mercoledì 16 aprile 2014

Disarmo, una parola divenuta desueta

Violenza atomicaIl testo postumo dell’autore di Indignatevi! sul disastro nucleare, mai tanto attuale

di Stéphane Hessel, Albert Jacquard l’Unità 16.4.14


È UN DATO DI FATTO CHE L’UMANITÀ POTREBBE PRENDERE l’iniziativa di far sparire se stessa a più o meno breve scadenza, e forse anche nei prossimi giorni. 
Questa prospettiva è talmente mostruosa che coloro ai quali i popoli danno il potere sembrano non pensarci mai. Attualmente stiamo vivendo una fase di sproporzione straordinaria tra i problemi che suscitano l’interesse appassionato delle società umane e la posta in gioco che è la fine deliberata della nostra specie. Tutto è pronto per concludere una storia che ha avuto inizio diversi milioni di anni fa facendola finire nell’indifferenza, per delle dispute marginali. Durante le campagne elettorali, la domanda più frequente ai candidati è: «Quale sarà il provvedimento che adotterete per primo quando avrete l’incarico della gestione del paese?». 
La risposta dovrebbe essere sistematicamente questa: «Bisogna cominciare con il sopprimere l’arsenale nucleare». Perché, se è certo importante instaurare un buon sistema educativo, o un buon sistema sanitario, ci si deve chiedere: a che cosa questi serviranno se prima di tutto la minaccia di un conflitto nucleare non sarà stata eliminata? La necessità di questa affermazione, di per sé evidente, può essere illustrata con l’atteggiamento di Catone il Vecchio che, ventiquattro secoli fa, a Roma, era ossessionato dai pericoli che l’ostilità di Cartagine faceva correre al suo paese. Si era perciò promesso di terminare tutti i suoi discorsi con le parole: «Carthago delenda est» («Cartagine deve essere distrutta»). Egli sperava che, a forza di ripetere questo suo avvertimento, i suoi concittadini non sarebbero stati colti di sorpresa da un eventuale attacco da parte dell’esercito cartaginese. È fuori di dubbio che oggi Catone cercherebbe di eliminare la causa della sua angoscia con il sopprimere, semmai l’avesse posseduta, l’arma nucleare. Quest’arma infatti ha la particolarità di distruggere l’aggressore e nello stesso tempo l’aggredito. 
LA CORSA AGLI ARMAMENTI 
Del resto, se essa venisse usata in un conflitto, le nozioni stesse di aggressore e di aggredito perderebbero gran parte della loro pertinenza e lo stesso avverrebbe per tutti i termini che servono usualmente per descrivere le battaglie. 
Da millenni l’immaginazione dei militari e degli ingegneri ha prodotto mezzi sempre più efficaci per distruggere il nemico. L’arco, la balestra, il fucile, il cannone, si sono succeduti in una progressione parallela a quella delle scienze. La realizzazione della «bomba» ha posto fine a questa regolarità. Questa nuova «bomba» è stata presentata come una super arma della stessa famiglia di quelle che l’hanno preceduta, semplicemente dotata di una carica esplosiva più potente. Questa presentazione tradisce la realtà. In effetti, non si tratta più, come in passato, di accrescere di un fattore cento o mille le capacità di distruzione. Ora si tratta invece di ripensare in profondità la definizione dei conflitti, tenendo conto dei nuovi rapporti che si sono creati tra gli esseri umani. È qui in gioco l’insieme delle relazioni che intercorrono tra di noi. 
Al di là del problema nucleare occorre che noi riflettiamo sulla nostra comprensione della vita sulla terra. La natura, noi lo sappiamo meglio grazie a Darwin, produce esseri tutti diversi fra di loro. Queste differenze implicano che certuni hanno più probabilità di altri di sopravvivere e risultano vincitori nella battaglia che si conclude con l’eliminazione degli uni e la supremazia degli altri. 
Questo processo viene oggi comunemente considerato come una necessità. In realtà queste differenze possono essere non un fattore di eliminazione ma un mezzo per creare nuove possibilità. Sì, la natura produce grandi differenze fra gli esseri viventi, ma ciò non implica necessariamente che vi sia lotta fra di loro, anzi le differenze possono generare successi collettivi. Allora non si constata più la necessità della competizione, bensì quella dell’emulazione. Viene sovente evocato il «codice nucleare» che permetterebbe di provocare il suicidio dell’Umanità. Questo codice alcuni paesi lo possiedono, ma, che la decisione di usarlo sia presa a Washington oppure al Cremlino, a Gerusalemme oppure a Teheran, all’Eliseo oppure a Pechino, resteranno solo le rovine dell’«Umanità evoluta» se ce ne serviremo in un qualsivoglia conflitto. 
Gli esseri umani che sono informati, come lo siamo noi, della possibilità di questa catastrofe annunciata, non possono sottrarsi a questa responsabilità, né noi, né voi, né nessuno. Siamo stati preavvertiti: come avremmo reagito? La parola conclusiva potrebbe essere tratta dall’opera teatrale Les mains sales («Le mani sporche») di Jean-Paul Sartre. Alla fine, l’eroe viene ucciso per una sordida storia di gelosia. Lui, che era pronto a dare la propria vita per difendere una grande causa, muore dicendo «C’est trop con!» («È troppo stupido!»).

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