domenica 13 aprile 2014

L'incubo dell'Apocalisse

Strumenti per pensareDaniel Dennett: Strumenti per pensare, Raffaello Cortina
Risvolto
Daniel Dennett, uno dei pensatori più originali del nostro tempo, offre settantasette strumenti per potenziare l’immaginazione e mantenere l’attenzione, concepiti per indicarci come affrontare alcuni degli argomenti più insidiosi: l’evoluzione, il significato, la mente e il libero arbitrio. Dal rasoio di Occam alla reductio ad absurdum, gli strumenti di Dennett si dimostrano in pari misura allegri e accessibili. Come sempre, l’obiettivo di Dennett è insegnare come “riflettere in maniera corretta e con eleganza su questioni difficili”. Testo di grande serietà ma anche costellato di diaboliche delizie, Strumenti per pensare propone ai lettori intrepidi di ogni estrazione piacevoli opportunità di esplorare le proprie idee predilette con nuove capacità.


Se crolla internet
La Rete ha ormai miliardi di utenti. Troppi: il rischio di blackout è concreto Per questo lo scienziato Dan Dennett lancia l’allarme e un piano per sopravvivere a un nuovo Medioevo Come dimostra il down di ieri di Instagram il sistema si sta avvicinando al livello di guardia e potrebbe sfuggire al controllo umano Si fermerebbero così tv e cellulari, bancomat e supermercatiFEDERICO RAMPINI Repubblica 12 aprile 2014

