sabato 7 giugno 2014

Ripubblicati i capitoli sul matriarcato del Ramo d'oro di Frazer

Matriarcato e dee-madri
James George Frazer: Matriarcato e dee-madri. Miti e figure femminili delle origini, a cura di Maria Piera Candotti, Mimesis, pp. 98, e 5.90

Risvolto
Grande antropologo e storico delle religioni, James Frazer ha dato alla magia la giusta collocazione nel sistema del sapere umano. Questo libro rigoroso ma di godibilissima lettura è tutto dedicato alla cultura delle società matriarcali. L’impero delle donne è un momento di passaggio. Dal regno del dono e della condivisione libera di risorse e piaceri, si passa alla legge, al sistema di divieti e punizioni del patriarcato moderno.



La verità sul matriarcato, raccontata da Frazer
di Armando Torno Corriere 6.6.14

Un’opera imponente come Il ramo d’oro (The golden bough) di James George Frazer, che giunse alla terza edizione del 1907-15 a dodici volumi (c’è anche un supplemento uscito nel 1937), non è mai stata tradotta integralmente in italiano. Da noi c’è il lavoro dello scrittore e poeta Lauro de Bosis (morto a trent’anni nel 1931) che diede la versione del compendio realizzato dall’autore stesso nel 1922: uscì per la prima volta in tre volumetti presso Stock di Roma nel 1925. La medesima venne ristampata da Einaudi nel 1950 in due volumi nella compianta «Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici». In tal caso fu aggiunta una prefazione di Giuseppe Cocchiara. E quando i titoli di questa magnifica raccolta passarono a Boringhieri, l’opera fu riproposta identica in tre volumi nel 1965 nella «Universale scientifica» del nuovo editore torinese. Da allora si ristampa periodicamente. Newton Compton ne pubblicò una versione «integrale» a cura di Nicoletta Rosati Bizzotto (introduzione di Alfonso Maria Di Nola) nel 1992: anche questa, però, è stata condotta sul compendio ricordato. 
Non farà dunque meraviglia che ci siano iniziative editoriali sulle parti non note in italiano de Il ramo d’oro . Esce ora, a cura di Maria Piera Candotti, la riproposta di Matriarcato e dee-madri (Mimesis, pp. 98, e 5.90). Il libro contiene i capitoli dedicati da Frazer a tale argomento, contenuti nel secondo volume di «Adonis, Attis, Osiris», quarta parte della (vera) edizione integrale, condotta sul testo pubblicato da Macmillan and Co (London 1951) alle pagine 202-218, quindi l’appendice sugli usi degli abitanti delle isole Pellew che è in calce al medesimo volume (pp. 253-268), nonché alcuni ampliamenti (quelli usciti nel 1937) sotto il titolo Aftermath. A supplement to the Golden Buogh (nell’edizione inglese citata sono alle pagine 365-75 e 373). 
Il libro di Mimesis ebbe una prima edizione nel 1995 ma, data l’aria che tira nell’editoria italiana, si può considerare una novità. I temi del matriarcato, da Bachofen in poi, non danno tregua all’antropologia e alla cultura in genere. Vale la pena, per i loro riflessi religiosi, conoscerli su testi seri. Frazer, tra l’altro, indagando il fenomeno nell’Oriente antico nota: «Il matriarcato, la divinità di re e regine, il senso di un legame primigenio delle divinità con la natura: tutte cose che sono sopravvissute alle conquiste persiane, macedoni e romane per perire solamente sotto l’azione di un solvente molto più potente: il Cristianesimo».




