mercoledì 29 ottobre 2014

L'uso repressivo della psichiatria durante il regime fascista


Matteo Petracci: I matti del Duce. Manicomi e repressione politica nell'Italia fascista, Donzelli, pagg. 238, euro 33

Risvolto
Mania politica, schizofrenia, paranoia, isterismo, distimia, depressione. Sono queste le diagnosi che compaiono nei documenti di polizia o nelle cartelle cliniche intestate agli oppositori politici rinchiusi in manicomio negli anni del fascismo. Diagnosi più che sufficienti a motivare la segregazione per lunghi anni o per tutta la vita. Quali ragioni medico-scientifiche hanno giustificato il loro internamento psichiatrico? Quali, invece, le ragioni dettate dalla politica del regime contro il dissenso e l'anticonformismo sociale? Molto si è scritto rispetto all'esperienza degli antifascisti in carcere o al confino, ma la possibilità che il regime abbia utilizzato anche l'internamento psichiatrico come strumento di repressione politica resta ancora poco indagata. Attraverso carte di polizia e giudiziarie, testimonianze e relazioni mediche e psichiatriche contenute nelle cartelle cliniche, Matteo Petracci ricostruisce i diversi percorsi che hanno condotto gli antifascisti in manicomio. Alcuni furono ricoverati d'urgenza secondo le procedure previste dalla legge del 1904 sui manicomi e gli alienati; altri vennero internati ai fini dell'osservazione psichiatrica giudiziaria o come misura di sicurezza; altri ancora furono trasferiti in manicomio quando già si trovavano in carcere e al confino. Dall'analisi degli intrecci tra ragioni politiche e ragioni di ordine medico emerge con forza il ruolo giocato dalla sovrapposizione tra scienza e politica nella segregazione di centinaia di donne e di uomini...

Politica e camicia di forza Gli "strani" matti del DuceDurante il Ventennio la malattia psichiatrica si trasformò in un'arma contro gli oppositori Un saggio per la prima volta spiega in che modo
Giordano Bruno Guerri - Mer, 29/10/2014

I manicomi al tempo del Duce
Un volume edito da Donzelli racconta la "biopolitica" al tempo del fascismo, e le differenze con il sistema manicomiale nazistaLuigi Giorgi Europa 
La pazzia non allineata

Saggi. «I matti del Duce. Manicomi e repressione politica nell’Italia fascista» di Matteo Petracci, per Donzelli. L'istituzione totale come punizione e marchio d'infamia per i dissidenti
La psi­chia­tria restrin­geva sem­pre di più il peri­me­tro della «nor­ma­lità» ma, se in Ger­ma­nia l’eugenetica fu uno degli stru­menti pre­di­letti con cui fomen­tare il raz­zi­smo, con gli «anor­mali» con­si­de­rati un freno allo svi­luppo bio­lo­gico della nazione, in Ita­lia si fermò alla repres­sione, giu­sti­fi­cata come cura delle dege­ne­ra­zioni sociali. Ozio, alco­li­smo e vaga­bon­dag­gio erano valu­tati vizi ostili per­ché, scrive l’autore: «i poveri, gli esclusi e i dise­re­dati con­ti­nua­vano ad essere con­si­de­rati come mag­gior­mente peri­co­losi e refrat­tari ad accet­tare le regole di con­dotta sociale». Che, nella logica mec­ca­ni­ci­stica del pen­siero domi­nante, si tra­du­ceva in una pos­si­bile ade­sione ai valori socia­li­sti, gli emblemi cioè della deca­denza civile e morale. Lom­broso docet.
Uno dei ful­cri del discorso di Petracci è come l’ufficializzazione della paz­zia da parte dell’autorità (in molte dia­gnosi medi­che dei dis­si­denti si leg­geva «alco­li­smo», eppure non se ne tro­vava trac­cia nei fasci­coli della Pre­fet­tura), com­pro­met­tesse la cre­di­bi­lità del mili­tante, tra­mu­tando la con­vin­zione poli­tica in spro­lo­quio e scan­dalo, e per­tanto in morte civile. Spo­stare discordi pen­sieri poli­tici alla stato di devianza sociale da mani­co­mio ser­viva come stru­mento, veloce ed effi­cace, per con­te­nere gli ele­menti di disturbo del fascismo.
Si poteva essere rico­ve­rati con una sola testi­mo­nianza e la denun­cia del Tri­bu­nale spe­ciale, o per delle let­tere con cui, coe­ren­te­mente, si denun­cia­vano soprusi della poli­zia e con­trolli asfis­sianti, che però diven­ta­vano indi­scu­ti­bili mani­fe­sta­zioni di para­noia, come capitò all’ex sin­daco di Moli­nella, Giu­seppe Mas­sa­renti, inter­nato al Santa Maria della Pietà di Roma. Ma la para­noia era insita nel potere: «L’apparato di con­trollo – fatto di agenti, infor­ma­tori, spie e con­fi­denti – con­tri­buiva atti­va­mente alla costru­zione dell’immagine del maniaco anti­fa­sci­sta, attra­verso la rac­colta e la dif­fu­sione delle noti­zie sui segni dello squi­li­brio men­tale dei sog­getti e sulle loro inten­zioni peri­co­lose», così nell’Archivio cen­trale di Stato si tro­vano fasci­coli di «malati» con anno­ta­zioni del tipo «infermo di mente per mania poli­tica», ma allo stesso tempo, tanti che ricor­sero all’internamento psi­chia­trico per sfug­gire al car­cere e alla poli­zia. Pra­tica avviata già verso la fine della Prima Guerra Mon­diale da chi, pur sano ma dopo anni di trin­cea, pre­fe­riva dichia­rarsi pazzo, tanto che la psi­chia­tria uffi­ciale cercò un col­le­ga­mento fra la disfatta di Capo­retto e l’antropologia cri­mi­nale. Solo dei delin­quenti pote­vano gene­rare una sconfitta.
Nel libro si rileva che, sep­pur negli ospe­dali psi­chia­trici tanti erano gli iscritti Asso­ciati al Par­tito Nazio­nale Fasci­sta con un ruolo di sor­ve­glianza, infer­mie­ri­stico e dia­gno­stico, ci furono anche diret­tori di mani­comi auto­nomi che si ribel­la­rono alle diret­tive ema­nate dagli organi ammi­ni­stra­tivi, con quali pres­sioni e risul­tati sulla car­riera si può facil­mente immaginare.
È bene ricor­dare che solo con la riforma Basa­glia del 1978 finì l’epoca dei mani­comi, ma se ana­liz­ziamo le tra­gi­che sto­rie rac­con­tate da Petracci e ci rivol­giamo all’attualità, dove la dele­git­ti­ma­zione funge da giu­sti­fi­cante alle vio­la­zioni dello Stato, ci ritro­viamo a com­pren­dere alcune delle dina­mi­che dei casi Ste­fano Cuc­chi e Fran­ce­sco Mastro­gio­vanni. Dro­gato o anar­chico, peri­coli per la società, come una volta alco­liz­zato o comunista.

Nessun commento: