lunedì 3 marzo 2014
Piero Pagliani sul golpe in Ucraina
Sette osservazioni
sulla crisi Ucraina
Piero Pagliani su Megachip
Prima osservazione. La crisi in corso in Ucraina è
l’ennesima riprova che le crisi sistemiche portano inesorabilmente a guerre
mondiali. Per favore, basta stupirci delle guerre. La crisi sistemica del
Seicento fu risolta dalle guerre anglo-olandesi che durarono più di vent’anni.
La crisi sistemica scorsa fu risolta da una guerra mondiale di trent’anni che
iniziò nel 1914 e terminò solo nel 1945. La guerra mondiale scatenata
dall’odierna crisi sistemica è iniziata ufficialmente l’11 settembre del
2001, cioè tredici anni fa e oggi rischia di entrare in una fase nuova e più
devastante.
Seconda osservazione. L’odierna crisi sistemica, si è
conclamata ufficialmente il 15 agosto del 1971 quando Nixon dichiarando che il
Dollaro non era più convertibile in oro, dichiarò implicitamente che la
moneta imperiale era garantita esclusivamente dalla potenza politica,
militare, diplomatica, culturale e solo infine economica degli Stati Uniti. Gli
stessi motivi per cui quella moneta aveva corso mondiale obbligatorio. Basta,
per favore, ripetere che la crisi attuale è iniziata con lo scoppio della bolla
dei subprime o, al più, con quella della “New Economy”. Sono due
episodi della crisi sistemica principale.
Terza osservazione. La crisi ucraina sembra confermare
l’ipotesi che ho avanzato in “Al cuore della Terra e
ritorno” (http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=73540): siamo entrati in una fase di
deglobalizzazione, ovvero di suddivisione del sistema-mondo in compartimenti
geo-economici separati e potenzialmente contrapposti. Un’altra conferma è il
Transatlantic Trade and Investment
Partnership (Ttip), cioè la cosiddetta “Nato economica”, in corso di
negoziazione. Di conseguenza la finanziarizzazione come l’abbiamo sperimentata a
partire dal Volcker shock del 1979 e poi diventata virulenta negli ultimi
venti anni, subirà una radicale trasformazione, dato che era sostenuta dalla
globalizzazione. In relazione a questa accezione del concetto di
“finanziarizzazione”, dobbiamo aspettarci una fase di
definanziarizzazione che accompagnerà, anche se non in modo meccanico,
quella di deglobalizzazione. Questa definanziarizzazione richiede di scambiare
il più possibile valori finanziari con valori reali. Il che, in parole povere,
vuol dire cercare di riempire un enorme sacco vuoto con ricchezza reale, cosa
che non può non portare a disastri e scompensi e innanzitutto richiede un
aumento del saggio di profitto (da cui le “riforme del lavoro”) e l’assalto
all’arma bianca del dominio pubblico. Come placebo per l’ormai irrecuperabile
“piena occupazione”, al fine del necessario controllo sociale verranno
probabilmente introdotto un “reddito di sussistenza”, operando così una
ghettizzazione istituzionalizzata di parti sempre più ampie delle
crescenti “classi subalterne”, per più di una generazione. Uno scenario sociale,
culturale e antropologico agghiacciante.
Quarta osservazione. Con la crisi ucraina gli Stati
Uniti e la Nato sono ritornati ai vecchi amori della Guerra Fredda: le forze
politiche fasciste. L’accoglienza di Kerry al nazista Tjahnybok., leader di Svoboda, ne è l’emblema. Nel 2009
era stata la volta dell’Honduras a subire un golpe old fashion orchestrato dall’entourage della
famiglia Clinton ed eseguito da gorilla fascistoidi addestrati nella “Scuola
delle Americhe”. In Medio Oriente ormai non si nasconde più l’utilizzo imperiale
di manovalanza fondamentalista antidemocratica. Ad ogni modo, in Europa era
dai tempi del colpo di stato dei colonnelli in Grecia che non si assisteva più a
un uso aperto di personale fascista in Europa (utilizzo coperto c’è stato
invece ad esempio durante le guerre che hanno distrutto la Jugoslavia. Anzi,
possiamo considerare le guerre nei Balcani un punto di snodo, in cui forse per
la prima volta cooperarono con le forze imperiali sia fascisti sia
jihadisti. La differenza è che oggi, per l’appunto, il loro
utilizzo è palese, aperto, quasi rivendicato.
Quinta osservazione. Il ricorso da parte imperiale di
forze che formalmente sono direttamente contrastanti coi valori professati
dall’Impero, è un probabile sintomo dell’indebolimento delle sue capacità
egemoniche, cioè delle sue capacità a far condividere come universali i
propri interessi particolari. Da tempo, infatti, il “modello” occidentale ha
dimostrato di non essere in grado di essere universalmente applicato e di creare
più problemi di quanti ne riesca a risolvere, sia in termini di sviluppo, sia in
termini di stabilità sociale e internazionale.
Sesta osservazione. Il colpo di stato in
Ucraina (ché tale è stato, indipendentemente dal fatto che il regolarmente
eletto presidente Yanukovich fosse corrotto e incapace),
eseguito come avevo previsto assieme ad altri osservatori, pochi purtroppo,
durante lo svolgimento dei giochi olimpici di Sochi, è avvenuto grazie a
finanziamenti statunitensi e tedeschi (non solo accertati, ma addirittura
dichiarati), è stato politicamente sostenuto, a volte persino in loco, da pezzi
grossi della politica e della diplomazia Atlantica (Kerry, McCain, Ashton) e
infine è stato attuato utilizzando reparti paramilitari fascisti a volte
addestrati direttamente in basi Nato. In poche parole, è stato un assalto
atlantico alle frontiere occidentali della Russia, con ciò stracciando in una
volta i Trattati di Parigi ed Helsinki su cui si basava la sicurezza collettiva
europea dopo la fine dell’Urss.
E’ stata quindi una mossa pericolosissima, cosa che
testimonia delle gravi difficoltà che l’Occidente sta sperimentando a causa
della crisi sistemica.
Settima osservazione. La reazione della Russia era
obbligata. Ciò non vuol dire che non apra scenari da brivido, ma solo
che segue ferreamente e coerentemente la logica della terza guerra
mondiale in cui siamo immersi. L’avventurismo occidentale, che è testimone
di una preoccupante dose di arrogante disperazione, sta nel fatto che si
è compiuta la mossa ucraina pur sapendo che al 90% Mosca avrebbe reagito in modo
brutale e deciso. Do per scontato che le dinamiche concitate di questo scorcio
di crisi sistemica possano indurre anche mosse particolarmente pericolose e
imbecilli. Ma qui mi sembra che siamo di fronte a una inquietante amnesia
storica. Non ci si ricorda più che la Russia (e spero che si capisca perché non
dico “Unione Sovietica” in questo contesto) al costo di centinaia di migliaia di
morti sgominò la VI armata del generale
Friedrich Paulus a Stalingrado, invertendo le sorti della II Guerra
Mondiale? Non ci si ricorda più che la Russia al prezzo di venti milioni di
morti ricacciò i nazisti fino a issare la bandiera rossa sul
Reichstag? Si pensa che quelle cose siano successe perché c’era Stalin al
Cremlino? Sbagliato. Stalin ebbe bisogno di evocare non una resistenza
comunista, bensì la Grande Guerra Patriottica benedetta dai pope.
Una guerra le cui radici affondavano totalmente nella tradizione russa, dove i
Tedeschi erano i Cavalieri Teutoni e l’Armata Rossa gli stormi di
contadini-soldati guidati dal principe Aleksandr Nevskij. Non dice niente
il fatto che Putin abbia avuto per la Crimea anche l’appoggio delle opposizioni?
Cosa credete che pensino i Russi quando vedono i nazisti della Galizia prendere
in ostaggio le piazze ucraine? Non si chiamava “Galizien” la prima unità
non tedesca di SS?
Se i decisori occidentali non hanno più voglia di leggersi la
Storia si vadano almeno a vedere il film di Eisenstein e quando il Cavalieri
Teutoni caricano i Russi sul lago Peipus gelato si facciano venire anche loro un
po’ di sano, istruttivo e saggio gelo alla fronte vedendo come è andata a finire
(http://www.youtube.com/watch?v=vKZPgGbUuX0).
Morale. C’è necessità di Pace. C’è
un’enorme necessità di Pace. C’è un’urgentissima necessità di Pace. Per il
nostro Paese c’è bisogno di una politica di neutralità. Innanzitutto
dovrebbe ritornare a svolgere quel ruolo di mediazione che lo ha
contraddistinto a partire dalla fine della II Guerra Mondiale almeno fino
all’inizio degli anni Novanta. Già questo sarebbe un notevole passo avanti.
Alternativamente, il nostro Paese potrebbe essere tirato dentro una guerra
devastante in men che non si dica, senza che nemmeno se ne accorga. C’è bisogno
che si rilanci un movimento di pacifismo attivo. C’è bisogno di capire che
guerra e crisi sono due facce della stessa medaglia. C’è bisogno di un
rilancio dell’idea stessa di “democrazia”. All’inizio della crisi, tra gli anni
Sessanta e Settanta c’era coscienza di
ciò. Oggi che questa coscienza è ancora più necessaria di allora siamo invece
paralizzati in uno stato catatonico sia delle capacità di analisi e
comprensione, sia di quelle di mobilitazione politica. Non abbiamo più la
capacità di elaborare un’idea indipendente, che guardi al di là del nostro naso.
Al massimo siamo al carro dei problemi suscitati dall’avversario e riusciamo –
spesso malamente – solo a ragionare su quelli. Eppure siamo di fronte a un
cambio di civiltà. Forse a un cambio dell’idea stessa di civiltà.
Dovremmo con tutte le nostre forze evitare che ciò si trasformi in una
catastrofe, perché la catastrofe non è assolutamente ineluttabile (la storia del mondo è piena
di cambiamenti di civiltà), ma evitarla dipende da noi. Eppure non
riusciamo a far niente e la catastrofe la rischiamo in continuazione.
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