venerdì 17 ottobre 2014

Le religioni storiche di fronte alla religione unica neoliberale


La teologia à la carte del libero mercato 

Intervista. «Il neoliberismo è una forma di religione». Parla Corinne Lanoir, ospite a un recente convegno torinese organizzato da Centro teologico, Centro di cultura «Pascal» e Centro studi «Pareyson»

Emiliano Rubens Urcioli, il Maniefsto 17.10.2014 

 «Il neo­li­be­ra­li­smo è anche una forma di reli­gione»: ne è con­vinta Corinne Lanoir, che abbiamo incon­trato a Torino in occa­sione del con­ve­gno inter­na­zio­nale «Eco­no­mia e teo­lo­gia», svol­tosi la scorsa set­ti­mana presso la Casa val­dese, pro­mosso da Cen­tro teo­lo­gico, Cen­tro di cul­tura «Pascal» e Cen­tro studi «Parey­son». Docente di Antico Testa­mento all’Istituto di Teo­lo­gia Pro­te­stante di Parigi, Lanoir è una delle voci più inte­res­santi del pen­siero evan­ge­lico euro­peo con­tem­po­ra­neo. Viag­gia rego­lar­mente tra Nica­ra­gua e Chia­pas per tenere corsi di for­ma­zione biblica: non è un caso che da pro­te­stante si senta molto vicina alla teo­lo­gia della liberazione. 


Un teo­logo come Die­trich Bon­hoef­fer soste­neva che la nostra respon­sa­bi­lità di donne e uomini moderni è di vivere come se dio non esi­stesse. Al con­ve­gno tori­nese lo ha ricor­dato Ric­cardo Bel­lo­fiore, sug­ge­rendo che non si tratta di con­dan­nare le aber­ra­zioni del neo­li­be­ra­li­smo in virtù di prin­cipi etici meta-empirici, ma di addi­tare le sue con­trad­di­zioni entro una pro­spet­tiva imma­nente. Quale teo­lo­gia può accet­tare di porsi su que­sto piano seco­lare di confronto? 

La teo­lo­gia della libe­ra­zione può farlo, per almeno due ragioni. Se si assume la sua pro­spet­tiva, la teo­lo­gia è sem­pre «seconda», nel senso che viene dopo l’esistenza e l’esperienza dell’esistenza, che pre­sen­tano pro­blemi con­creti da affron­tare e risol­vere attin­gendo a stru­menti di ana­lisi poli­tica, sociale ed eco­no­mica imma­nenti alla realtà inda­gata. Solo in un secondo momento la teo­lo­gia viene a inter­ro­gare le pra­ti­che, valu­tare le azioni con­crete, senza però pre­ten­dere di pro­nun­ciare l’ultima parola su di esse. Il pro­cesso di ana­lisi e di cri­tica non ha fine. In secondo luogo, la teo­lo­gia non ha la pre­tesa di dire la sua su tutto: non può e non deve ambire né all’onnipotenza né all’ubiquità nella sua pro­po­sta di inter­ro­ga­zione e valu­ta­zione della realtà. 

Com’è pos­si­bile che la fede cri­stiana con­danni tanti scan­dali (ido­la­tria del denaro, sfrut­ta­mento, dise­gua­glianza), ma la sua cri­tica arre­tri di fronte al meta-scandalo del capi­tale? Lo «scan­dalo degli scan­dali» non è pro­prio l’esistenza della for­ma­zione capi­ta­li­stica, fon­data sul con­sumo degli esseri umani come por­ta­tori viventi di forza-lavoro? 

Dipende da che cosa si intende per fede cri­stiana. Le teo­lo­gie non sono tutte uguali. Lo spe­ci­fico della teo­lo­gia della libe­ra­zione è che cerca di aggre­dire il cuore del pro­blema, per­ché è una teo­lo­gia che vuole tra­sfor­mare il mondo, non solo acco­mo­dare le cose per ren­derlo un po’ più vivi­bile. È chiaro che, se la pro­spet­tiva è la tra­sfor­ma­zione, biso­gna pun­tare diret­ta­mente al capi­tale e al neo­li­be­ra­li­smo, cri­ti­can­doli integralmente. 


La teo­lo­gia della libe­ra­zione ha lan­ciato una sfida potente all’alleanza regres­siva tra chiesa cat­to­lica ed eco­no­mia di mer­cato. Che cosa è rima­sto oggi di quella espe­rienza? Chi sono gli eredi di Gustavo Gutiérrez? 

Siamo alla terza gene­ra­zione e la teo­lo­gia della libe­ra­zione, come era nelle sue inten­zioni ori­gi­nali, si è arric­chita di sog­getti: i poveri infatti non devono essere solo oggetti, ma anche sog­getti di teo­lo­gia. E così ora il suo discorso si avvale del con­tri­buto di donne, indi­geni, con­ta­dini, un ven­ta­glio ete­ro­ge­neo di gruppi che si iden­ti­fi­cano con alcune sue pro­po­ste, rie­la­bo­ran­dole a par­tire dal pro­prio con­te­sto. Que­sto per­ché, come ogni teo­lo­gia dovrebbe rico­no­scere quando si guarda allo spec­chio, la teo­lo­gia della libe­ra­zione è una teo­lo­gia con­te­stuale. Anche le sue pre­oc­cu­pa­zioni sono cam­biate e si sono arric­chite: all’economia, ad esem­pio, si è aggiunta come tema forte l’ecologia. 

