell'acqua calda: la storia c'è, le cose cambiano, ecc. ecc. [SGA].

Civiltà al collasso così fan tutte Dai Maya a noi. Così crollano le civiltà

Uno studio della Nasa: l’Occidente è destinato a crollare come Roma antica e gli altri grandi imperi del passato per lo squilibrio nella distribuzione delle ricchezze

di Vittorio Sabadin La Stampa 20.3.14


Tutte le grandi civiltà del passato credevano di durare in eterno e hanno invece subito prima o poi un collasso che le ha distrutte. Gli studiosi della materia cominciano a pensare che il susseguirsi delle civiltà sia ciclico e abbia caratteristiche comuni che si ripetono nella storia: al massimo fulgore, segue inevitabilmente un declino che non viene subito compreso ed è affrontato quando è ormai troppo tardi, spesso con mezzi sbagliati. 
Uno studio finanziato dal Goddard Space Flight Center della Nasa è ora arrivato alla conclusione che anche la nostra civiltà industriale presenta sintomi di degrado molto gravi ed è prossima a una fine che, senza interventi adeguati, arriverà molto presto, nel giro di qualche decade. È strano che un centro di volo spaziale si occupi delle banali cose che accadono sulla Terra, ma lo studio è stato condotto da un insigne matematico, Safa Motesharrei, e da ricercatori di scienze naturali nell’ambito di una nuova disciplina chiamata Handy (Human and Nature Dynamics), che mescola eventi sociali e naturali per trarne presagi sul futuro. 
Motesharrei e i suoi collaboratori hanno messo in relazione la situazione attuale del pianeta con quelle dell’impero romano, della civiltà maya, dei regni della Mesopotamia, delle dinastie Han in Cina, dei Maurya e dei Gupta in India. Per secoli, i loro sovrani hanno creduto di poter dominare il mondo che conoscevano, ma poi è accaduto qualcosa del quale non si sono accorti o che hanno sottovalutato, un lento cambiamento degli equilibri che sembrava ininfluente o sopportabile, e che invece ha portato al disastro. 
I fattori comuni tra le passate civiltà e la nostra, secondo la Nasa, sono in tutto cinque e bisogna prestare molta attenzione alle loro dinamiche. Sono la popolazione, il clima, l’acqua, l’agricoltura e l’energia. Fino a che stanno in equilibrio, la civiltà prospera. Quando l’equilibrio si spezza senza essere rapidamente ripristinato, comincia il decadimento. Il collasso avviene se si verificano due condizioni sociali precise, purtroppo già fortemente presenti nella nostra civiltà: l’impoverimento delle risorse disponibili e la stratificazione della società tra un gruppo formato dalle élite e un altro dalla massa di gente comune. 
Quando si verifica un impoverimento delle risorse disponibili, la tendenza nelle civiltà degli ultimi 5000 anni è stata quella di interrompere la ridistribuzione del surplus alla società. Con una analisi molto vicina al pensiero marxista, il Goddard Space Center sostiene che, al tempo dei Maya come oggi, il controllo esercitato dalle élite fa in modo che la massa che produce la ricchezza ne riceva indietro solo una piccola parte, a livello di sussistenza o poco sopra. Questo porta al collasso dello strato sociale più debole, al quale però segue inevitabilmente anche il decadimento di quello più forte. 
Di fronte a questi eventi, le caste hanno in passato sempre reagito continuando a fare «business as usual», ignorando gli allarmi e procedendo verso la fine senza agire in modo adeguato. Una situazione molto simile a quella attuale della nostra civiltà occidentale, anche se molti scienziati sono convinti che lo sviluppo della tecnologia ci salverà dalla preannunciata carenza di risorse energetiche, di acqua e di cibo per tutti. Lo studio della Nasa non è però ottimista al riguardo: la tecnologia, afferma, migliora la capacità dell’uomo di trovare risorse, ma ne aumenta anche il consumo pro capite. Gli aumenti di produttività nell’agricoltura e nell’industria hanno generato contemporaneamente un incremento dell’utilizzo di materie prime, invece di diminuirlo. 
Secondo Safa Motesharrei e il suo gruppo di studiosi la nostra civiltà ha ancora la possibilità di salvarsi, ma deve agire in fretta in tre direzioni: deve ridurre le diseguaglianze economiche, distribuire meglio le risorse usandone meno e contenere il numero di abitanti del pianeta, se possibile riducendolo. Ma nessuno si fa illusioni che un simile progetto possa davvero essere attuato su scala mondiale. 
Di ridurre gli abitanti della Terra proprio non se ne parla, al massimo si può cercare di contenere le nascite in India e in Africa, visto che l’Europa già lo fa. Per risparmiare risorse, bisognerebbe cominciare a modificare in peggio il tenore di vita nel mondo occidentale, cosa che sta in parte avvenendo. Poi sarebbe necessario convincere i cinesi e gli indiani che, ora che è arrivato il loro momento di acquistare automobile, lavatrice e frigorifero, devono rinunciarvi per salvare la civiltà industriale alla quale sono finalmente approdati. Per eliminare le disuguaglianze, bisognerebbe infine convincere la minoranza che detiene la ricchezza a distribuirla maggiormente alla maggioranza di chi ha sempre meno denaro. Con le buone maniere, non ci è mai riuscito nessuno.
