martedì 21 ottobre 2014

L'uso politico della paura come forma di controllo sociale

Storia della paura. Gli inconfessabili retropensieri collettivi dell'OccidentePierfranco Pellizzetti: Storia della paura, Mimesis
Risvolto

Seguendo una via mediana tra ermeneutica del sospetto e archeologia del pensiero politico, l'indagine sulle paure "oscurate" del Potere nell'attuale fase del Moderno (del popolo, delle donne, dell'altro, del diverso e del contagio) diventa spia dei rapporti di forza e delle poste in gioco. La paura - già analizzata quale stato d'animo dell'uomo medievale (Le Goff, Delumeu) o depressione odierna da precarizzazione (Bauman, Augé) - svela le contraddizioni di una civiltà sorta da rivoluzioni democratiche, che ha finito per sostituire le aristocrazie dell'Antico Regime con le plutocrazie del denaro: la Plutodemocrazia, altamente instabile e oggi a rischio impazzimento. L'Occidente, Giano bifronte smascherato, si trova innanzi a un bivio estremo: scegliere il volto illuminato dalla benevolenza e dal cosmopolitismo oppure l'oscurantismo della possessività bellicosa. 



Il sentimento del controllo sociale 
Saggi. «Storia della paura» di Pierfranco Pellizzetti per Mimesis. Una appassionata analisi su come i timori individuali e collettivi sono usati a favore dello status quo

Mattia Cinquegrani, 21.10.2014 

Così come avviene per qual­siasi pro­cesso messo in atto dall’essere umano allo scopo di rag­giun­gere una cono­scenza razio­nale, anche i ten­ta­tivi di sto­ri­ciz­zare il reale rive­lano un fascino sot­tile (ma indi­scu­ti­bile) nella piena con­trad­dit­to­rietà della pro­pria natura. Scissi tra l’aspirazione all’oggettività e la pos­si­bi­lità di essere sot­to­po­sti a una messa in discus­sione costante, essi appa­iono del tutto neces­sari alla com­pren­sione del pro­ce­dere umano, quanto neces­sa­ria­mente inca­paci di rive­larne l’essenza reale. D’altronde, la volontà di ripar­tire in sezioni com­piute e risolte, di attri­buire una sequen­zia­lità ordi­nata e coe­rente a quella massa informe di azioni ed epi­sodi che si aggro­vi­gliano nell’accadere quo­ti­diano, non può che cedere a inter­venti di appros­si­ma­zione più o meno volon­tari (se non con­ve­nienti) non­ché a for­mu­la­zioni molto effi­caci ma non ugual­mente esau­stive. Lo sanno bene — giu­sto per fare un esem­pio — quanti si sono pre­oc­cu­pati di indi­vi­duare una cro­no­lo­gia e, di con­se­guenza, una defi­ni­zione per la moder­nità e per il suo poste­riore supe­ra­mento, (il cui esau­ri­mento, a sua volta, sem­bra essere già stato segnato dalla perio­dica aggiunta di un ulte­riore post–). 