«Se esistesse una scala Richter da 1 a 10 per i terremoti su Internet, quello che abbiamo subìto pochi giorni fa sarebbe a quota 11». L’esperto di crittografia Bruce Schneier ha fatto questo bilancio drammatico sul New Yorker, a proposito del super-virus Heartbleed. 500.000 siti violati per due anni, inclusi colossi come Twitter, Yahoo, Amazon, Dropbox, Tumblr. Centinaia di milioni di password, carte di credito, accessi bancari potrebbero essere finiti in mano a hacker, ladri, truffatori. Il bilancio è ancora provvisorio. Questi disastri si susseguono sempre più spesso e con un’intensità crescente: è di pochi mesi fa il maxifurto di milioni di carte di credito dei clienti di Target, la catena di grandi magazzini. Tra le cause, spiccano due anomalie. Primo, nella Rete la sicurezza non è una priorità così stringente come lo è per esempio nel trasporto aereo (dove gli incidenti diminuiscono da anni anziché aumentare). Secondo punto, a conferma del primo: molti dispositivi di sicurezza (come il software di crittografia OpenSsl che è stato vittima del supervirus Heartbleed) sono frutto di lavoro volontario, semi-gratuito o scarsamente remunerato, nonostante gli immensi profitti incassati dai giganti dell’economia digitale. Ma questa sottovalutazione potrebbe portarci verso un cataclisma molto peggiore. È il Grande Blackout della Rete, evocato in una conferenza Ted da Dan Dennett, raccogliendo plausi e allarme nel mondo degli esperti. «Cerchiamo almeno di prepararci a sopravvivere per le prime 48 ore di caos e paralisi totale», è una delle esortazioni di Dennett. In quei primi due giorni forse ci giocheremmo tutto, l’umanità (almeno quella che abita nei paesi avanzati) rischierebbe di retrocedere in una sorta di Medioevo. «L’11 settembre 2001 sembrerebbe un episodio minore al confronto», rincara Dennett, ricordando che in effetti l’attacco alle Torri Gemelle avvenne in un’era quasi preistorica dal punto di vista della nostra dipendenza digitale.
Dennett non è un apocalittico. Al contrario, a 72 anni il celebre scienziato e filosofo cognitivo è considerato uno dei più grandi esponenti di un pensiero laico, iper-razionale. Direttore del Center for Cognitive Studies alla Tufts University di Boston, Dennett è autore di numerosi saggi tradottiinitaliano(tragliultimi La reli-gione come fenomeno naturaleda Raffaello Cortina, Coscienzada Laterza).Aiciclidi conferenze Ted, affollati di esperti di informatica, lui viene presentato come “il filosofo preferito dagli studiosi dell’intelligenza artificiale” per le sue analisi sull’analogia tra il pensiero umano e il funzionamento della robotica. Quando lo intervisto, partiamo dallo scalpore che ha suscitato la sua profezia sul Grande Blackout. Questo pericolo è sempre apparso remoto, per via della struttura stessa di Internet: agli antipodi di un sistema centralizzato, la Rete è stata concepita fin dalle origini per essere policentrica, federata, non gerarchica, diffusa, flessibile, perciò stesso non esposta ad un collasso generale. «Verissimo – mi dice Dennett – e infatti tutti sono ammirati dalla robustezza, anzi dalla resilienza di Internet. E tuttavia il monito che ho lanciato non è un’idea mia, l’ho raccolta consultando molti esperti di tecnologia. Per quanto la Rete sia meravigliosamente elastica e resistente, non possiamo dimenticare che fu concepita alle origini per qualche milione di utenti al massimo, ora siamo miliardi. È un sistema che si sta avvicinando al livello di guardia, nel senso che sta raggiungendo quel limite oltre il quale potrebbe sfuggire al controllo umano. Alcuni esperti calcolano che un Grande Blackout abbia probabilità remote, ma non