Tutte le grandi civiltà del passato credevano di durare in eterno e hanno invece subito prima o poi un collasso che le ha distrutte. Gli studiosi della materia cominciano a pensare che il susseguirsi delle civiltà sia ciclico e abbia caratteristiche comuni che si ripetono nella storia: al massimo fulgore, segue inevitabilmente un declino che non viene subito compreso ed è affrontato quando è ormai troppo tardi, spesso con mezzi sbagliati. 
Uno studio finanziato dal Goddard Space Flight Center della Nasa è ora arrivato alla conclusione che anche la nostra civiltà industriale presenta sintomi di degrado molto gravi ed è prossima a una fine che, senza interventi adeguati, arriverà molto presto, nel giro di qualche decade. È strano che un centro di volo spaziale si occupi delle banali cose che accadono sulla Terra, ma lo studio è stato condotto da un insigne matematico, Safa Motesharrei, e da ricercatori di scienze naturali nell’ambito di una nuova disciplina chiamata Handy (Human and Nature Dynamics), che mescola eventi sociali e naturali per trarne presagi sul futuro. 
Motesharrei e i suoi collaboratori hanno messo in relazione la situazione attuale del pianeta con quelle dell’impero romano, della civiltà maya, dei regni della Mesopotamia, delle dinastie Han in Cina, dei Maurya e dei Gupta in India. Per secoli, i loro sovrani hanno creduto di poter dominare il mondo che conoscevano, ma poi è accaduto qualcosa del quale non si sono accorti o che hanno sottovalutato, un lento cambiamento degli equilibri che sembrava ininfluente o sopportabile, e che invece ha portato al disastro. 
I fattori comuni tra le passate civiltà e la nostra, secondo la Nasa, sono in tutto cinque e bisogna prestare molta attenzione alle loro dinamiche. Sono la popolazione, il clima, l’acqua, l’agricoltura e l’energia. Fino a che stanno in equilibrio, la civiltà prospera. Quando l’equilibrio si spezza senza essere rapidamente ripristinato, comincia il decadimento. Il collasso avviene se si verificano due condizioni sociali precise, purtroppo già fortemente presenti nella nostra civiltà: l’impoverimento delle risorse disponibili e la stratificazione della società tra un gruppo formato dalle élite e un altro dalla massa di gente comune. 
Quando si verifica un impoverimento delle risorse disponibili, la tendenza nelle civiltà degli ultimi 5000 anni è stata quella di interrompere la ridistribuzione del surplus alla società. Con una analisi molto vicina al pensiero marxista, il Goddard Space Center sostiene che, al tempo dei Maya come oggi, il controllo esercitato dalle élite fa in modo che la massa che produce la ricchezza ne riceva indietro solo una piccola parte, a livello di sussistenza o poco sopra. Questo porta al collasso dello strato sociale più debole, al quale però segue inevitabilmente anche il decadimento di quello più forte. 
Di fronte a questi eventi, le caste hanno in passato sempre reagito continuando a fare «business as usual», ignorando gli allarmi e procedendo verso la fine senza agire in modo adeguato. Una situazione molto simile a quella attuale della nostra civiltà occidentale, anche se molti scienziati sono convinti che lo sviluppo della tecnologia ci salverà dalla preannunciata carenza di risorse energetiche, di acqua e di cibo per tutti. Lo studio della Nasa non è però ottimista al riguardo: la tecnologia, afferma, migliora la capacità dell’uomo di trovare risorse, ma ne aumenta anche il consumo pro capite. Gli aumenti di produttività nell’agricoltura e nell’industria hanno generato contemporaneamente un incremento dell’utilizzo di materie prime, invece di diminuirlo. 
Secondo Safa Motesharrei e il suo gruppo di studiosi la nostra civiltà ha ancora la possibilità di salvarsi, ma deve agire in fretta in tre direzioni: deve ridurre le diseguaglianze economiche, distribuire meglio le risorse usandone meno e contenere il numero di abitanti del pianeta, se possibile riducendolo. Ma nessuno si fa illusioni che un simile progetto possa davvero essere attuato su scala mondiale. 
Di ridurre gli abitanti della Terra proprio non se ne parla, al massimo si può cercare di contenere le nascite in India e in Africa, visto che l’Europa già lo fa. Per risparmiare risorse, bisognerebbe cominciare a modificare in peggio il tenore di vita nel mondo occidentale, cosa che sta in parte avvenendo. Poi sarebbe necessario convincere i cinesi e gli indiani che, ora che è arrivato il loro momento di acquistare automobile, lavatrice e frigorifero, devono rinunciarvi per salvare la civiltà industriale alla quale sono finalmente approdati. Per eliminare le disuguaglianze, bisognerebbe infine convincere la minoranza che detiene la ricchezza a distribuirla maggiormente alla maggioranza di chi ha sempre meno denaro. Con le buone maniere, non ci è mai riuscito nessuno.






