venerdì 10 ottobre 2014

Determinismo neuronale o libero arbitrio: è questa la vera alternativa? Un dibattito tra Strata, Reale, Marramao

La strana coppiaPiergiorgio Strata: La strana coppiaIl rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze, Carocci, pp 161, €12

Risvolto
Un lungo viaggio per indagare la mente e le cause dell’oscurantismo che in passato si è opposto al suo studio: dal dualismo di Cartesio alla scoperta della mente inconscia, fino alle attuali conoscenze sui fondamenti biologici di fenomeni quali la socializzazione, l’amore, l’emarginazione, l’aggressività e il piacere di odiare. Un viaggio che non trascura l’emergere della coscienza e l’illusione del libero arbitrio: temi di filosofia morale e della mente rivisitati alla luce delle nuove teorie, con le immancabili ricadute sul sistema giudiziario.


Aiuto, il mio cervello decide al posto mio
Il neurofisiologo Piergiorgio Strata presenta le ultime conoscenze sui meccanismi cerebrali e conclude che il libero arbitrio è un’illusione
di Claudio Gallo La Stampa 9.10.14

L’aspetto non pare certo minaccioso, il libretto sta nella tasca posteriore dei jeans. Il titolo, giudiziosamente tecnico, è per nulla allarmante: La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze (Carocci, pp 161, €12). L’autore, Piergiorgio Strata, neurofisiologo di fama internazionale, è una garanzia di serietà. Eppure bisogna valutare bene se decidere di leggerlo oppure no. Qualcosa dal profondo suggerisce: «Non aprite quella porta». Perché se per caso lo farete e prenderete sul serio le sue documentate tesi, il mondo non sarà più come prima. Vi sveglierete in un inquietante Day After.
Apprenderete, ad esempio, come la decisione di leggerlo non l’avete presa voi, ma la vostra macchina cerebrale, qualche secondo prima che la coscienza intervenisse nel processo. Libero arbitrio addio, l’io cosciente sarebbe più un notaio che certifica i fatti quando sono già accaduti (anche se poi si attribuisce ingiustamente la scelta) che non uno stratega. La valanga è appena partita: se non c’è possibilità di scegliere sarebbe logico dire addio anche un pilastro della nostra società come il sistema giudiziario, che considera gli individui responsabili e li giudica nei tribunali.
Prendiamo Jeffrey Lionel Dahmer, il Cannibale di Milwaukee, che uccise almeno 17 persone. Portava a casa le sue vittime, tutti maschi, le drogava, le violentava, le uccideva e le violentava ancora. Poi faceva a pezzi i corpi che in parte avrebbe mangiato. Uno s’immagina che i mostri abbiano un’emotività distorta ma comunque intensa. Invece Dahmer al processo non mostrò emozioni. Prima della sentenza disse di non aver mai odiato nessuno e di non chiedere attenuanti. Sembrava sinceramente dispiaciuto. Fu ritenuto sano di mente e condannata a quasi un ergastolo per ogni vittima, quindici carceri a vita. Nel 1994 fu ucciso con una sbarra di ferro da un altro detenuto, diagnosticato schizofrenico.
Dahmer ricorda per alcuni aspetti un paziente che fece la storia della neurofisiologia: Phineas Gage. Nel 1848 Gage stava costruendo una ferrovia nel New England, quando l’esplosione anticipata di una carica per sgretolare le rocce gli sparò in faccia una sbarra di metallo. La sbarra entrò nell’orbita dell’occhio sinistro attraverso la guancia e forò la base del cranio per uscire dalla parte superiore. Non soltanto Gage non svenne ma riuscì subito a parlare e a camminare. Un paio di mesi dopo, nonostante avesse perso l’occhio sinistro, era già guarito e conteso dai medici che volevano studiarne il caso. Dopo l’incidente Gage, una persona estremamente a modo, era diventato iroso, asociale, scortese, senza freni inibitori. Attenzione, memoria, capacità di ragionamento erano rimasti inalterati. Il suo cranio, oggi esposto al museo della scuola medica di Harvard, continuò a essere tormentato fino al secolo scorso. Si scoprì che la sbarra aveva lesionato i lobi frontali, l’area in cui oggi la medicina pone i processi che controllano il comportamento. Tipico dei pazienti che presentano lesioni in quell’area, come il celebre «Elliot», studiato nel 1995, è una pronunciata asocialità e la mancanza di emozioni. Le grandi tragedie li lasciano indifferenti, parlano di se stessi come se fossero un’altra persona, un’esperienza quest’ultima curiosamente comune agli asceti e ai mistici.
Se si fosse potuto stabilire che Dahmer soffriva di un problema al lobo frontale, come Gage, che non avrebbe potuto agire diversamente, la sua sentenza sarebbe stata diversa?
Probabilmente no, anche se nel 2009 Brian Thomas, gallese che uccise la moglie in stato di sonnambulismo, fu assolto. Anche Strata, benché in sede teorica e sperimentale ne smonti le premesse, riconosce il valore sociale dei tribunali e della deterrenza della pena. Dopotutto la nostra società funzionerebbe lo stesso anche se davanti a tutto mettessimo un «come se». Io sarò giudicato «come se» fossi libero di scegliere. Ammettere il contrario sarebbe la madre di tutti gli incubi. In ogni caso, saranno questi i temi su cui i giuristi dovranno confrontarsi nel prossimo futuro.
Sul rapporto mente-cervello la scienza ci offre oggi una teoria scomoda, contro-deduttiva, che contraddice la nostra percezione. Chi è pronto ad ammettere di essere una macchina determinata dai processi fisici del cervello e dall’interazione con l’ambiente, in un mix di eventi probabilistici? L’antica concezione, riformulata da Cartesio, che noi siamo «il fantasma dentro la macchina» (copyright del filosofo britannico Gilbert Ryle) è intuitivamente ardua da scalzare. Le ricerche della neurobiologia ci dicono però che non c’è coscienza senza cervello, che la coscienza è una proprietà del cervello.
Certo, forse non bisogna neppure prendere la scienza come l’ultima delle religioni. Lo yoga, che ha cercato di andare alla radice della coscienza ponendo il cervello in uno stato neutro di quiete, racconta un’altra storia. Sotto la coscienza ci sarebbe ancora un non-stato, «né cosciente, né incosciente» che tutto contiene. Ma nel mondo misurabile, l’unico di cui siamo apparentemente capaci di parlare con un fondamento scientifico, è un’affermazione che vale quanto una favola.