nulle. Potrebbe accadere fra moltissimo tempo, o la settimana prossima ». Evento improbabile ma non impossibile, un po’ come il Big One nella versione estrema (con mezza California che sprofonda nel Pacifico). Ieri, intanto, si è registrato il down di Instagram, il social network di condivisione di fotografie, rimasto fermo per ore. Quello che preoccupa Dennett è la totale mancanza di preparativi. O perfino di immaginazione. «La gente non si rende conto che oggi tutto dipende dalla Rete, nessuna funzione vitale può continuare se si blocca Internet. Qui negli Stati Uniti si spegnerebbero tv e cellulari, si fermerebbero bancomat, supermercati, distributori di benzina. Ecco perché il maggiore pericolo sarebbe il panico, il folle panico delle prime 48 ore, quando la gente non sa che fare, non ha notizie, non ha istruzioni, non ha mai fatto un’esercitazione per prepararsi. Occorre un piano B per resistere le prime 48 ore, in attesa che si riattivi qualche funzione essenziale della società. Altrimenti si rischia la disperazione di massa, e dunque la disintegrazione di una civiltà». Il piano B, come “battello di salvataggio”. Dennett usa proprio quest’immagine, il vecchio canotto di salvataggio in dotazione obbligatoria sulle navi e i traghetti, con torce elettriche, acqua potabile e altri strumenti di soccorso. Ma il suo canotto di salvataggio dovrebbe includere «una seconda Rete, un Internet isolato e autonomo, pronto a mettersi in funzione, riservato esclusivamente agli scopi vitali, alle comunicazioni di emergenza ». Quando ci fu l’attacco dell’11 settembre, c’erano ancora delle tecnologie pre-digitali che ora stanno scomparendo. Molti telefonini a Manhattan si ammutolirono, ma le tv funzionavano, la radio pure. Oggi è tutto talmente interconnesso che il Grande Blackout sarebbe davvero totale.
Proprio perché è uno dei massimi pensatori della razionalità, Dannett mi spiega di aver lanciato il suo appello «anche per dare un’alternativa ai Survivalist, quei movimenti apocalittico-religiosi che hanno una presa sull’opinione pubblica americana, ispirano filoni di cinema e tv, s’impadronirebbero del Grande Blackout digitale per immaginare un mondo post-civilizzato, uno scenario da Independence Day». Curiosamente, mentre nella Silicon Valley è obbligatorio fare esercitazioni regolari per le evacuazioni in caso di terremoto (la zona è sismica), non esiste nulla di simile per un cataclisma digitale. Presunzione? O avarizia? «Certo i costi del piano B sono elevati – riconosce Dennett – ma bisogna prendere sul serio questo pericolo, il buio elettronico non è abitabile per gli occidentali del 2014, abituati ad avere un intero universo d’informazione alla portata dei polpastrelli sul display dello smartphone. In uno scenario di caos generale, molti di noi hanno perso da tempo quei nuclei locali di sostegno che un tempo si chiamavano la parrocchia, il club, le associazioni di quartiere. Una parte delle spese per attrezzarci collettivamente dovrebbero sostenerle le banche, che sono tra le più vulnerabili». E la Casa Bianca, dopo gli avvertimenti dei cyber-attacchi contro i suoi siti? È possibile che Washington non abbia pensato di prepararsi all’ipotesi finale, la più estrema? «Ci pensano, c’è dell’interesse – risponde – ma c’è anche una reticenza, un gioco di veti. La destra repubblicana non vuole che sia un’amministrazione democratica ad aprire un cantiere di sicurezza di queste dimensioni, che potrebbe sfociare in nuovi poteri per il governo federale ». Di certo lui trova paradossale che «Internet ci abbia reso così dipendenti, al punto da poterci ricacciare verso l’età della pietra ». © RIPRODUZIONE RISERVATA



