mercoledì 24 settembre 2014

Speranza liquida

Zygmunt Bauman Conversazioni su Dio e sull'uomoZygmunt Bauman, Stanislaw Obirek: Conversazioni su Dio e sull’uomo, Laterza 
 
Quella via laica alla speranza che ci rende tutti immortaliOltre le antitesi tra Dio e nulla, materialismo e trascendenza, Zygmunt Bauman propone una diversa idea di spiritualità. Fondata sul più umano dei sentimentiZYGMUNT BAUMAN Repubblica 24 settembre 2014
NON so (né saprò mai) a quale dei nostri antenati venne in testa per primo la domanda: «Perché c’è qualcosa invece di niente?». E una volta che quella domanda venne posta, niente poté più far sì che a essa non si cercasse una risposta. E noi la cerchiamo — noi, i rappresentanti del genere degli inguaribili curiosi. Da quante migliaia di anni, non ne ho idea. Sospetto però che i nostri discendenti non sprecheranno meno tempo dei loro antenati a cercare la risposta. Già, perché, per quanto scrupolosamente possiamo misurare il volume del cosmo, per quante dimensioni attribuiamo al cosmo e per quante particelle più piccole — quark e leptoni, o come ancora si chiameranno — , aggiungiamo agli atomi e alla “materia oscura” che si trova tra di essi, cercando di colmare le lacune nella comprensione, continueremo a spaccarci la testa contro gli stessi due limiti che non siamo capaci di superare con l’immaginazione umana.
Quei limiti sono il “nulla” e l’”infinito”. La “cosmogonia”, stimata branca della cultura, copiosamente dotata di fondi, aggiungerà dettagli (e perché mai non dovrebbe farlo?) alla storia delle prime frazioni di secondo dopo il Big Bang, ma non cesserà mai di dibattersi fra il paradosso della nascita di qualcosa dal nulla e l’idea della durata eterna che il nostro intelletto, formato per essere al servizio di una vita finita, non è capace di abbracciare e che viene negata da tutti gli esperimenti progettati dall’intelletto stesso. Qui si è annidato e sistemato per bene l’elemento intellettuale della non-autosufficienza del genere umano.
Il Dio-Creatore è l’ipotesi più attraente per uscire da quel vicolo cieco intellettuale, perché inscriviamo l’inconcepibilità delle sue intenzioni e della sua potenza nello stesso suo concetto — non già risolvendo in questo modo il «paradosso del qualcosa dal niente» e neanche comprendendo con la mente l’incomprensibile infinitezza del tempo o dello spazio, ma procurandoci la soddisfazione e la serenità d’animo che ci derivano dal capire perché queste due cose non riusciamo a farle! L’ipotesi contraria — che qualcosa è sorto da solo dal niente senza l’intervento di una forza soprannaturale, e quindi per definizione inconcepibile — non viene, è vero, a compromessi e non impone all’intelletto umano uno sforzo e un’azione sovrumani, ma gli pone un compito che quell’intelletto non è capace di eseguire.
Tutto questo si svolge tuttavia in un’altra sfera rispetto all’umano essere- nel-mondo o, detto in parole povere, alla sfera della realtà di ogni giorno. Tornando però a quest’ultima, da bravo sociologo dichiaro che non siamo compagni di viaggio né di Pangloss, né di Dawkins; se mi metterai alle strette, ripeterò con Candido: il faut cultiver notre jardin... E lo farò senza vergogna, e ancor più ormai senza scrupoli morali. Perché, ripeto: l’io morale non trae origine né da ordini dall’alto né da presuntuosità scientiste, ma proprio dal fatto che tutti si devono ineluttabilmente rimettere agli altri e alla reciproca solidarietà. E ancora aggiungerei alla risposta le parole di Lem: «Dio mi guardi dal privare chicchessia della sua fede!». Solo che lo farei senza un filo di orrore... Perché lo farei con la speranza di un umano auto-ravvedimento. A proposito di speranza, appunto... Se non ce l’avessi, certamente non scriverei libri e non concederei interviste. A che pro consumare lingua o penna se non si ha la speranza di essere ascoltato e che questo ascolto possa, sebbene non necessariamente, «fare la differenza» — per quanto minima (Roma non fu costruita in un giorno...)? Ciò che è stato fatto dagli uomini, può essere disfatto dagli uomini; non credo che siamo arrivati a un punto di non ritorno: perché diventi tale, bisognerebbe prima credere che tale sia — una volta per sempre, irrevocabilmente...
Finché cova la speranza, foss’anche sotto una montagna di cenere, non lo diventerà. Vorrei svolgere la funzione che a suo tempo attribuivo a Marek Hlasko, ossessionato dal bisogno di rimproverare gli uomini: «Guardate come vi divertite male, ravvedetevi — per amor di Dio o vostro... ». Quasi tutti i segni in cielo e in terra sembra si siano accordati per non dare conforto agli afflitti e agli spaventati — ma se la speranza dell’umanità è riposta in qualcosa, è appunto nella speranza. Finché essa è viva, è troppo presto per stilare necrologi dell’umanità. E io non riesco a liberarmi della convinzione che la speranza sia immortale e che, analogamente a Dio, possa morire solo insieme all’umanità.
L’uomo ce la farà — ma entro certi limiti... Non siamo mica dèi! Però già in questi limiti l’uomo non solo ce la farà, ma deve farcela. Di questo, di essere in grado di adempiere a questo dovere, è responsabile — e ciò indipendentemente dal fatto che si prosterni davanti all’Altissimo o che neghi la sua esistenza.
Ultimamente, per esempio, abbiamo fatto sì — e continueremo come niente fosse a farlo, senza preoccuparci delle conseguenze — , che i nostri discendenti vengano al mondo indebitati fino al collo per i costi della nostra orgia consumistica... E proprio di questo voglio parlare agli uomini, e desidero che proprio a questo prestino ascolto. Nel fatto che prestino ascolto ripongo tutta la mia speranza. Perché da loro e solo da loro dipende se ciò che è in potere degli uomini venga fatto o, al contrario, venga disprezzato e dissipato. Non supereremo la nostra umana limitatezza e Dio ci scampi dal provarci; guardiamoci dal giocare all’onnipotenza, che dovrebbe essere ascritta solo a Dio.
Non siamo dèi e non tutto sta nelle nostre forze, pur sempre solo umane — ma ciò che possiamo fare basta ampiamente a riempire una vita valida e degna (valida e degna in quanto serve all’espiazione dei peccati, ossia alla riparazione dei danni arrecati al mondo, oltre che alla salvezza umana, cioè a rendere il mondo più ospitale per l’umanità). Mosso da questa speranza infilo il messaggio nella bottiglia e la affido alle onde... Nella speranza che la trovino coloro che saranno alla ricerca di un messaggio.