A dif­fe­renza di quanto accade con alcuni eco­no­mi­sti di sini­stra, il pen­siero eco­no­mico main­stream né sol­le­cita né sem­bra par­ti­co­lar­mente sol­le­ci­tato dalla teo­lo­gia, È come se solo la parte oggi cul­tu­ral­mente «debole» cer­casse alleanze erme­neu­ti­che col pen­siero teo­lo­gico. Mi sbaglio? 

No, ha ragione. Accade pro­ba­bil­mente per­ché il neo­li­be­ra­li­smo ha già la sua teo­lo­gia, intrin­seca al suo stesso pen­siero. Que­sta pro­po­sta di orga­niz­za­zione eco­no­mica (e poli­tica) delle società si pre­senta anche come una forma di reli­gione. Se si esa­mina la pro­po­sta neo­li­be­rale, ci si accorge che è una pro­po­sta reli­giosa. E almeno per tre motivi. Innan­zi­tutto offre un para­diso qui e ora: il suo pro­gresso e la sua moder­nità sono para­diso rea­liz­zato e rea­liz­za­bile nell’oggi e nel mondo. Il benes­sere dato dall’accumulazione è para­di­siaco. Allo stesso tempo, con­tem­pla anche una demo­no­lo­gia, una dot­trina del pec­cato e un inferno. La ricerca dell’efficienza, che porta al para­diso, è osta­co­lata da coloro che ope­rano un male chia­mato soli­da­rietà, che com­pro­mette l’efficienza. Nel discorso teo­lo­gico dei neo­li­be­rali, la soli­da­rietà è un pec­cato ori­gi­nale, un male radi­cale. Infine, il neo­li­be­ra­li­smo è una reli­gione sacri­fi­cale: il sacri­fi­cio dei poveri, di chi non ha posto in que­sta cosmo­lo­gia dell’efficienza, è neces­sa­rio per giun­gere al paradiso. 

Esi­stono però anche teo­lo­gie fian­cheg­gia­trici del neo­li­be­ra­li­smo. Ci spiega che cos’è la teo­lo­gia della prosperità? 

È una teo­lo­gia che viene dal Bra­sile e dagli Usa, ma è pre­sente oggi anche in altri Paesi dell’America Latina, in Asia e in Africa. Si basa su un prin­ci­pio molto sem­plice: se sei ricco, allora sei bene­detto. Se sei povero, vuol dire che hai fatto qual­cosa di male. La bene­di­zione di Dio si mani­fe­sta nei beni mate­riali che acqui­sti. È una teo­lo­gia indi­vi­dua­li­stica che si addice benis­simo al mer­cato e sod­di­sfa tutte le sue richie­ste. Pre­tende di fon­darsi sulla Bib­bia, ma ne fa una let­tura del tutto fan­ta­sma­go­rica (Gesù era ricco, usava pro­fumi di pre­gio, ecc.). Un’altra carat­te­ri­stica è il suo sin­cre­ti­smo: mescola idee vaga­mente new age ad altre cri­stiane o bud­d­hi­ste, si com­pone di pezzi incoe­renti e sparsi, assor­ben­doli e dige­ren­doli come fa, d’altra parte, il neo­li­be­ra­li­smo. Non ha uno sche­le­tro ragio­nato. È una teo­lo­gia fast food. 

Durante il con­ve­gno, Lui­gino Bruni ha citato l’economista e pastore Phi­lip Wick­steed, il quale, all’inizio del secolo scorso, asse­riva che il prin­ci­pio di tutti i rap­porti eco­no­mici fosse il «non-tuismo». Né egoi­sta né altrui­sta, l’economia sarebbe «non-tuista», nella misura in cui accon­sente a che si strin­gano rap­porti empa­tici e pro-sociali con tutti tranne che con la per­sona che si ha di fronte nello scam­bio eco­no­mico. Per Wick­steed, quando la con­tro­parte diventa un «tu», si esce dall’ambito dell’economia. Quanto è anti-cristiano, a suo giu­di­zio, que­sto pre­sunto prin­ci­pio fondamentale? 

Mol­tis­simo. Se pen­siamo ad esem­pio alla para­bola del Buon Sama­ri­tano, si com­prende subito in che senso il mio pros­simo è innan­zi­tutto la per­sona che mi sta imme­dia­ta­mente davanti. In che senso, cioè, il cri­stia­ne­simo è un mes­sag­gio «tui­sta», il cui ambito è defi­nito dal «tu». Non posso costruirmi il mio pros­simo come voglio, dove mi fa comodo andarlo a cer­care. Il pros­simo è la per­sona che mi viene incon­tro ed è con que­sta pre­senza che sono chia­mato a tro­vare il modo di instau­rare rela­zioni soli­dali, di costruire qual­cosa di decente, di giu­sto, di vivibile. 

Si pos­sono indi­vi­duare modelli di eco­no­mia alter­na­tiva nelle scrit­ture ebraiche? 

Modelli forse no, ma ci sono alcune sto­rie in que­sto senso molto inte­res­santi. La mia pre­fe­rita è un pic­colo mira­colo con­te­nuto nel Secondo Libro dei Re. Si narra della riac­qui­sita capa­cità di sosten­ta­mento eco­no­mico da parte di una vedova che aveva perso tutto ed era asse­diata da cre­di­tori che minac­cia­vano di ridurre i suoi figli in schia­vitù. Sug­ge­ri­sco di leg­gere que­sti pochi ver­setti e di riflet­tere sull’elemento di svolta del rac­conto, che non è espli­ci­tato: la soli­da­rietà gra­tuita dei vicini della donna, che le accor­dano la fidu­cia neces­sa­ria per­ché lei possa avviare una pic­cola atti­vità e rico­min­ciare a vivere.

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