La filosofia non ci sta “La libertà umana è un dato di fatto” 
Giovanni Reale e Giacomo Marramao replicano al neurofisiologo Strata che nega il libero arbitrio

Mirella Serri La Stampa 11 ottobre 2014


«Tempo fa ho letto su un giornale tedesco la notizia di un processo in cui l’avvocato difensore sosteneva la tesi che l’imputato, nato in Sardegna, non era responsabile dei suoi atti dal momento che un certo tipo di aggressività era una componente naturale del suo cervello, rintracciabile nel dna di un sardo»: il prof Giovanni Reale, tra i maggiori filosofi contemporanei, non ha dubbi. Quelle inquietanti righe che vengono dalla Germania sono per lui il segnale che è urgente mettere un punto fermo nella discussione che oggi coinvolge l’intellighentia europea e d’oltreoceano - sul rapporto tra le ultime frontiere della neurofisiologia, filosofia e sistema giuridico. 
Ieri, un articolo su La Stampa, presentando le tesi del neurofisiologo, Piergiorgio Strata, esposte ne La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze (Carocci), metteva in guardia: «Non aprite quella porta». I recenti approdi di Strata mettono in opposizione frontale le teorie scientifiche sulla mente, che deriverebbe interamente dall’attività biochimica del cervello, con una secolare riflessione filosofica in favore del libero arbitrio. Una riflessione che ha tra i suoi più accreditati interpreti proprio Reale per suoi studi, da Aristotele a Platone alla Storia del pensiero occidentale dalle origini a oggi (con Dario Antiseri, Bompiani). 
Professor Reale, è possibile? Le acquisizioni dei neuroscienziati mettono in crisi le cattedrali della filosofia e del sistema giudiziario? «Ma per carità! Chi ha detto che i risultati raggiunti dalle scienze sono verità incontrovertibili. Un esempio? Mi ricordo che ero allievo di liceo e arrivò un prof di scienze con tre libri sottobraccio. Ognuno di questi dava una definizione diversa di cosa è il calore. Dunque la verità scientifica non è un dogma o una conquista assoluta. Come per la geometria euclidea, è un altro esempio, la somma degli angoli interni di un triangolo è di 180 gradi. E’ un asserto valido per tutti i tipi di geometrie? Assolutamente no. Ricordiamoci che per Karl Popper la scienza non procede verificando in positivo idee precedenti ma falsificandole. Avanza cioè per paradigmi mutando i quali cambia tutto quello che si è detto». 
Volontà e libertà sono reperti del passato? «Dostoevskij, che è anche un grande filosofo, diceva che il bene e il male - lo dimostra ne I fratelli Karamazov - derivano solo dalla libertà. Durante una conferenza in una sala piena di 600 persone un docente di matematica intervenne e disse che la verità si raggiungeva solo con la matematica e le sue formule. ‘Ma lei quando litiga o parla con sua moglie usa formule matematiche?’, gli chiesi. Il prof se ne andò indignato e il moderatore, il giornalista Armando Torno, mi spiegò che era appena uscito da una separazione familiare molto dolorosa. L’uomo non deve essere vittima di quello che costruisce e alla scienza non deve chiedere né poco né troppo». 
Anche il filosofo Giacomo Marramao sta lavorando da tempo sul difficile equilibrio tra speculazione filosofica e nuovi orizzonti. Tanto per rimanere nella metafora: quella porta, quel passaggio aperto da Strata e da altri se lo imbocchiamo ci conduce nel determinismo scientifico? «Per me è un punto di riferimento il neuroscienziato portoghese Antonio Damasio che, fin dalla fine del secolo scorso, ha sostenuto l’interconnessione tra il mondo emotivo e la razionalità, contrastando la concezione cartesiana del dualismo mente-corpo», osserva Marramao che ha affrontato queste tematiche in Contro il potere. Filosofia e scrittura (Bompiani). «Damasio ha dimostrato come proprio le emozioni, svalutate da tutta una tradizione perché turberebbero l’equilibrio della ragione, sono alla base del buon funzionamento della mente. Nel momento in cui tu stai per prendere una decisione e temi che questa ti danneggi, compare il marcatore somatico che può essere rilevato sperimentalmente. Ma non è detto che si obbedisca necessariamente al richiamo del circuito neuronale. Spesso, a volte addirittura compiendo una scelta autolesionista, si agisce in maniera contraria all’avvertimento ricevuto. I nostri processi non hanno nulla di meccanico».
Torniamo alla liberà di azione: esiste? «C’è un’azione reciproca tra mente e corpo, in un organismo unico e indissociabile e in un processo conflittuale. Come diceva Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani’: «C’è in me il desiderio del bene ma non la capacità di attuarlo. Io infatti non compio il bene che voglio ma il male che non voglio». Non avremmo avuto le guerre mondiali né vivremmo la passione d’amore se esistesse un condizionamento totale. Al Pacino, nell’«Avvocato del diavolo», sosteneva: «Il libero arbitrio è una fregatura. Purtroppo siamo costretti alla libertà». 

Nessun commento: