venerdì 3 ottobre 2014

Esce "Comunismo Ermeneutico" di Gianni Vattimo e Santiago Zabala: ermeneutica come rivoluzione o appello all’engagement?

Di questo libro, come del confronto tra ermeneutica e nuovo realismo e più in generale delle tendenze in corso nella filosofia italiana e delle loro ricadute politiche, parlo ampiamente nella terza parte del mio libro [SGA].

Gianni Vattimo, Santiago Zabala: Comunismo ermeneutico, Garzanti

Risvolto

Nel mondo attuale, sul piano politico e filosofico, viviamo in una situazione totalmente bloccata. Il capitalismo neoliberista e, in filosofia, la metafisica stanno tenendo imbrigliato il mondo intero. Anche gli eventi più traumatici, come gli attacchi terroristici dell'11 settembre, o la crisi economica del 2008, anziché indurre a un cambio di rotta hanno rafforzato le politiche che li avevano prodotti. Secondo Gianni Vattimo e Santiago Zabala, invece, un'alternativa c'è. Si tratta, rielaborando Marx e Heidegger, del "comunismo ermeneutico", cioè di una posizione che politicamente si avvicina alle esperienze sudamericane di Hugo Chávez e Evo Morales, e filosoficamente intende superare la metafisica richiamandosi al principio della verità come interpretazione, piuttosto che come semplice descrizione della realtà.



Un appello all’engagement dai forti accenti fichtiani
da: S. G. Azzarà, Democrazia Cercasi, pp. 262-64.

"... Nonostante le provocazioni, non è il caso a mio avviso, per il Vattimo intenzionato a fare del pensiero debole un «pensiero dei deboli» al servizio del conflitto sociale, di chiamare in causa addirittura «il comunismo», se con questo termine si vuole intendere non una generica aspirazione utopistica ma un concreto insieme di riflessioni teoriche e di fenomeni storici67. Come era già ben chiaro da uno degli ultimi libri di Vattimo, Ecce Comu, e come conferma un testo scritto a quattro mani con Santiago Zabala negli Stati Uniti e pubblicato solo di recente in Italia, Hermeneutic Communism68, il “comunismo” o “cattocomunismo” di Vattimo è soprattutto una ribellione morale contro lo stato di cose esistenti, suscettibile di assumere di volta in volta i nomi più diversi: comunismo, anarchia, democrazia ma anche «autentico liberalismo» (HC 106, 119, 173). Si tratta in sostanza, dice in Della realtà, di suscitare contro le «strutture economiche e politiche della nostra società» una serie di «fiammate di rivolta»; di dar vita a una «azione politica che fonda senza essere a sua volta fondata».

Come ben sappiamo, «la ricerca della verità universale è divenuta una forma di imposizione sulle differenze e le identità individuali» (HC13). C’è un nesso tra filosofia («pensiero metafisico»), scienza moderna («struttura di cause ed effetti»), economia politica («natura metafisica dell’economia»), «imperativi capitalistici (competizione, massimizzazione del profitto e accumulazione)» e «bisogno di dominio» (HC 59-61). Le «polarità» concettuali stabilite ormai due millenni fa a partire dall’«essere come presenza» hanno condotto nelle diverse epoche storiche alla pretesa di una «fondazione della politica sulla verità» (HC 14-5). Con ciò – e questa è la novità più rilevante nelle argomentazioni di Hermeneutic Communism – esse hanno favorito un «ordine gerarchico», ribadito dal primato del neopositivismo scientista, che ha trovato infine la sua stabilità ontologica nelle «democrazie di tipo americano inquadrate in forma neoliberale [American-style neoliberally framed democracies]»69.
Questo ordine filosofico-politico, il quale incorpora il fasullo universalismo democratico dell’Occidente, è divenuto oggi «la sola forza legittima e legittimante» (HC 48 e 55-7), in grado di emanare da sé immediatamente «self-security» e «self-certainty». Esso aspira adesso a una «unificazione globale» (HC 27 e 45-51) della terra tramite l’esportazione «liberatrice» sia dei propri modelli politici che delle proprie visioni del mondo, rendendo alla fine impossibile ogni «trasformazione e cambiamento». Contro il tentativo, risultato di tutta la «tradizione razionalistica occidentale», di «sottomettere il dominio della libertà umana a un controllo politico scientifico» (HC 30-7 e 47-70) – ipotesi ben gradita ai «vincitori» della storia e ben difesa militarmente sia dalle minacce esterne che soprattutto da quelle interne ai centri nevralgici dell’Impero – bisogna invece raccogliere la bandiera della «storia dimenticata, sconfitta e differente». Di coloro, cioè, che sono «le vittime della politica della descrizione», i «deboli oppressi», i «marginali», abbattendo le «mura epistemologiche» erette attorno a loro tramite la violenza dell’universale.

Siamo di fronte, come si può vedere, a un appello all’engagement che chiama alla «alterazione e distruzione dell’ordine stabilito» (HC 23) e che presenta forti accenti fichtiani o sartriani (e dunque attivistici, soggettivistici e persino individualistici) ed è molto lontano dalla linea hegelo-marxiana. E nel quale il richiamo alla tradizione comunista e quello al conservatorismo rivoluzionario di Heidegger diventano, paradossalmente, fonti equivalenti..." CONTINUA IN DEMOCRAZIA CERCASI

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