Maurizio Ferrera Corriere
lunedì 28 aprile 2014
L'europeismo edificante di Jürgen Habermas: una rimozione del Grande Spazio europeo come campo del conflitto politico-sociale
Jürgen Habermas: Nella spirale tecnocratica. Un'arringa per la solidarietà europea, trad. di L. Ceppa, Laterza
Risvolto
Gli europei devono riconoscere che il loro modello di Stato sociale e
la varietà nazionale delle loro culture possono sopravvivere solo grazie
a uno sforzo comune. Rinunciare all’Unione europea significherebbe
prendere congedo dalla storia mondiale.
L’Unione economica e monetaria è stata disegnata secondo le concezioni
ordoliberali del patto di stabilità e progresso. È stata pensata come
l’elemento portante di una costituzione economica che avrebbe dovuto
stimolare, oltrepassando le frontiere nazionali, la libera concorrenza
degli attori del mercato e organizzare regole vincolanti per tutti gli
Stati membri, neutralizzando le differenze di competitività esistenti
nelle varie economie. Sennonché l’ipotesi che bastasse una libera e
regolata concorrenza per raggiungere un benessere egualmente distribuito
si è rivelata presto sbagliata. Disattese le condizioni ottimali per
una moneta unica, le diseguaglianze strutturali delle varie economie
nazionali hanno finito per aggravarsi; e continueranno ancora ad
aggravarsi, finché la politica europea non la farà finita con il
principio per cui ogni Stato nazionale deve decidere sovranamente da
solo, senza guardare agli altri Stati associati.
I diritti sociali e la politica. Il nuovo saggio del filosofo Jürgen Habermas
Quell’idea solidale scomparsa in Europa
di Jürgen Habermas Repubblica 28.4.14
Le offese alla solidarietà civica suscitano indignazione: fa rabbia,
tanto per dire, l’evasore fiscale, quando si sottrae ai suoi obblighi
verso la comunità politica pur continuando tranquillamente a goderne i
vantaggi. Certo, l’evasione fiscale è anche una infrazione al diritto
vigente. Sennonché, nella indignazione che colpisce il profittatore si
esprime anche una delusa aspettativa-di-solidarietà.
Quella che si
manifesta nel disprezzo per tutti i Depardieu evasori di questo mondo, i
quali si sottraggono al fisco trasferendo all’estero, del tutto
legalmente, la loro residenza o la loro industria.
Nella storia dello
Stato sociale abbiamo visto come le aspettative di solidarietà possano
trasformarsi in pretese giuridiche. Anche oggi è una questione di
solidarietà, non di diritto, stabilire con quanta «diseguaglianza » i
cittadini di una nazione benestante vogliano continuare a vivere. Non è
lo Stato di diritto che può frenare il numero crescente dei giovani
senza lavoro, dei disoccupati e dei
sotto-occupati, degli anziani con
una pensione da fame, delle mamme che allevano da sole i bambini e
dipendono dalla pubblica assistenza. Solo la politica di un legislatore
che sia sensibile alle pretese normative di una cittadinanza democratica
può trasformare le richieste di solidarietà dei marginalizzati (o dei
loro avvocati) in veri e propri diritti sociali.