Bauman parla di Dio ma non sa se esiste
Il grande filosofo polacco inaugura Torino Spiritualità al Regio “Il nostro essere umani risiede proprio in questa incertezza”
La Stampa

Bauman: al dialogo serve un POLILOGO
Lorenzo Fazzini Avvenire 29 ottobre 2014

Due agnostici al “settimo cielo”Saggi. «Conversazioni su Dio» di Zygmunt Bauman e il teologo Stanislaw Obirek per Laterza. Un dialogo sulla rilevanza del sacro, che mette però in guardia dalla pretesa di affermare un’unica verità sulle «cose del mondo». Oggi presentazione del volume a Milano Riccardo Mazzeo, il Manifesto 5.2.2015
Il dia­logo imba­stito fra Zyg­munt Bau­man e il grande socio­logo polacco e un teo­logo Sta­ni­slaw Obi­rek, diven­tato come il socio­logo polacco, sca­tu­ri­sce pro­prio dal fatto che per Bau­man «l’agnosticismo non è l’antitesi della reli­gione, o addi­rittura della Chiesa. È l’antitesi del mono­tei­smo e della Chiesa chiusa» (Con­ver­sa­zioni su Dio, pp. 184, euro 15, Il volume sarà pre­sen­tato oggi nel tea­tro Parenti di Milano). Non è la prima volta che Bau­man assume un atteg­gia­mento estre­ma­mente cri­tico nei con­fronti dei mono­tei­smi. In que­sto libro però il suo pen­siero in pro­po­sito viene deli­neato con chia­rezza e in tutta la sua por­tata. Ricorda che il filo­sofo tede­sco neo­scet­tico Odo Mar­quand faceva deri­vare il ter­mine tede­sco Zwei­fel (dub­bio) dalla parola zwei (due) e san­ci­sce: «Effet­ti­va­mente, usare la parola “verità” al sin­go­lare in un mondo poli­fo­nico è un po’ come pre­ten­dere di applau­dire con una mano sola… con una mano sola si pos­sono dare pugni sul naso, ma non applau­dire. Anche con la verità unica si può pic­chiare (del resto è stata inven­tata a que­sto scopo…), ma con il suo aiuto non ci si può met­tere a inda­gare le forme della con­di­zione umana (inda­gine che per sua natura può e deve com­piersi solo nel dia­logo, ovvero con l’assunto, dichia­rato o tacito, ma sem­pre assio­ma­tico, di un’alternativa)».
In realtà la posi­zione di Bau­man non è molto distante da quella che assume Morin nel suo dia­logo con il musul­mano illu­mi­nato Tariq Rama­dan nel libro in uscita Il peri­colo delle idee: è vano pen­sare che quell’ottavo del mondo costi­tuito dall’Occidente possa con­ti­nuare a det­tare l’agenda e con­ti­nuare a vivere come se il resto dei «sel­vaggi» non esi­stes­sero o non potes­sero recla­mare diritti, e se si aspira a una con­vi­venza (pur rela­ti­va­mente) paci­fica è indi­spen­sa­bile fecon­dare la pro­pria visione del mondo con quella di chi la pensa diver­sa­mente da noi. In un mondo che cam­bia inces­san­te­mente, per Morin «senza rige­ne­ra­zione non può esservi altro che dege­ne­ra­zione», e per Bau­man vale la stra­te­gia «che con­si­dera la diver­sità non un difetto ma una virtù», e si spinge tanto lon­tano da dire che è pos­si­bile con­vi­vere – col comune van­tag­gio di un allar­ga­mento di oriz­zonti e un arric­chi­mento di espe­rienze — gra­zie a (e non mal­grado!) una mol­te­pli­cità dei modi di vivere. «Qui ognuno ha, per espri­mersi in lin­guag­gio reli­gioso, il diritto di pos­se­dere un pro­prio Dio, pur­ché il diritto degli uni non vada a detri­mento del diritto degli altri né pre­tenda di negare o togliere loro que­sto diritto».
