domenica 15 giugno 2014

L'autobiografia di Hans Küng

Una battaglia lunga una vita
Hans Küng: Una battaglia lunga una vita. Idee, passioni, speranze. Il mio racconto del secolo, Rizzoli, pagg. 1176, € 28,00

Risvolto

Per la prima volta Küng ci parla degli anni della giovinezza in Svizzera, della decisione di diventare sacerdote, degli studi nel prestigioso Pontificio Collegio Germanico a Roma, dei retroscena del Concilio Vaticano II, cui partecipa dall’interno per volere di papa Giovanni XXIII; della sua amicizia con Ratzinger, che diventerà in seguito uno dei più implacabili accusatori della sua teologia critica; fino al carteggio con papa Francesco sulla riforma della Chiesa. Il percorso e le battaglie del più grande intellettuale della Chiesa, all’insegna di una religiosità critica che rifiuta il rigido dogmatismo della Chiesa per abbracciare un sentimento di fede più razionale e consapevole, e perciò più umano.



Joseph, io e le sacre scritture 
Nella densissima autobiografia del teologo del dissenso (di cui anticipiamo un brano in esclusiva), l’episodio del congedo, nel 1969, del futuro papa dall’Università di Tubinga

15 giu 2014  Il Sole 24 Ore Di Hans Küng 


Joseph Ratzinger mi ha testimoniato ancora, nelle sue memorie pubblicate in Germania nel 1998, «la simpatica apertura e la schiettezza» e «un buon rapporto personale» nel nostro periodo tubinghese: «Devo dire che in quel momento mi sentivo più vicino al suo lavoro che a quello di J. B. Metz, che proprio su mio consiglio era stato chiamato alla cattedra di Teologia fondamentale di Münster». Il congedo di Joseph Ratzinger da Tubinga, per me, resta comunque legato a un mistero. Il 26 ottobre 1969, ormai già professore a Ratisbona, offre una bella cena di commiato alla sua vecchia facoltà all’hotel Krone di Tubinga. AFP 

La serata, nel corso della quale ringrazia anche me di persona per la proficua collaborazione, trascorre nella migliore delle atmosfere. Solo molti anni dopo leggo un resoconto del filosofo e traduttore cattolico ceco Karel Floss (senatore dopo la svolta del 1989). Floss si è sempre molto interessato alla teologia e alla Chiesa e io l’ho sempre apprezzato. È rimasto in contatto con me e altri teologi occidentali anche al tempo del regime comunista, e io gli ho inviato molti libri. A fine luglio o inizio agosto 1969, Floss fa visita a Joseph Ratzinger a Tubinga, il quale lo accoglie con cordialità, ma lo affida ben presto al suo assistente Martin Trimpe, che trascorre con lui la serata. Poco dopo mezzanotte, su un belvedere sulla Tubinga notturna, secondo il racconto di Floss ha luogo una conversazione enigmatica nella quale Trimpe gli comunica che la cooperazione tra Ratzinger e Küng era finita. Dovevano separarsi per motivi salutari a entrambi. 

Visto che non si poteva continuare a lavorare con un uomo come Küng, Ratzinger e i suoi collaboratori non dovevano inselvatichirsi del tutto. Küng si faceva sempre più notare come abile giornalista di cui di lì a venti o trent’anni nessuno avrebbe saputo più nulla. Floss chiede a Trimpe dove vuole arrivare e questi risponde che Ratzinger sarebbe andato a Regensburg, dove il vescovo Graber intendeva fornirgli tutto il necessario per continuare a lavorare in totale tranquillità. Per Floss è il secondo shock della serata, poiché sapeva che presso Graber avevano cercato asilo tutte quelle forze conservatrici che anche in Cecoslovacchia erano intimorite dalle conseguenze del Concilio e che si opponevano in particolare alla rinuncia al tomismo rigoroso. Fin qui il resoconto di Karel Floss, che di recente mi ha completamente confermato in una lettera: «Ogni parola di quella notte tubinghese è profondamente impressa nella mia anima» (31 maggio 2006). Ora, io sono certo l’ultimo che metterebbe sul bilancino le asserzioni di mezzanotte di un assistente sul suo professore. E non ho mai preso sul serio l’accusa di «giornalismo», che peraltro viene perlopiù da colleghi a cui piacerebbe scrivere meglio ed essere più letti, ma manca o l’ingegno o la capacità stilistica. Ratzinger aveva curato insieme a me l’edizione del mio voluminoso libro La Chiesa, pubblicato due anni prima nella nostra collana «Ricerche ecumeniche» (edizioni Herder) e in genere salutato come un onesto lavoro scientifico. Quale debba essere il mio influsso «inselvatichente» sui più stretti collaboratori di Ratzinger non lo so e non è mai stato oggetto della mia curiosità. E per quanto riguarda infine l’impossibilità di un’ulteriore cooperazione tra Ratzinger e me, l’assistente può aver esagerato o registrato appieno la persona del suo maestro. L’unica certezza è che Ratzinger se n’è andato da Tubinga, dove scientificamente si è senza dubbio in prima linea, per ritirarsi nella (teologicamente) obbediente Ratisbona e nella provincia del vescovo tedesco più reazionario, rappresentante del marianesimo e del curialismo. Ma sono venuto a conoscenza di questa conversazione solo anni dopo. 