I fabbri della mente
Pensare è difficile, ma ci sono molti utensili forgiati dai filosofi che ci possono aiutare. Dennett ha stilato l'elenco dei migliori di Daniel Dennett il Sole24ore domenica 27.04.14

Pensare è difficile. Pensare a certi problemi è così difficile che il solo pensiero di pensare a quei problemi può far venire mal di testa. Il mio collega neuropsicologo Marcel Kinsbourne suggerisce che quando pensare ci sembra difficile è sempre perché il percorso accidentato per arrivare alla verità è in competizione con altre vie più facili e allettanti, che poi risultano essere vicoli ciechi. È questione di resistere alle tentazioni e la fatica del pensare è dovuta per lo più a questo. Subiamo continui agguati e dobbiamo armarci di coraggio per realizzare il compito. Puah!
C'è un famoso aneddoto su John von Neumann, il matematico e fisico che trasformò l'idea di Alan Turing (ciò che oggi chiamiamo macchina di Turing) in un vero e proprio computer elettronico (ciò che oggi chiamiamo macchina di von Neumann, come per esempio un portatile o uno smartphone). John von Neumann era un virtuoso del pensiero, leggendario per la sua capacità di eseguire a mente calcoli incredibili con velocità fulminea. Secondo l'aneddoto, che come tutte le storie famose ha diverse versioni, un collega un giorno gli propose un problema che si poteva risolvere sia con una serie di calcoli complicati e impegnativi sia grazie a una soluzione elegante e istantanea, di quelle che vengono in mente in un lampo.
Certe persone, come von Neumann, sono naturalmente tanto geniali da poter superare facilmente le situazioni più complicate, e altre procedono lentamente e faticosamente, ma hanno la fortuna di possedere una «forza di volontà» straordinaria che le aiuta a tenere duro nella loro ostinata ricerca della verità. In mezzo ci siamo tutti noi che non siamo calcolatori prodigio e siamo un po' pigri, ma comunque aspiriamo a comprendere tutto ciò che incontriamo. Che cosa possiamo fare? Possiamo usare strumenti per pensare, ne esistono decine e decine. Questi comodi apparati protesici per potenziare l'immaginazione e mantenere l'attenzione ci permettono di riflettere in maniera corretta e anche elegante su problemi veramente difficili. Questo libro è una collezione dei miei strumenti preferiti. È mia intenzione non solo descriverli, ma anche usarli per farvi viaggiare mentalmente senza scossoni attraverso un territorio disagevole fino a raggiungere una visione davvero radicale del significato, della mente e del libero arbitrio. Inizieremo con alcuni strumenti semplici e generali, che si possono applicare ad argomenti di ogni genere. Certi sono ben noti, ma altri non hanno mai destato molta attenzione e non sono stati discussi più di tanto. Poi vi presenterò alcuni strumenti che hanno proprio una funzione particolare, essendo stati ideati per demolire una specifica idea seducente, permettendo di abbandonare un'abitudine inveterata che ancora intrappola e confonde gli esperti. Incontreremo e demoliremo anche una gran varietà di cattivi strumenti, strampalati dispositivi di persuasione che possono essere fuorvianti se non si presta attenzione. Indipendentemente dal fatto che arriviate comodamente alla destinazione che propongo – e che decidiate di restarvi insieme a me – il viaggio vi farà acquisire nuovi modi di pensare agli argomenti e di pensare al pensare.
Come tutti gli artigiani, un fabbro ha bisogno di attrezzi, ma – secondo una vecchia osservazione (per la verità ormai quasi del tutto dimenticata) – i fabbri sono gli unici che costruiscono i propri strumenti. Non sono i falegnami a fabbricare i martelli e le seghe, non sono i sarti a fabbricare le forbici e gli aghi, non sono gli idraulici a fabbricare le chiavi e le pinze, ma i fabbri sanno forgiare martelli, tenaglie, incudini e scalpelli dalla materia prima, il ferro. E gli strumenti per pensare? Chi li costruisce? E di che cosa sono fatti? I filosofi sono stati gli artefici di alcuni tra i migliori strumenti – fatti di null'altro che idee, strutture informative utili. Cartesio ci ha dato le coordinate cartesiane, gli assi x e y senza i quali il calcolo infinitesimale – uno strumento del pensiero par excellence inventato simultaneamente da Isaac Newton e dal filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz – sarebbe quasi impensabile. Blaise Pascal ci ha dato la teoria delle probabilità, che permette di calcolare facilmente i quozienti di scommessa. Il reverendo Thomas Bayes, anch'egli matematico di talento, ci ha lasciato il teorema di Bayes, il pilastro del pensiero statistico detto appunto bayesiano. Gli strumenti che compaiono in questo libro, tuttavia, per la maggior parte sono più semplici, non sono le macchine precise e sistematiche della matematica e della scienza, ma gli utensili a mano della mente.
Un curioso effetto collaterale della mia politica di cercare di scrivere argomenti e spiegazioni che possano essere facilmente compresi da persone estranee ai dipartimenti di filosofia è che alcuni filosofi non prendono sul serio i miei argomenti per una questione di «principio»! Durante una delle John Locke Lectures che tenni a Oxford di fronte a un pubblico in piedi, molti anni or sono, un eminente filosofo fu sentito borbottare, uscendo dalla sala: «Che mi venga un colpo se imparo qualcosa da qualcuno capace di attirare non filosofi alle John Locke Lectures!». Fedele alla parola data, non ha mai imparato nulla da me, per quanto ne so. Da parte mia, non ho mai modificato il mio stile e non mi sono mai pentito di pagarne il prezzo. Nella filosofia vi sono momenti e sedi che richiedono argomenti rigorosi, con tutte le premesse numerate e le regole di inferenza indicate, ma è raro che sia necessario sfoggiarle in pubblico. Ai nostri dottorandi chiediamo di dimostrare di esserne capaci nelle dissertazioni e alcuni mantengono questa abitudine tutta la vita, purtroppo.
A essere onesti va detto che neanche il peccato opposto della roboante retorica europea, infarcita di abbellimenti letterari e dichiarazioni di profondità, favorisce la filosofia. Se dovessi scegliere, preferirei in ogni occasione il cavillatore analitico e spietato all'erudito dalla prosa fiorita: quanto meno, di solito, si riesce a capire di che cosa parla e che cosa giudicherebbe sbagliato. È nel terreno di mezzo, grosso modo a metà strada tra la poesia e la matematica, che i filosofi, secondo me, possono offrire il contributo migliore.
 

Nessun commento: