giovedì 9 ottobre 2014

"Il pro­getto ame­ri­cano di un’Europa come sot­to­si­stema atlan­tico e zona di libero scam­bio": Leonardo Paggi sul Grande Spazio europeo


La rotta atlantica dell’Europa

Derive continentali. Intervista con lo storico Leonardo Paggi in occasione di un incontro internazionale all’università di Urbino. «Un continente inteso come sottosistema americano ha impedito la presenza di un soggetto politico autonomo»

Paolo Ercolani, 9.10.2014 

Rigore o cre­scita? Que­sto sem­bra essere diven­tato il ritor­nello mar­tel­lante con cui si esau­ri­sce la que­stione dell’Europa e delle poli­ti­che eco­no­mi­che che devono met­tere in atto i paesi che ne fanno parte. Ne par­liamo con Leo­nardo Paggi, ordi­na­rio di sto­ria con­tem­po­ra­nea all’università di Firenze, non­ché cura­tore nel 2012 del libro Un’altra Ita­lia in un’altra Europa (Carocci). Lo sto­rico ita­liano sarà uno dei rela­tori a «Quo vadis Europa?», un incon­tro orga­niz­zato all’Università di Urbino a par­tire da oggi. 

Per com­pren­dere dove stia andando l’Europa, forse biso­gnerà prima chie­dersi da dove essa pro­viene, pen­sando soprat­tutto a un’unificazione che è stata solo finan­zia­ria e mai poli­tica. Non crede? 

Tal­volta le crisi sono l’occasione per balzi in avanti. Non è que­sto il caso dell’Unione Euro­pea dopo il 2008. Nel momento in cui si svi­lup­pava la pres­sione spe­cu­la­tiva dei mer­cati sul debito pub­blico dei paesi più deboli, por­tando alla luce del sole la incon­gruenza strut­tu­rale di una moneta senza stato (il trat­tato di Maa­stri­cht), tutto spin­geva in dire­zione di una prima fisca­lità comune che avrebbe segnato l’inizio di un poli­tico sovra­na­zio­nale. Con il fiscal com­pact si è imboc­cata la strada oppo­sta, con­fi­gu­rando la Ue come una addi­zione di eco­no­mie e di stati con inte­ressi non solo diversi, ma anche tra loro com­pe­ti­tivi. Tutta la fumosa reto­rica euro­pei­sta di cui ci siamo cibati per anni si è dis­solta come neb­bia al sole. Occorre un ripen­sa­mento radi­cale delle ori­gini dell’Europa, in ottem­pe­ranza alla «degnità» vichiana secondo cui la natura delle cose sta nella guisa del loro nascimento. 

Sem­bra pas­sata un’eternità da quando si dibat­teva a pro­po­sito delle radici cul­tu­rali dell’Europa. Quali sono, secondo lei, que­ste radici, e per­ché a tutt’oggi non sono state in grado di pro­durre una pianta sana e coesa? 

Ho sem­pre tro­vato vago e con­fuso il dibat­tito sulle radici cul­tu­rali. Credo invece sia giunto il momento di doman­darsi se il pro­getto ame­ri­cano di un’Europa come sot­to­si­stema atlan­tico e zona di libero scam­bio, quale prende forma all’inizio degli anni cin­quanta, non esclu­desse già allora, nel suo nasci­mento, la costi­tu­zione di un sog­getto fede­rale auto­nomo. La poli­to­lo­gia ame­ri­cana ha defi­nito lo stato nazione euro­peo uscito bat­tuto dalla seconda guerra mon­diale un tra­ding state, ossia uno stato a cui è rigo­ro­sa­mente vie­tato di ritra­durre in ter­mini poli­tici e mili­tari i suc­cessi con­se­guiti sul piano eco­no­mico.
Biso­gna oggi doman­darsi se in que­sta defi­ni­zione non sia con­te­nuta la foto­gra­fia di uno stato di fatto. Un euro senza stato, lo abbiamo visto, è una moneta alla mercé di qual­siasi movi­mento spe­cu­la­tivo ori­gi­nato da Wall Street, tanto che sono ancora ope­ranti, anche sul piano finan­zia­rio, i rap­porti di forza usciti dalla seconda guerra mondiale. 

Il modello euro­peo, sul piano eco­no­mico ma non sol­tanto, ha costi­tuito un’alternativa a quello ame­ri­cano, sep­pure essen­done un alleato. Basti pen­sare al sistema del wel­fare state, o al radi­cale con­tra­sto ideo­lo­gico fra autori come Key­nes e, oltreo­ceano, Hayek e Fried­man. Eppure oggi ci tro­viamo di fronte a un’americanizzazione della stessa Europa, con­dan­nata a uni­for­marsi o perire. Cosa è successo? 

A par­tire dalla metà degli anni Set­tanta del secolo scorso, quando prende forma il mondo in cui viviamo, l’abbandono della piena occu­pa­zione per il con­trollo dell’inflazione rap­pre­senta non solo la crisi delle poli­ti­che key­ne­siane che hanno con­sen­tito i pre­ce­denti suc­cessi, ma anche l’inizio di una costante ero­sione della sovra­nità dello stato nazione euro­peo e della sua capa­cità di gover­nare in auto­no­mia le pro­prie gran­dezze macroe­co­no­mi­che. Il dato che più carat­te­rizza que­sto pas­sag­gio sto­rico sta nel fatto che, pro­prio in ragione della crisi del key­ne­si­smo, la Ger­ma­nia prende la guida dell’Ue. Il Modell Deu­tschland di Hel­mut Sch­mitt con­tiene già tutti gli ele­menti che fanno oggi dell’economia tede­sca la plan­cia di comando dell’economia euro­pea. Attra­verso lo Sme (1979) il marco comin­cia a fun­gere da punto di rife­ri­mento obbli­gato per le ban­che cen­trali euro­pee, fino a dive­nire con Maa­stri­cht «para­me­tro» di eco­no­mie strut­tu­ral­mente diverse da quella tede­sca. La capa­cità di com­bi­nare lo svi­luppo con una for­tis­sima sta­bi­lità mone­ta­ria fa dell’economia tede­sca quella più capace di con­vi­vere e resi­stere al domi­nio cre­scente del capi­tale finanziario. 

Bar­bara Spi­nelli, recen­te­mente, ha for­mu­lato un’accusa pesante verso i poli­tici e i gover­nanti euro­pei, defi­niti come «re dor­mienti» che, per con­ve­nienza o per pigri­zia intel­let­tuale e pro­gram­ma­tica, si sono ras­se­gnati alla dilui­zione dello spa­zio euro­peo nello spa­zio atlan­tico, sot­to­met­ten­dosi a una sorta di «Nato eco­no­mica». Qual è il suo pen­siero in proposito? 

Fu Altiero Spi­nelli il primo ad accet­tare il pas­sag­gio dall’Europa fede­rale (pre­sunto sog­getto auto­nomo di poli­tica inter­na­zio­nale) all’Europa/Nato. Solo Piero Cala­man­drei, che io sap­pia, votò con­tro l’inclusione dell’Italia nella Orga­niz­za­zione atlan­tica, susci­tando le ire dei suoi amici azio­ni­sti (Erne­sto Rossi, Guido Sal­ve­mini) che lo accu­sa­rono di filo comu­ni­smo. Venendo all’oggi la for­sen­nata e pre­ma­tura inclu­sione dell’Europa orien­tale nella Ue si spiega solo con la volontà sta­tu­ni­tense di spo­stare sem­pre più a Est le bat­te­rie dei mis­sili Nato. La scelta è con­di­visa dalla Ger­ma­nia riu­ni­fi­cata che vede la pos­si­bi­lità di ricreare la sua vec­chia Mit­te­leu­ropa, come di fatto è avve­nuto, spo­stando a pro­prio favore tutto il bari­cen­tro eco­no­mico e geo­po­li­tico della Ue. 

