venerdì 3 ottobre 2014
Hong Kong: il bue dice cornuto allo scecco, gli Usa accusano la Cina di controllare i cellulari e i social network
La Stampa 3.10.14
Hong Kong, la lotta si decide sui cellulari
Il movimento comunica aggirando il Web, ma Pechino infetta gli smartphone per “schedare” i manifestanti
di Ilaria Maria Sala
Sono
ore particolarmente tese a Hong Kong. Gli studenti che occupano le
strade per chiedere il suffragio universale alla Cina avevano dato a
Chun Ying Leung, il Capo dell’Esecutivo di Hong Kong, un ultimatum: se
non si fosse dimesso avrebbero occupato gli uffici governativi. Da
Pechino, un editoriale del «Quotidiano del Popolo» non aveva fatto nulla
per calmare gli animi, promettendo anzi «conseguenze inimmaginabili» se
gli studenti non avessero sgomberato le strade.
Quello di Occupy
Central è un movimento con pochi leader. Si muove in modo disciplinato
ma indipendente e le duecentomila persone in piazza in questi giorni
agiscono di concerto affidandosi a tutti gli strumenti possibili per
comunicare. E se Twitter aveva aiutato le Primavere arabe nel 2012 ora a
Hong Kong ci sta pensando FireChat. Nelle ultime 24 ore oltre 100 mila
persone a Hong Kong hanno scaricato sui loro smartphone l’applicazione
per scambiare messaggi. FireChat si appoggia a Bluetooth e può mandare
messaggi a 70 metri di distanza anche senza connessione Internet -
spesso molto irregolare nelle zone della protesta. Ma, diversamente da
Telegram, che manda messaggi criptati, i messaggi di FireChat sono
pubblici. E il moltiplicarsi di malaware che prendono di mira proprio
gli smartphone degli studenti fa pensare che qualcuno stia cercando di
mettere i bastoni fra le ruote al Movimento degli Ombrelli.
Quel
qualcuno sarebbe Pechino. Secondo il «New York Times» il governo cinese
starebbe spiando i ragazzi scesi in piazza tramite una falsa App per
smartphone. La scoperta è stata fatta dai ricercatori della Lacoon
Mobile Security, un’azienda specializzata in sistemi di sicurezza
informatica. In quello che si è rivelato essere un «phishing attack»
(una tecnica finalizzata a carpire informazioni personali), gli utenti
di smartphone di Hong Kong hanno ricevuto un link su WhatsApp per
scaricare un software, insieme a una nota: «Guardate questa app Android
disegnata da Code4HK per il coordinamento di Occupy Central!». Peccato
che Code4HK, una comunità di programmatori che sostiene il movimento per
la democrazia, non aveva nulla a che fare con l’applicazione.
Secondo
Michael Shaulov, amministratore delegato di Lacoon, ci sono chiari
segnali che riconducono al governo cinese. Chi ha lanciato l’app-spia ha
la possibilità di accedere ai dati personali degli ignari utenti, come
password e informazioni bancarie, spiare telefonate e messaggi e avere
continua traccia della posizione fisica dello smartphone infettato.
Tra
la paura di possibili «schedature» e l’attesa della reazione del capo
del governo ieri per le strada di Hong Kong la tensione ha continuato a
salire, riducendosi solo quando si sono presentati il vice-rettore
dell’Università, Mathieson, e il rettore dell’Università Cinese di Hong
Kong, venuti a sostenere gli studenti e chiedendo loro di non correre
rischi. Sono stati accolti come eroi: i primi adulti appartenenti a
istituzioni importanti a scendere in campo a fianco degli studenti.
Joshua
Wong, il leader di Scholarism, 17 anni, in uno dei suoi discorsi
appassionati, ha detto: «Abbiamo fatto la Storia. Non voglio che nessuno
di noi si faccia male», cercando di convincere i suoi compagni che una
ritirata strategica non era da considerarsi una sconfitta. Un gruppo di
pastori e preti si sono avvicinati, in fila davanti alle barricate,
dicendo che avrebbero protetto gli studenti. Poi, a mezzanotte, la
conferenza stampa di Leung: «Non mi dimetto - ha detto -, ma invio la
mia vice, Carrie Lam, a parlare con gli studenti e studiare con loro il
progetto di riforma elettorale. La polizia non caricherà se gli studenti
si manterranno pacifici». Un contentino, un nulla, che è bastato
comunque a far tirare un respiro di sollievo. La Rivoluzione degli
Ombrelli di Hong Kong non vuole avere martiri. Nessuno scontro, né
disordini, ma oggi i giovani saranno ancora per le strade della città.
La Stampa 3.10.14
Se Internet diventa mezzo di controllo
di Gianluca Nicoletti
La
febbre cinese per la FireChat come strumento di rivolta è paradossale.
Il Bluetoothing nasce una decina d’anni fa per intercettare
disponibilità erotica tra la folla o in tram. Ora si ripropone come
alternativa ai social media per una guerra antichissima tra potere e
dissenso.
È tramontata l’idea che Internet possa ancora essere
considerato uno strumento geneticamente antagonista, bisognerebbe
riflettere su quanto ancora si possa parlare in questi termini del più
grande intercettatore di ogni nostro pensiero, espresso o solo
accennato.
Ecco quindi che quando un regime decide di usare le
maniere forti Internet non serve più, anzi diventa persino uno strumento
inquisitorio e poliziesco per chi non ne conoscesse le vie esoteriche
per sfuggire al grande controllore.
Consapevoli di questo i ragazzi
di Hong Kong hanno optato per il download di massa dell’app che può
permettere di scambiarsi messaggi anche senza accesso al web.