Attra­ver­sare la Storia
Se la Sto­ria è in gran parte una que­stione di for­mule e di nar­ra­zioni, alle quali con­tri­bui­scono — in maniera deci­siva — con­si­de­ra­zioni di carat­tere poli­tico, cul­tu­rale e morale, si potrà ben intuire in quale maniera il mondo occi­den­tale abbia prov­ve­duto a indi­vi­duare (nel per­corso di evo­lu­zione cro­no­lo­gica dell’uomo) epo­che di pro­gresso e di arre­tra­mento, di splen­dore e di panico, di fio­ri­tura arti­stica e di imbar­ba­ri­mento e per quali ragioni una visione a tal punto mani­chea della realtà possa essere stata assunta nell’opinione comune, spesso, in maniera quasi com­ple­ta­mente acri­tica. La volontà e, spe­cial­mente, il biso­gno di cre­dere in una società in grado di rag­giun­gere lo stato più ele­vato della per­fe­zione (secondo una visione costan­te­mente auto­re­fe­ren­ziale dell’esistere e dell’accadere) hanno indotto l’uomo con­tem­po­ra­neo a esal­tare, oltre misura, la carica pro­gres­si­stica di quei periodi sto­rici segnati da uno svi­luppo sen­si­bile della cul­tura e delle scienze, occul­tan­done i carat­teri dete­riori (o, in que­sto caso, quelli mag­gior­mente rea­zio­nari). Seb­bene l’immagine ste­reo­tipa che ne è stata pro­dotta rias­suma diver­sa­mente lo spi­rito del tempo, è pro­prio nel corso del Rina­sci­mento, così come durante il Secolo dei Lumi, che la società sem­bra essere inve­stita da ango­sce e da pro­fondi timori, come mette in luce Pier­franco Pel­liz­zetti in Sto­ria della paura: gli incon­fes­sa­bili retro­pen­sieri col­let­tivi dell’Occidente (Mime­sis, pp. 206, euro 18). A pren­dere campo, in que­sti casi, è «quell’involuzione nella rivo­lu­zione che avviene tutte le volte in cui la rimessa in moto di fat­tori mate­riali e spi­ri­tuali rompe le nic­chie ras­si­cu­ranti delle cer­tezze con­so­li­date in tra­di­zione (e) la mente si libera delle gab­bie protettive/ossessive create dal pen­siero magico/religioso. Si ini­zia ad avan­zare nell’ignoto. Una situa­zione che atter­ri­sce, che deter­mina paura del futuro».
Riat­tra­ver­sare l’Umanesimo, giun­gendo sino alla bat­ta­glia di Lepanto e all’Illuminismo rap­pre­senta, per l’autore, una stra­te­gia di inda­gine, atta a iden­ti­fi­care nuovi stru­menti di ana­lisi, più che a regre­dire sino a una visione cicli­ca­mente ripe­ti­tiva dell’accadere sto­rico. D’altronde quella che Pel­liz­zetti si pro­pone di rea­liz­zare, attra­verso que­sto volume, è una let­tura del tutto con­tem­po­ra­nea delle nostre fobie sociali e, in modo par­ti­co­lare, delle moda­lità e delle ragioni per le quali esse sono riu­scite ad avere una dif­fu­sione a tal punto capil­lare nel mondo occi­den­tale. Il pro­pa­garsi di una paura dice molto del con­te­sto che la ha gene­rata e, in par­ti­co­lar modo, dei sistemi di potere a esso sot­tesi. Non a caso «nella società com­plessa e pre­ca­ria, in cui viviamo attual­mente, (sono) venuti for­man­dosi stati ansio­geni di tipo total­mente diverso rispetto al pas­sato; nei piani alti della pira­mide sociale e secondo moda­lità — appunto — “com­ples­si­fi­cate”, in una sorta di ambi­gua dua­lità; di non facile inqua­dra­mento, in quanto mime­tiz­zate in quella zona gri­gia lad­dove il pen­siero domi­nante oscilla tra il con­sa­pe­vole e l’inconsapevole, tra il par­zial­mente apper­cet­tivo e il rela­ti­va­mente subli­mi­nale. Riflessi auto­ma­tici e rea­zioni fina­liz­zate che deter­mi­nano la dra­stica spac­ca­tura dell’Io plu­rale in due emi­sferi, net­ta­mente distinti: una parte fidu­ciosa e tut­tora orien­tata al futuro e un’altra timo­rosa e retro­versa». Due atti­tu­dini, que­ste, indub­bia­mente com­ple­men­tari e pari­menti neces­sa­rie all’esercizio di un potere che si serve della paura e della fidu­cia nella pos­si­bi­lità di eli­mi­narla — attra­verso il cre­scente svi­luppo tec­no­lo­gico — allo scopo di dire­zio­nare con­sa­pe­vol­mente il pen­siero col­let­tivo, verso posi­zioni pro­fon­da­mente rea­zio­na­rie. Paura, quindi, «come tec­nica di con­trollo sociale, atti­vato e incen­ti­vato da paure che si sono insi­nuate nella mente degli stessi controllori». 

Un dia­logo tra le fonti
Dando vita a un eccel­lente dia­logo tra le fonti, Pel­liz­zetti rea­lizza (in modo par­ti­co­lare all’interno dei capi­toli ini­ziali) una ana­lisi di grande inte­resse, che rie­sce effi­ca­ce­mente a inqua­drare l’argomento da un punto di vista teo­rico. L’autore si rivela in grado, soprat­tutto, di sti­mo­lare una rifles­sione per nulla scon­tata sugli ele­menti di mag­gior rilievo poli­tico e cul­tu­rale, descri­vendo — anche gra­zie alla grande varietà di rife­ri­menti storico-letterari — una tra­iet­to­ria dal grande respiro sto­rico. Tut­ta­via, nel pro­ce­dere del discorso sem­bra disper­dersi la com­pat­tezza del pen­siero, impe­gnato in ana­lisi pro­gres­si­va­mente più spe­ci­fi­che e meno bril­lanti. Seb­bene atten­ta­mente com­pi­late, la sezione cen­trale del libro e quella con­clu­siva appa­iono (fatta ecce­zione per brevi pas­saggi) pre­ve­di­bili nella loro arti­co­la­zione e nei con­te­nuti, quando non visi­bil­mente infi­ciate dalle anti­pa­tie teo­ri­che e poli­ti­che dell’autore stesso.

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