Con le cre­scenti forme di disa­gio sociale, monta anche il numero di per­sone che pro­pon­gono l’uscita dell’Italia dall’Europa. Romano Prodi, uno degli arte­fici della nostra entrata in Europa, ha detto che que­sta sarebbe una solu­zione para­go­na­bile al sui­ci­dio. Lei cosa ne pensa? Uscire dall’Europa o restare den­tro per cam­biarla, e come? 

Non credo al «piano B» di Paolo Savona e ritengo fuor­viante il dibat­tito sulla fuo­riu­scita dall’euro. È una opzione imma­gi­na­ria, per cui non esi­stono le con­di­zioni poli­ti­che. Nello stato di pro­stra­zione in cui versa in Europa la poli­tica demo­cra­tica è assai dif­fi­cile imma­gi­nare un governo suf­fi­cien­te­mente forte e legit­ti­mato per affron­tare gli enormi rischi eco­no­mici impli­citi nell’abbandono dell’euro. Né è pos­si­bile con­tare sullo sce­na­rio cata­stro­fico vati­ci­nato dal Nobel per l’economia Paul Krug­man e dal finan­ziere George Soros, secondo cui la poli­tica di auste­rità da sola, e in quanto tale, farebbe sal­tare la moneta unica. 

L’interrogativo di fondo, «quo vadis Europa?», non può pre­scin­dere dal più gene­rale «quo vadis mundo»? Nuove guerre all’orizzonte, ter­re­moti geo­po­li­tici che smon­tano i vec­chi equi­li­bri, l’emergere di una potenza straor­di­na­ria­mente forte come la Cina. Insomma, di quale Europa avremmo biso­gno per soprav­vi­vere in un mondo che, per para­fra­sare Gram­sci, mai come oggi si è rive­lato così «grande e terribile»? 

La nuova guerra fredda ori­gi­na­tasi dalla crisi ucraina mi sem­bra pena­lizzi, non meno dei mer­cati finan­ziari, l’autonomia dell’Europa. Ci siamo riman­giati anche la Ost­po­li­tik!, per decenni tratto distin­tivo della nostra pre­senza inter­na­zio­nale, ed è spa­rita ogni trac­cia di poli­tica medi­ter­ra­nea. Sono d’accordo: non è facile vedere a breve svi­luppi posi­tivi, ma per que­sto è pre­li­mi­nare met­tere a nudo il carat­tere ideo­lo­gico e vol­gar­mente stru­men­tale di tutto il vec­chio euro­pei­smo, quale si è con­fi­gu­rato fin dai suoi inizi.




Un continente bloccato nel tunnel della crisi 
Derive continentali. Le politiche di austerità alimentano la crescita della povertà e dei movimenti populistici. Giuristi, storici e filosofi a confronto nel meeting internazionale "Quo vadis Europa?" che apre oggi i lavori all'università di Urbino

Paolo Ercolani, 8.10.2014 


Accade rara­mente che un con­sesso acca­de­mico si trovi a far con­vo­gliare stu­diosi da ogni parte del mondo per discu­tere di un argo­mento di strin­gente attua­lità. È que­sto il caso di Urbino, dove il 9 e 10 otto­bre, orga­niz­zato dal Dipar­ti­mento di Giu­ri­spru­denza, si terrà il semi­na­rio inter­na­zio­nale dal titolo «Quo vadis Europa? Sta­bi­lità e cre­scita nell’ordinamento europeo». 

Giu­ri­sti, eco­no­mi­sti, sto­rici e filo­sofi affron­te­ranno quello che forse è l’argomento prin­cipe il vec­chio con­ti­nente: esi­ste vera­mente un’Europa? E se sì, con quali carat­te­ri­sti­che, per fare cosa e andare dove in una realtà glo­bale pro­fon­da­mente mutata? 

E l’Italia, all’interno di que­sto discorso, quale ruolo può svol­gere per non rima­nere schiac­ciata dalle poli­ti­che di auste­rità impo­ste dalla finanza inter­na­zio­nale, ma anche per spe­rare in una cre­scita eco­no­mica e in poli­ti­che che affron­tino un disa­gio sociale ormai ai limiti della tollerabilità? 