In sostanza, per usare le moda­lità di uti­liz­za­zione del capi­tale sociale che sono state indi­cate dal poli­to­logo Robert Put­nam, gli usi «ponte» favo­ri­scono l’avanzamento sociale, men­tre gli usi «leganti» cemen­tano i gruppi ed eri­gono for­tezze da cui difen­dono i risul­tati con­se­guiti con­tro gli intrusi. In altri libri Bau­man aveva par­lato in pro­po­sito di «mixo­fi­lia» e di «mixo­fo­bia», due ten­denze umane desti­nate a per­du­rare entrambe.
Dal dia­logo emerge che Obi­rek ha seguito il con­si­glio di Bau­man di leg­gere il libro di Ulrich Beck Il Dio per­so­nale: la nascita della reli­gio­sità seco­lare e, sen­ten­dosi schiac­ciato da «una messe di let­te­ra­tura teo­lo­gica, fuori dalla quale rie­sco a scor­gere sem­pre meno dell’uomo», auspica l’aiuto che i socio­logi pos­sono offrire ai teo­logi per ritro­vare una sen­si­bi­lità spi­ri­tuale e «aprire gli occhi sul mondo di Dio». D’altronde il pro­cesso è sem­pre biu­ni­voco se si pensa che secondo Beck la società seco­lare deve diven­tare post-secolare, vale a dire: scet­tica e aperta alle voci delle reli­gioni, da con­si­de­rarsi un arric­chi­mento e non un’offesa. Un conto è infatti la lai­cità, che è al cuore stesso della demo­cra­zia, tutt’altro conto il lai­ci­smo, che pre­ten­de­rebbe di espun­gere la troppo umana ten­sione verso la tra­scen­denza, con il risul­tato attuale di sosti­tuire alla san­ti­fi­ca­zione di un Dio quella delle videate inces­santi di numeri che scor­rono sugli schermi degli addetti ai lavori e, così nudi e spie­tati, tra­smet­tono crip­ti­ca­mente le noti­zie sulla buona o sulla mala sorte di popoli e per­sone. Meri numeri che non dia­lo­gano, che col­pi­scono, lace­rano, abbattono.
Bau­man ha scelto di dia­lo­gare, come papa Fran­ce­sco, e que­sto con­tri­bui­sce a tenere desti la sua intel­li­genza, il suo acume, la sua sag­gezza, il suo «essere per», espres­sione mutuata dal les­sico del filo­sofo fran­cese Emma­nuel Lévinas.
Nella rie­di­zione di Moder­nità e olo­cau­sto Bau­man, che aveva appena perso la moglie dopo 61 anni di vita tra­scorsa insieme, ha scritto: «E poi, anche se amo iso­larmi dagli altri, dete­sto la soli­tu­dine. Dopo la dipar­tita di Janina ho toc­cato il fondo della soli­tu­dine più tetra, ho rag­giunto il luogo in cui si accu­mu­lano i sedi­menti più amari e più acri, le esa­la­zioni più nocive. Il volto di Janina sul desk­top è la prima imma­gine che vedo quando accendo il com­pu­ter, e tutto ciò che accade una volta aperto Word non è altro che un dia­logo. E il dia­logo rende impos­si­bile la solitudine».

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