L’eredità delle sacerdotesse
Antropologia. «Matriarcato e dee-madri» di James G. Frazer, il volumetto dello studioso che indaga l'autorità femminile in una seconda edizione di MimesisAlessandra Pigliaru, 15.8.2014 il Manifesto


Ormai fuori com­mer­cio da qual­che anno, Matriar­cato e dee-madri (pp. 94, euuro 5,90) è stato pub­bli­cato per la prima volta in Ita­lia nel 1995. Dob­biamo a Mime­sis anche que­sta seconda edi­zione del volu­metto di James G. Fra­zer. Il testo, agile e inte­res­sante, cor­ri­sponde alla tra­du­zione di alcuni capi­toli tratti dal secondo volume di Fra­zer, Ado­nis, Attis, Osi­ris, quarta parte dell’edizione inte­grale della sua opera in ven­ti­due volumi, Gol­den Bough (Mac­mil­lan and Co., Lon­don 1951). Da quest’ultimo sono tratti anche i sup­ple­menti che vanno a creare l’appendice del libro.
I capi­toli cen­trali atten­gono all’influenza del matriar­cato sulla reli­gione. Fra­zer ne indi­vi­dua un ottimo esem­pio nei Khasi, popo­la­zione del Megha­laya orien­tale in India. La loro orga­niz­za­zione sociale con­sta di clan eso­ga­mici matri­li­neari. La madre è il solo ele­mento uni­fi­cante, pro­prie­ta­ria dei beni mate­riali e solo attra­verso di lei si tra­smette l’eredità. La supe­rio­rità delle ante­nate sugli ante­nati pri­meg­gia nei culti; sono solo la madre e il fra­tello di lei ad essere per­so­naggi rile­vanti. Così pure sono fem­mi­nili le divi­nità alle quali ci si rivolge per la pro­te­zione della casa. Le sacer­do­tesse sono pre­senti a tutti i sacri­fici e gli altri offi­cianti, anche maschi, sono dei dele­gati. Anche nelle isti­tu­zioni degli abi­tanti le isole Pelew l’eredità è in linea materna; in que­sto gruppo etnico micro­ne­siano, si assi­sterà ad una discen­denza fem­mi­nile appunto per­ché ogni clan o fami­glia rico­no­sce una donna come loro «fon­da­trice». Altret­tanto dun­que ado­re­ranno una dea e non un dio, come ema­na­zione di auto­rità fem­mi­nile. La sus­si­stenza dello stesso clan dipen­derà dalla soprav­vi­venza delle donne; quelle più anziane sono poli­ti­ca­mente e social­mente coin­volte negli affari e non man­cano di essere con­sul­tate per le deci­sioni impor­tanti. Nelle isole Pelew dun­que, così come tra i Khasi e gli anti­chi egizi, non c’è un pas­sag­gio intero dal matriar­cato al moderno patriar­cato.
Secondo Fra­zer comun­que, que­sti casi sono delle rarità e con cer­tezza — secondo lui — la pre­va­lenza fem­mi­nile di que­sti esempi non infi­cia «la vali­dità della regola gene­rale per la quale la società umana è stata in pas­sato e – poi­ché non muta l’umana natura – sarà con ogni vero­si­mi­glianza anche in futuro gover­nata soprat­tutto dalla forza maschile e dall’intelligenza maschile». A cagione di que­sto punto Fra­zer sostiene che anche tra i Khasi, nono­stante la pro­prietà fon­dia­ria e la tra­smis­sione in mano alle donne, il potere poli­tico e di governo è in mano agli uomini. Con una sola ecce­zione infatti, le tribù dei Khasi sono gover­nate da re e non da regine. Anche la Grande sacer­do­tessa delega il potere al figlio e al nipote o ad un parente maschio più lon­tano.