“Ma la via d’uscita c’è: puntare sul capitale umano”
di Paolo Mastrolilli La Stampa 20.3.14


«È sempre la stessa storia: la redistribuzione è la panacea di tutti i mali. Non è così, però, e l’esperienza lo dimostra. L’impero romano, come quello dei Gupta, si sarebbe salvato se avesse puntato sul capitale umano dei propri emarginati, istruendoli e consentendo loro di salire sulla scala sociale».
Il professore della Columbia University Jagdish Bhagwati è al crocevia dei temi toccati dallo studio Nasa sul declino della civiltà moderna. Nato in India, educato in Gran Bretagna e negli Usa, è membro del Council on Foreign Relations e si è sempre occupato dell’intreccio tra sviluppo, commerci e questioni sociali.
Perché lo studio della Nasa non la convince?
«Parla di ambiente, popolazione, clima, risorse, ma quello che intende dire è soprattutto una cosa: lo squilibrio tra ricchi e poveri sta condannando la nostra società al crollo. La diagnosi può anche essere accurata, ma la terapia è come al solito sbagliata. Non è che se mettiamo tutti i ricchi su una nave e l’affondiamo, il giorno dopo i poveri stanno meglio. E il problema non si risolve neppure togliendo tutti i soldi ai ricchi, per ridistribuirli ai poveri, perché comunque non basterebbero».
Lei quale soluzione suggerisce?
«Andiamo alle radici storiche della questione. Tutti i grandi imperi, a partire da quello romano, hanno commesso l’errore di escludere le classi più basse, pensando che le cose sarebbero sempre rimaste uguali. Anche noi lo stiamo ripetendo ora, però la soluzione non è ridistribuire, ma includere. Come? Puntare sul capitale umano. Dobbiamo investire nell’istruzione dei poveri, cosa che non fece nessuno dei grandi imperi falliti, per due ragioni: primo, per consentire a loro di trovare lavori più soddisfacenti, salire nella scala sociale e superare il risentimento; secondo, perché il miglioramento e l’allargamento dell’educazione consentirà a tutta l’umanità di trovare soluzioni più efficaci e sostenibili per la crescita, che resta l’unica strada percorribile per far sopravvivere e prosperare la nostra civiltà».
È solo una questione economica?
«No. È sociale, e prima di tutto viene il capitale umano. Se lo metteremo a frutto, potenziando istruzione e tecnologia, troveremo la soluzione non solo per continuare a crescere, ma anche per farlo rispettando l’ambiente e le risorse naturali di cui abbiamo bisogno».

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