giovedì 17 aprile 2014

La concorrenza tra monasteri nell'Europa medievale

Copertina di 'Sotto la guida del Vangelo'Sotto la guida del vangelo. Cluny e Cîteaux: testi e storia di una controversia, a cura di Cecilia Falchini, Qiqajon, pp. 617, € 50

Risvolto
Come cercare Dio lasciandosi guidare dal Vangelo? Domanda al cuore dell'acceso e vivo confronto tra le due esperienze monastiche più significative del XII secolo: quella di Cluny, rappresentata da Pietro il Venerabile e quella di Cîteaux, incarnata dalla determinazione e dalla creatività di Bernardo di Clairvaux. Dallo scambio tra i due insigni monaci e da altri scritti monastici coevi, un insegnamento fondamentale per ogni cristiano: la qualità della sequela non è dettata da una vita eroica, ma dall'amore che attraversa la quotidianità dell'esistenza.



Il convento dei golosi Guerre di propaganda tra i monaci medievali 
Un libro racconta l’ascesa e la caduta dei grandi centri monastici attraverso il conflitto tra Cluny e Cîteaux

Alessandro Barbero La Stampa 17 aprile 2014

Il ritorno dei monaci è un fenomeno del nostro tempo; la visibilità di un Enzo Bianchi e della sua comunità di Bose sarebbe stata impensabile ancora pochi anni fa. E tuttavia, chi dovesse descrivere a un alieno com’è fatta la società moderna sarebbe scusato se dimenticasse di includere nel quadro i monasteri e i loro abitanti. C’è stata invece un’epoca in cui i monaci erano il gruppo sociale più influente d’Europa, in cui la maggior parte delle teste pensanti rivestiva l’abito benedettino e in cui le voci che uscivano dalle abbazie intimorivano la politica. La concorrenza fra diversi monasteri suscitava confronti accesi e appassionati, che possono stupire per la loro durezza. Al più aspro e polemico di quei confronti, che vide protagonisti i monaci di Cluny e quelli di Cîteaux, dedica un poderoso volume proprio la casa editrice della comunità di Bose, Qiqajon, che celebra quest’anno il suo trentennale (Sotto la guida del vangelo. Cluny e Cîteaux: testi e storia di una controversia, a cura di Cecilia Falchini, pp. 617, € 50).


Cluny era il più vecchio dei due monasteri. Era nato nel 909, in un’epoca di violenza e d’insicurezza, quando chiunque esercitasse un potere doveva andare a cavallo e impugnare la spada. I monaci erano gli unici a rifiutare la violenza, il denaro e il sesso, e la gente li guardava con crescente rispetto. Loro stessi erano convinti d’essere gli unici destinati alla salvezza, perché soltanto loro avevano le mani pulite: i parenti rimasti nel secolo non sarebbero sfuggiti alla dannazione. Qualcuno lo viveva come un trauma: ci sono monaci che raccontano con angoscia d’aver sognato il padre e i fratelli che bruciavano all’inferno. Ma la reazione più frequente era d’orgoglio: noi, pensavano i monaci di Cluny, siamo quel che c’è di meglio sulla terra, e noi soli possiamo aiutare gli altri a salvarsi, pregando per loro. Il giorno dei Morti, che celebriamo ancor oggi, è stato inventato proprio dai cluniacensi, a partire dai registri di tutti i morti che avevano fatto del bene al monastero e dovevano essere ricordati nelle preghiere.
L’orgoglio, naturalmente, si paga: i monaci erano antipatici a molti. I loro fratelli e cugini rimasti nel mondo a fare i cavalieri si divertivano ad ascoltare canzoni di gesta in cui i monaci erano descritti come vigliacchi, pigri e ingordi. I menestrelli strizzavano l’occhio: solo chi vale poco può scegliere una vita così, al calduccio nel monastero. Ma anche il clero amava poco i monaci, perché chi aveva scelto l’abito benedettino si sentiva superiore anche al parroco e al vescovo, e non mancava di farglielo sapere. Proprio un vescovo, Adalberone di Laon, in un poema satirico scritto intorno all’anno Mille schizza la caricatura del monaco di Cluny: va a cavallo come un gran signore, orgoglioso e altero, avvolto in una sontuosa pelliccia, il colbacco in testa, e quando gli parlano del re risponde arrogante: quale re? Il mio re è l’abate di Cluny.
Quella di Adalberone era una parodia malevola; ma altre critiche toccavano nel segno. Nei monasteri cluniacensi si beveva bene e si mangiava troppo. Perfino un amico di Cluny come il cardinale Pier Damiani, invitato a pranzo dall’abate Ugo, rimase scandalizzato: possibile che lì non si potesse mangiare di magro almeno due giorni alla settimana? E’ vero che la risposta dell’abate lo rese pensoso. Tu non t’immagini neanche, gli disse Ugo, com’è faticosa la vita che facciamo qui; e aveva ragione. Alzarsi nel cuore della notte e restare per ore in piedi a cantare i salmi nella chiesa gelida, e poi per tutto il giorno rispettare un’agenda inflessibile alternando il duro studio in biblioteca e le interminabili preghiere, e poi andare a dormire distrutti e di nuovo svegliarsi nell’ora più buia e ricominciare, e così ogni giorno per tutta la vita: i miei monaci, disse Ugo, devono mangiare per farcela.
La nemesi, però, era in agguato. Come tutti i movimenti di grande successo, il monachesimo cluniacense finì per perdere il suo fascino rivoluzionario; chi voleva cambiare il mondo cominciò a cercare altre vie. Il nuovo monastero di Cîteaux superò Cluny in popolarità; i suoi monaci, i cistercensi, misero tutto il loro zelo nel far sapere che loro erano diversi, tanto che si vestirono di abiti bianchi, anziché neri come si usava. La gente, che faticava a pronunciare quei nomi difficili, non parlò di cluniacensi e cistercensi, ma di monaci neri e monaci bianchi. I testi raccolti nel volume di Qiqajon mostrano con quanta petulanza i bianchi rinfacciavano ai neri i loro difetti: a Cluny non si lavorava abbastanza - provassero un po’ i cluniacensi, se il lavoro della zappa non era più duro del loro lavoro di topi di biblioteca! Il portavoce dei bianchi, Bernardo di Clairvaux, fece ridere la cristianità menzionando i dieci modi diversi in cui i cuochi di Cluny sapevano preparare le uova, e descrivendo il monaco al mercato alla ricerca della stoffa per la sua cocolla, tutto intento a buttare all’aria le botteghe, frugare, palpare, osservare controluce, per trovare il tessuto più raffinato e costoso.
I neri si difesero debolmente: la regola di san Benedetto dice che l’abate deve dare ai monaci tutto quello di cui hanno bisogno, e noi facciamo appunto così; se la domenica mangiamo il doppio, è per onorare il Signore; e quanto al vino, anche Gesù alle nozze di Cana ha dimostrato che bere vino è meglio che bere acqua! Non stupisce che Cluny sia uscita da queste polemiche con le ossa rotte; ma i cistercensi non si rallegrarono a lungo, perché ben presto esperienze ancora più rivoluzionarie, come quella di Francesco d’Assisi, avrebbero reso fuori moda anche il loro monachesimo. Cominciava un lungo declino, al termine del quale perfino un cattolico fervente come il Manzoni avrebbe dato per scontato che nei monasteri viveva gente disperata come la monaca di Monza. Nasceva così, fra il dileggio degli illuministi e l’ironia dei protestanti, quell’immagine sinistra del mondo monastico, in confronto alla quale le polemiche di san Bernardo sul quartino di vino e sulle uova sode sembrano cose da ragazzi; un’immagine la cui ombra arriva fino al Nome della Rosa, e che forse solo oggi esperienze come quella di Bose stanno cominciando a cambiare.

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