La dico­to­mia troppo netta fra rigore e svi­luppo, sta ali­men­tando fru­stra­zione e rab­bia nei cit­ta­dini euro­pei, che ha un sin­tomo nella cre­scita di movi­menti popu­li­stici e dema­go­gici i quali, caval­cando il disa­gio sociale, si fanno por­ta­tori di solu­zioni radicali. 

«Ciò che è in discus­sione – affer­mano Anto­nio Can­taro e Yuri Kaze­pov, docenti urbi­nati e orga­niz­za­tori del semi­na­rio – è il telos del pro­cesso inte­gra­tivo, ossia il pro­getto di una Unione sem­pre più stretta dei popoli euro­pei, che non sia sol­tanto inte­gra­zione mone­ta­ria (con tanto di sot­to­mis­sione al modello ideo­lo­gico ame­ri­cano), ma anche inte­gra­zione geo­gra­fica, economico-giuridica e, natu­ral­mente, politico-sociale». 

Dif­fusa è la con­vin­zione che l’Europa abbia smar­rito il suo motivo ori­gi­na­rio di realtà uni­fi­cata secondo un modello sociale spe­ci­fico, per tra­sfor­marsi gra­dual­mente in una sorta di «Nato ame­ri­cana» inca­pace di eser­ci­tare un ruolo auto­nomo e attivo nel con­te­sto inter­na­zio­nale. Più che in una nuova fase di cre­scita, l’Unione euro­pea sem­bra inol­tre essere entrata in una nuova fase della crisi. Mario Dra­ghi ha forse sal­vato l’euro, ma l’Unione nel suo com­plesso con­ti­nua a non pro­durre cre­scita e occu­pa­zione, con­ti­nuando, anzi, a bru­ciare ric­chezza. La crisi eco­no­mica è, peral­tro, solo la punta dell’iceberg, e il con­te­stuale venir meno della fidu­cia rispetto al pro­cesso di inte­gra­zione rap­pre­senta il cuore della crisi esi­sten­ziale dell’Unione. 

Con que­ste com­plesse que­stioni si con­fron­te­ranno nel semi­na­rio inter­na­zio­nale alcuni dei più auto­re­voli osser­va­tori e stu­diosi del pro­cesso di inte­gra­zione sovra­na­zio­nale. Il semi­na­rio, che si svol­gerà da gio­vedì 9 otto­bre (ore 14.30) fino a venerdì 10 otto­bre (ore 19.30) presso l’Aula Magna del Dipar­ti­mento di Giu­ri­spru­denza sarà intro­dotto dalla rela­zione del Pro­fes­sore Chri­stian Joer­ges (Uni­ver­sità di Brema e Ber­lino). L’iniziativa semi­na­riale si arti­cola in tre distinte ses­sioni nelle quali inter­ver­ranno, tra gli altri: Fran­ci­sco Bala­guer Cal­le­jón (Uni­ver­sità di Gra­nada), diret­tore della Revi­sta de Dere­cho con­sti­tu­cio­nal euro­peo; Ste­lio Man­gia­meli (Uni­ver­sità di Teramo), diret­tore dell’Issirfa-Cnr; Leo­nardo Paggi (Uni­ver­sità di Firenze), diret­tore dell’Asso­cia­zione per la Sto­ria e le Memo­rie della Repub­blica; Paolo De Ioanna, giu­dice del Con­si­glio di Stato; Clau­dio Gne­sutta (Uni­ver­sità La Sapienza di Roma) col­la­bo­ra­tore di Sbi­lan­cia­moci; Mar­cello Degni (Uni­ver­sità di Pisa); Miguel Ángel Gar­cía Her­rera e Gon­zalo Mae­stro Buelga (Uni­ver­sità del Pais Vasco); Ugo Ascoli (Uni­ver­sità di Ancona); Ste­fano Giub­boni (Uni­ver­sità di Peru­gia. Il semi­na­rio sarà con­cluso dall’intervento del Pre­si­dente dell’Associazione ita­liana dei costi­tu­zio­na­li­sti, Anto­nio D’Atena (Uni­ver­sità di Roma Tor Vergata).

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