Naturalmente FireChat è efficace solamente in una situazione di spazi
aperti.
Come però è stata lanciata via Facebook una possibile via di
fuga post blackout, subito è partita la controffensiva di Stato. Così
per qualcuno avere scaricato l’ app corrisponderà a una schedatura come
sovversivo. Ammesso che a Hong Kong arrivi l’ora x, e solo con FireChat
si possa comunicare a distanza, ogni smartphone disporrebbe solo del
Bluetooth per collegarsi ad altri dispositivi nel raggio di 70 metri,
immaginiamo che in questo spazio i margini di fuga siano ristretti se il
conflitto degenerasse, con il concreto rischio che a ricevere il
messaggio non sia un compagno di lotta ma un poliziotto. È per questo
forse consigliabile l’uso FireChat come espediente d’acchiappo piuttosto
che come supporto di guerriglia.
Repubblica 3.10.14
Lo scenario. I controlli nel web
Social oscurati e app anti-cortei così la censura spegne la rivolta
di Fabio Chiusi
DIFFICILE
prevedere che avrebbe assunto le fattezze di masse sterminate di
manifestanti raccolti nei gangli di Hong Kong sotto ombrelli colorati,
ma l’incubo dei censori cinesi era ben noto. Non ogni critica al governo
di Pechino, come sostengono da tempo — studi empirici alla mano — il
docente di Harvard Gary King e colleghi, ma quelle che possono portare
ad “azioni collettive”. A una “primavera” di richieste democratiche,
insomma, sulla scia di quella che ha sconvolto il Medio Oriente nel
2011. E sotto gli occhi del mondo intero, dato che come scrive Emily
Parker sul New Yorker, «nell’era dei social media le proteste non sono
più locali».
Per King sul web cinese «il bersaglio della censura sono
le persone che si ritrovano per esprimersi collettivamente », e quanto
sta avvenendo in queste ore non fa che confermare. Con oltre 2,3 milioni
di tweet prodotti a partire dal 27 settembre, e un picco di 700
cinguettii al minuto, non stupisce la macchina della repressione online
si sia attivata come mai prima d’ora per fermare “Occupy Central”.
Instagram è inaccessibile da sabato scorso, dato che è lì che circolano
le immagini della rivolta nata dagli studenti e tracimata a larghi
settori dell’opinione pubblica. Weibo, l’analogo cinese di Twitter, è un
campo di battaglia e i dati prodotti dal progetto di monitoraggio del
Journalism and Media Studies Centre dell’Università di Hong Kong,
Weiboscope, dicono che mai prima d’ora erano stati censurati tanti
contenuti: da 32 post su 10 mila il giorno prima dell’inizio delle
proteste si è passati al triplo il giorno successivo, fino a raggiungere
quota 152 domenica 28 settembre. Servizi di messaggistica come WeChat,
sostiene il ricercatore David Bandurski al New York Times, sono perfino
più efficienti, ma qualche messaggio filtra ugualmente. Merito delle
strategie adottate da tempo dagli attivisti in rete: usare la traduzione
inglese di parole proibite come “xianggang” (Hong Kong) e “zhanzhong”
(Occupy Central), o ricorrere a stratagemmi creativi come quelli messi
in atto a ogni anniversario di Tienanmen, in cui il 4 giugno diventa il
“35 maggio”. I censori, più spesso in carne e ossa che rigide righe di
codice, si adeguano presto, e la libera espressione diventa una gara di
abilità per mantenere in vita o reprimere le ricerche vietate. Come
sempre a Pechino, alla censura si somma la sorveglianza. Scrive il South
China Morning Post che circola anche un software malevolo per Android
mascherato da applicazione ufficiale dei manifestanti. Diffusa tramite
messaggi inviati da un numero sconosciuto via WhatsApp, e presentata
come indispensabile per coordinare le proteste, serve in realtà a
ottenere accesso ai contatti dei manifestanti, ai messaggi di testo,
allo storico delle chiamate e delle ricerche online e alla loro
localizzazione. Lo stesso sarebbe avvenuto secondo Lacoon Mobile
Security per i telefonini Apple, anche se diversi ricercatori ne
dubitano e le prove di un effettivo utilizzo non ci sono. Se non
bastasse, gli attivisti anti-censura di Greatfire.org denunciano anche
attacchi ai danni di Yahoo — secondo quanto riferito a Mashable da un
membro del collettivo, originati dalle autorità cinesi.
L’obiettivo
di quello che in gergo è chiamato “attacco man-in-the-middle” sarebbe
vincere le protezioni crittografiche garantite dal colosso di Sunnyvale,
e bloccare termini di ricerca e link sgraditi. Se a tutto questo si
aggiungono i ripetuti black-out delle reti mobili riportati nei dati di
Google Transparency e nelle denunce di svariati utenti, si comprende
come i manifestanti abbiano cercato un modo alternativo di comunicare,
che non dipendesse dalla connessione a Internet. Oltre 100 mila in poche
ore l’hanno trovato nell’applicazione FireChat, che consente di creare
una rete “mesh”, ossia decentralizzata (peer-topeer), indipendente dalla
connettività di rete (basta il Bluetooth) e più resistente al crescere
della concentrazione fisica degli utenti — ideale per un luogo come Hong
Kong, dove infatti secondo Frederic Jacobs, su Bellingcat, sta
funzionando meglio che altrove. Da non sottovalutare tuttavia i limiti: i
messaggi non si possono scambiare che a poche decine di metri di
distanza, non c’è cifratura (quindi nessuna conversazione è realmente
privata) ed è semplice per le autorità tracciare chi la sta usando.
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