Mania politica, schizofrenia, paranoia, isterismo, distimia, depressione. Sono queste le diagnosi che compaiono nei documenti di polizia o nelle cartelle cliniche intestate agli oppositori politici rinchiusi in manicomio negli anni del fascismo. Diagnosi più che sufficienti a motivare la segregazione per lunghi anni o per tutta la vita. Quali ragioni medico-scientifiche hanno giustificato il loro internamento psichiatrico? Quali, invece, le ragioni dettate dalla politica del regime contro il dissenso e l'anticonformismo sociale? Molto si è scritto rispetto all'esperienza degli antifascisti in carcere o al confino, ma la possibilità che il regime abbia utilizzato anche l'internamento psichiatrico come strumento di repressione politica resta ancora poco indagata. Attraverso carte di polizia e giudiziarie, testimonianze e relazioni mediche e psichiatriche contenute nelle cartelle cliniche, Matteo Petracci ricostruisce i diversi percorsi che hanno condotto gli antifascisti in manicomio. Alcuni furono ricoverati d'urgenza secondo le procedure previste dalla legge del 1904 sui manicomi e gli alienati; altri vennero internati ai fini dell'osservazione psichiatrica giudiziaria o come misura di sicurezza; altri ancora furono trasferiti in manicomio quando già si trovavano in carcere e al confino. Dall'analisi degli intrecci tra ragioni politiche e ragioni di ordine medico emerge con forza il ruolo giocato dalla sovrapposizione tra scienza e politica nella segregazione di centinaia di donne e di uomini...
I manicomi al tempo del Duce
Un volume edito da Donzelli racconta la "biopolitica" al tempo del fascismo, e le differenze con il sistema manicomiale nazistaLuigi Giorgi Europa
La pazzia non allineata
Uno dei fulcri del discorso di Petracci è come l’ufficializzazione della pazzia da parte dell’autorità (in molte diagnosi mediche dei dissidenti si leggeva «alcolismo», eppure non se ne trovava traccia nei fascicoli della Prefettura), compromettesse la credibilità del militante, tramutando la convinzione politica in sproloquio e scandalo, e pertanto in morte civile. Spostare discordi pensieri politici alla stato di devianza sociale da manicomio serviva come strumento, veloce ed efficace, per contenere gli elementi di disturbo del fascismo.
Si poteva essere ricoverati con una sola testimonianza e la denuncia del Tribunale speciale, o per delle lettere con cui, coerentemente, si denunciavano soprusi della polizia e controlli asfissianti, che però diventavano indiscutibili manifestazioni di paranoia, come capitò all’ex sindaco di Molinella, Giuseppe Massarenti, internato al Santa Maria della Pietà di Roma. Ma la paranoia era insita nel potere: «L’apparato di controllo – fatto di agenti, informatori, spie e confidenti – contribuiva attivamente alla costruzione dell’immagine del maniaco antifascista, attraverso la raccolta e la diffusione delle notizie sui segni dello squilibrio mentale dei soggetti e sulle loro intenzioni pericolose», così nell’Archivio centrale di Stato si trovano fascicoli di «malati» con annotazioni del tipo «infermo di mente per mania politica», ma allo stesso tempo, tanti che ricorsero all’internamento psichiatrico per sfuggire al carcere e alla polizia. Pratica avviata già verso la fine della Prima Guerra Mondiale da chi, pur sano ma dopo anni di trincea, preferiva dichiararsi pazzo, tanto che la psichiatria ufficiale cercò un collegamento fra la disfatta di Caporetto e l’antropologia criminale. Solo dei delinquenti potevano generare una sconfitta.
Nel libro si rileva che, seppur negli ospedali psichiatrici tanti erano gli iscritti Associati al Partito Nazionale Fascista con un ruolo di sorveglianza, infermieristico e diagnostico, ci furono anche direttori di manicomi autonomi che si ribellarono alle direttive emanate dagli organi amministrativi, con quali pressioni e risultati sulla carriera si può facilmente immaginare.
È bene ricordare che solo con la riforma Basaglia del 1978 finì l’epoca dei manicomi, ma se analizziamo le tragiche storie raccontate da Petracci e ci rivolgiamo all’attualità, dove la delegittimazione funge da giustificante alle violazioni dello Stato, ci ritroviamo a comprendere alcune delle dinamiche dei casi Stefano Cucchi e Francesco Mastrogiovanni. Drogato o anarchico, pericoli per la società, come una volta alcolizzato o comunista.
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