Dun­que se il potere viene ere­di­tato per diritto di madre, il re Khasi come gli abi­tanti delle isole Pelew lo eser­ci­tano auto­no­ma­mente. Lapi­da­rio, Fra­zer con­clude che «la teo­ria di una gine­co­cra­zia è dav­vero un sogno di visio­nari e pedanti. E non meno fan­ta­stica è l’idea che la pre­do­mi­nanza delle dee, in un sistema di matriar­cato come quello dei Khasi, sia una crea­zione della mente fem­mi­nile». Ciò per­ché secondo Sir Fra­zer, fine stu­dioso ma poco avvezzo alla let­tura di qual­cosa di così potente come il prin­ci­pio materno, i grandi ideali reli­giosi che hanno segnato la sto­ria sono sem­pre stati pro­dotti dall’immaginario maschile. Dun­que, nono­stante negli esempi ripor­tati le dee siano pre­pon­de­ranti, ciò non signi­fica che sia a causa di una «fan­ta­siosa» pre­mi­nenza imma­gi­na­tiva fem­mi­nile. Il matriar­cato inda­gato da Fra­zer è un momento di pas­sag­gio dal regno del dono, della con­di­vi­sione, alla legge dove le restri­zioni e i divieti pre­cor­rono il moderno sistema patriar­cale. È infine una tappa nella rego­la­men­ta­zione dei rap­porti di paren­tela.
Come nota Piera Can­dotti nella pre­fa­zione, «il punto più debole e con­te­stato dell’immenso lavoro fra­ze­riano è l’impalcatura teo­rica desti­nata a sor­reg­gerlo. È stata spesso impu­tata – e non a torto – a Fra­zer scarsa atten­zione ai pro­blemi meto­do­lo­gici e assun­zione acri­tica dei prin­cipi dell’antropologia posi­ti­vi­sta». La for­tuna riscon­trata dalla sua opera prin­ci­pale, Il ramo d’oro, pub­bli­cata in Ita­lia sotto forma di com­pen­dio, porta con sé luci e ombre. Da Mar­cel Mauss a Lévi-Strauss fino ad arri­vare alle pun­ti­gliose sot­to­li­nea­ture di Witt­gen­stein, il metodo di Fra­zer può essere inteso come «let­te­ra­rio»? Dun­que capace, secondo Can­dotti, di «ren­dere par­lanti e signi­fi­ca­tivi i fatti e le cose»?
Di fatto, in que­sti ultimi anni gli appro­fon­di­menti sul matriar­cato illu­mi­nano per esem­pio le defi­ni­tive sco­perte sulle divi­nità fem­mi­nili della archeo­lo­gia e lin­gui­sta Marija Gim­bu­tas, facendo rife­ri­mento ai tre volumi The God­des­ses and Gods of Old Europe (1974), The Lan­guage of the God­dess (1989) e The Civi­li­za­tion of the God­dess (1991). A parte i primi studi di Johann Jakob Bacho­fen e di Lewis Henry Mor­gan, baste­rebbe leg­gere i recenti volumi di Heide Göttner-Abendroth per com­pren­dere come gli studi matriar­cali pos­sano essere con­dotti su basi scien­ti­fi­che e inter­di­sci­pli­nari. Come spiega la filo­sofa tede­sca, Matriar­ché è ori­gine e non domi­nio delle madri.
Que­sto prin­ci­pio nella sua chia­rezza – che dà anche il titolo a un bel libro col­let­ta­neo curato da Fran­ce­sca Colom­bini e Monica di Ber­nardo (Exorma edi­zioni, 2013) – non è un mero momento di pas­sag­gio ma una forma di società che può inter­ro­garci ancora. Non solo per­ché esi­stono ancora comu­nità fon­date sul prin­ci­pio del matriar­cato – per esem­pio i Moso che vivono al con­fine con il Tibet, nelle pro­vince cinesi dello Yun­nan e del Sichuan — ma per­ché il matriar­ché pre­vede forme di eco­no­mia del dono, della con­du­zione paci­fica della con­vi­venza in nome delle dif­fe­renze con­tra­rie alla pre­va­ri­ca­zione. Sia nei con­fronti dell’altro, sia nei con­fronti della terra in cui si vive. Chissà cosa avrebbe pen­sato Sir James Fra­zer di que­sti esiti imprevisti.

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