E ci si deve già porre la domanda che pone un altro testimone dell’epoca, quel Hermann Häring che sarà presto promosso dottore in teologia, e diventerà mio assistente nel nostro Istituto per la ricerca ecumenica, e che nel 1980 diventerà professore di teologia dogmatica all’Università di Nimega come successore di Edward Schillebeeckx. Attraverso argute pubblicazioni si è rivelato il miglior conoscitore e interprete critico della teologia di Ratzinger. 


Häring crede che io mi sia enormemente sbagliato sul suo conto. Non solo Ratzinger non avrebbe preso coscienza del fatto che riguardo alle rivolte studentesche stavo fondamentalmente dalla sua parte. Si sarebbe anche chiaramente già differenziato da me soprattutto nell’interpretazione del Vaticano II. Invero, nel 1968 ha sottoscritto la «Dichiarazione per la libertà della teologia», essenzialmente elaborata da me, alla quale si sono infine associati 1.322 teologi e teologhe in tutto il mondo. Lo stesso ha fatto, nel 1969, con una dichiarazione tubinghese per l’elezione dei vescovi e la limitazione del loro ministero, elaborata non da me bensì dal canonista Neumann e da altri colleghi. Appena lasciata Tubinga, tuttavia, Ratzinger ritira la firma da questa seconda dichiarazione. L’aveva apposta, pare, sotto la pressione dei colleghi. Si vedeva già vescovo? Certo non poteva presagire che a un’età in cui tutti gli altri vescovi della Chiesa cattolica devono aver rassegnato le proprie dimissioni sarebbe stato eletto vescovo di Roma, l’unico (finora) non vincolato a limiti d’età. A ogni modo, di una cosa ero consapevole sin dall’inizio del nostro comune periodo a Tubinga: lui ha la cattedra di Teologia dogmatica e storia dei dogmi, io quella di Teologia dogmatica ed ecumenica. Ci occupiamo entrambi di teologia dogmatica ma muoviamo da uno sfondo diverso: Ratzinger dal Medioevo latino (Agostino-Bonaventura), io dal Medioevo (Tommaso d’Aquino), ma altrettanto dalla Riforma (Lutero), dall’epoca moderna (Hegel) e dall’epoca postmoderna (Barth). La mia speranza era che noi non solo ci completassimo, ma imparassimo anche l’uno dall’altro; che, come io ero interessato alla teologia dei Padri della Chiesa e del Medioevo, anche lui lo fosse alla teologia dei Riformatori e all’odierna esegesi storico-critica. In fondo dovevamo e volevamo entrambi avvicinare il messaggio cristiano agli uomini d’oggi, che pure secondo lui non vivono più spiritualmente e religiosamente nel Medioevo. Sono infatti convinto (e ricordo la citata conversazione con un’ebrea svizzera a Gerusalemme) che si possa sviluppare la cristologia non solo «dall’alto», dall’incarnazione del Figlio di Dio, ma anche «dal basso», dall’uomo Gesù di Nazaret. Così l’hanno colto i suoi discepoli e così lo possiamo comprendere noi oggi, per poi andare più a fondo e domandarci: «Chi è dunque costui?». 


Sì, sono stato felice quando Joseph Ratzinger, nel 1968 o nel 1969, durante una lunga conversazione nella mia auto, ha concordato sulla possibilità in linea di massima di una cristologia «dal basso». Proprio qui, tuttavia, suppone Häring, mi sarei sbagliato. Presumibilmente Ratzinger ha pensato che l’esperimento dimostrasse già il fallimento del concetto di una cristologia «dal basso» di questo concetto. Infatti mi spavento quando vedo davanti a me il suo libro Introduzione al cristianesimo: è il corso che aveva tenuto nel semestre estivo del 1967, nel gremito e attento auditorium maximum. Come allora, non solo vede alcuni articoli di fede in una cornice veteroecclesiastico-medievale, ma non accetta neanche la ricerca contemporanea su Gesù, anzi ne fa la caricatura fino a renderla irriconoscibile, e perciò fa un torto profondo a esegeti del calibro di Bultmann o Käsemann, pur senza nominarli. Lui, che è capace di pensiero preciso e rigoroso, scrive qui in una maniera indistinta, che rivela un profondo condizionamento emotivo. Io stesso avevo dovuto rappresentare già nel mio libro La Chiesa, contro il mio progetto originario, l’annuncio del Regno di Dio attraverso il Gesù storico, e ho ridisegnato tale annuncio da una parte a partire da Bultmann e dall’altra dall’esegeta cattolico (veramente ortodosso) Rudolf Schnackenburg, rilevando una congruenza essenziale tra i due. Come può Ratzinger, mi sono chiesto già allora, incaponirsi così in controsensi e illazioni nell’interpretazione del Nuovo Testamento? A posteriori ciò mi è più chiaro: il nostro rapporto con la Bibbia era molto diverso.

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