A prescindere dalla
differenza tra solidarietà, da un lato, e diritto e morale, dall’altro,
esiste pur sempre uno stretto nesso concettuale tra «giustizia politica »
e «solidarietà». In Portogallo, nel passaggio tra il 2012 e il 2013, il
presidente conservatore Aníbal Cavaco Silva chiese alla Corte
costituzionale di prendere in esame il bilancio di austerità che la
maggioranza di governo (a lui politicamente affine) aveva appena
licenziato, in quanto non gli parevano accettabili - nel senso della
giustizia politica - le conseguenze sociali del programma imposto dai
creditori (in particolare, l’aggravio unilaterale su funzionari e
impiegati statali, pensionati e socialmente assistiti). Così facendo, il
presidente tradusse nel linguaggio della giustizia politica quei
disordini, e quelle proteste di strada, che nei paesi più colpiti dalla
crisi chiedono solidarietà sia alle élites del paese sia ai cosiddetti
paesi donatori. (...) A differenza di ciò che accade per la «eticità» -
la «solidarietà » ha per oggetto un contesto- di-vita non tanto derivato
dal passato, quanto piuttosto da organizzare politicamente per il
futuro. Nell’applicarsi alla struttura politica, questa componente
semantica di «impegno attivo» diventa evidente quando si passi -
nell’analisi dei concetti - dal piano astrattamente analitico a una
considerazione storica dello sviluppo delle idee. È strano, ma il
concetto di solidarietà compare molto tardi nella storia, soltanto in
età recente, laddove già negli antichi imperi, dunque a partire dal 3000
avanti Cristo, si discuteva abitualmente di diritto e di giusto/
ingiusto. Certo, il termine solidarietà si trova già nel diritto romano
(nel diritto penale riguardante i debiti). Ma solo a partire dalla
Rivoluzione francese del 1789 assume un significato politico, in realtà
collegandosi inizialmente alla parola d’ordine «fraternità». Come motto
di battaglia, la fraternité deriva dalla generalizzazione umanistica di
una coscienza nata dalle religioni mondiali: risale cioè a
quell’esperienza (allargante le prospettive) per cui la propria comunità
locale veniva vissuta come parte di un’universale comunità di tutti i
credenti. È questo lo sfondo dell’idea di fraternità: un’idea derivata
dalla secolarizzazione umanistica di un concetto religioso. (...) Il
concetto di solidarietà nasce da una situazione storica particolare: i
rivoluzionari lo rivendicavano nel senso di recuperare e ricostruire
quei tradizionali rapporti di fiducia internamente svuotati dagli
invasivi processi della modernizzazione. Il socialismo primitivo degli
artigiani, espulsi dalle loro botteghe, ricavava in parte le sue energie
utopistiche dai ricordi - nostalgicamente trasfigurati - di un mondo
corporativo che appariva paternalisticamente schermato. (...) Il
contrasto di classe, nel capitalismo industriale, è
stato istituzionalizzato soltanto nel quadro degli Stati nazionali
democraticamente costituiti. Gli Stati nazionali europei - che hanno
assunto la forma attuale di «Stati sociali» solo dopo aver attraversato
due disastrose guerre mondiali - sono oggi scivolati nuovamente, per via
della globalizzazione economica, sotto la pressione esplosiva di
interdipendenze che, economicamente generate, se ne infischiano delle
vecchie frontiere nazionali. Ancora una volta sono costrizioni
sistemiche quelle che fanno saltare i vecchi rapporti di solidarietà e
che obbligano a ricostruire le forme statalmente frazionate
dell’integrazione politica. Questa volta le contingenze sistemiche di un
capitalismo politicamente ingovernato, spinto avanti dallo scatenamento
dei mercati finanziari, si concentrano minacciose generando tensioni
tra gli Stati dell’eurozona. Da questa prospettiva storica le
aspettative di solidarietà espresse da Konstantinos Simitis (ex premier
greco ed ex leader del Pasok, n. d. r.) ricavano una loro legittimità.
Egli
punta esplicitamente il dito sulla rete delle vecchie interdipendenze,
che chiedono ora d’essere incanalate in una ricostruzione
dell’integrazione politica a partire dal punto di vista normativo di un
equo bilanciamento dei vantaggi/svantaggi degli Stati membri. Per
salvare l’Unione monetaria non è più sufficiente - di fronte alle
differenze strutturali delle economie nazionali - concedere crediti agli
Stati indebitati, sperando che ognuno di loro riesca da solo ad
aumentare la competitività. Occorre invece uno sforzo cooperativo che -
intrapreso da una prospettiva politica condivisa - incrementi crescita e
competitività di tutta l’eurozona. Uno sforzo di questo genere non può
evitare di chiedere alla Germania federale di farsi carico - sul breve e
medio periodo - di effetti redistributivi di tipo negativo. Si
tratterebbe di un caso esemplare di solidarietà politica nel senso che
abbiamo illustrato.
Maurizio Ferrera Corriere
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