mercoledì 15 ottobre 2014

Stereotipi razziali e costruzione dell'identità nazionale in Italia dagli anni del fascismo al dopoguerra

Gaia Giuliani e Cristina Lombardi-Diop: Bianco e nero. Storia dell’identità razziale degli italiani, Mondadori Education

Risvolto
Il volume ricostruisce la storia culturale e politica dell'identità razziale degli italiani dal periodo unitario al boom economico, passando per il fascismo e il dopoguerra. Esso unisce la ricerca e le competenze di due studiose italiane di formazione diversa e complementare: muovendo entrambe dagli studi culturali, dagli studi critici su razza e bianchezza e dagli studi di genere, Gaia Giuliani esamina le teorie scientifiche e politiche sulla razza al fine di tracciare i processi di identificazione razziale in atto nel discorso pubblico dall'Unità al 1936; Cristina Lombardi-Diop prende in considerazione le pratiche discorsive medico-scientifiche, la letteratura coloniale e l'iconografia legata ai consumi e alle pratiche del quotidiano allo scopo di mappare i processi di razzizzazione che dal 1936 al 1965 si affermano nella cultura diffusa e di massa. L'obiettivo del volume è quello di fornire uno strumento interpretativo fondamentale per la comprensione delle radici storiche e culturali e delle forme attuali del razzismo in Italia. 

L’invenzione del colore 

Saggi. «Bianco e nero. Storia dell’identità razziale degli italiani», il libro di Gaia Giuliani e Cristina Lombardi-Diop che smaschera l'invenzione di una mediterraneità senza métissage

Liliana Ellena, il Manifesto 15.10.2014 

 Un gusto non troppo sof­fuso di melan­co­nia post­co­lo­niale per­vade gli stra­sci­chi lasciati dalle cele­bra­zioni dei 150 anni dell’unità nazio­nale: l’idea secondo cui la «nostra» cul­tura nazio­nale, a dif­fe­renza di altri paesi, sarebbe stata «fino al recente arrivo di immi­grati» straor­di­na­ria­mente omo­ge­nea per quanto riguarda il colore della pelle, la reli­gione e pure la lin­gua. Un para­digma iden­ti­ta­rio che mostra come, nono­stante la spe­ci­fica osses­sione del dibat­tito ita­liano per l’identità nazio­nale, restino radi­cate e per­si­stenti le resi­stenze a con­si­de­rarne le rela­zioni con il raz­zi­smo.

Appare quindi una sfida e una scom­messa, fin dal titolo, il volume di Gaia Giu­liani e Cri­stina Lombardi-Diop Bianco e Nero. Sto­ria dell’identità raz­ziale degli ita­liani (Le Mon­nier, pp.214, euro 18). L’obiettivo espli­cito è quello di rilan­ciare gli esiti più inte­res­santi degli studi che hanno esplo­rato il nesso costi­tu­tivo tra appar­te­nenza nazio­nale e imma­gini dell’alterità, per met­tere a fuoco le forme di «auto­ra­zia­liz­za­zione» che hanno model­lato tanto la dimen­sione sta­tuale dell’identità nazio­nale quanto le rap­pre­sen­ta­zioni dif­fuse di quella ita­liana, dal periodo uni­ta­rio fino ai primi decenni repub­bli­cani.
In par­ti­co­lare, il volume indi­vi­dua con­ti­nuità e rot­ture dello spe­ci­fico caso ita­liano nelle flut­tua­zioni che si sono mate­ria­liz­zate attorno alla linea del colore. Con gli occhi ben pun­tati sull’eclatante visi­bi­lità di cui sono inve­stiti i corpi non-bianchi nei con­flitti del pre­sente, le due stu­diose si chie­dono quali siano le genea­lo­gie sto­ri­che e poli­ti­che della norma, invi­si­bile per­ché natu­ra­liz­zata, che fa coin­ci­dere bian­chezza e ita­lia­nità e dei voca­bo­lari attra­verso cui si è arti­co­lata e con­ti­nua ad arti­co­larsi.
Nel cor­poso sag­gio che apre il volume, Gaia Giu­liani indi­vi­dua nel periodo che va dalla nascita dello stato libe­rale al 1936–37 un pas­sag­gio cru­ciale per com­pren­dere come i con­fini della cit­ta­di­nanza emer­gano da una defi­ni­zione dell’appartenenza alla nazione per con­tra­sto con spazi non-bianchi, iden­ti­fi­cati prima con il Sud interno e poi con le colo­nie. Le ten­sioni pro­prie dello stato libe­rale tra rige­ne­ra­zione nazio­nale e que­stione meri­dio­nale, da una parte, e tra migra­zioni e colo­nia­li­smo dall’altra, diven­tano gli ingre­dienti di un pro­cesso di «sbian­ca­mento» che cul­mina nell’idea fasci­sta di una medi­ter­ra­neità bianca.
Giu­liani insi­ste qui, in par­ti­co­lare, sul ruolo gio­cato dalla rifor­mu­la­zione delle teo­rie medi­ter­ra­ni­ste di fine otto­cento, nel for­nire un fon­da­mento «scien­ti­fico» all’idea tota­li­ta­ria della nazione pro­pu­gnata dal fasci­smo. Nell’immediato dopo­guerra è pro­prio la cen­tra­lità di que­sta matrice a vei­co­lare con­tem­po­ra­nea­mente la veloce liqui­da­zione della svolta aria­ni­sta suc­ces­siva al 1937 e l’invisibilizzazione del raz­zi­smo, secondo la fer­rea logica per cui l’italiano medi­ter­ra­neo «non può per sua natura essere raz­zi­sta: par­te­cipa della medi­ter­ra­neità di molti altri popoli e ter­ri­tori, e allo stesso tempo defi­ni­sce gli ita­liani, a pre­scin­dere dalla pig­men­ta­zione della loro pelle, come più bian­chi di tutti gli altri paesi al limite dell’Europa o non euro­pei».
Nella seconda parte del volume Cri­stina Lombardi-Diop, spo­sta l’attenzione sul pas­sag­gio tra fasci­smo e primi decenni dell’Italia repub­bli­cana, indi­vi­duando nei saperi e nelle pra­ti­che legate all’igiene e alla cura del corpo, un ter­reno di con­ver­genza tra rap­pre­sen­ta­zioni delle bian­chezza e pro­cessi di moder­niz­za­zione. L’accesso ai con­sumi e il dif­fon­dersi dell’industria cul­tu­rale declina sul ter­reno depo­li­ti­ciz­zato della sfera dome­stica, del corpo, delle pra­ti­che quo­ti­diane quel pro­cesso di sbian­ca­mento degli ita­liani che aveva ispi­rato le cam­pa­gne fasci­ste di boni­fica della razza sul ter­ri­to­rio nazio­nale e nelle colo­nie.
In que­sto senso par­ti­co­lar­mente signi­fi­ca­tiva è l’analisi dei codici sim­bo­lici delle pub­bli­cità dei pro­dotti di bel­lezza e per la casa, dai Mani­fe­sti di Gino Boc­cas­sile degli anni ’50 al Caro­sello degli anni ses­santa e set­tanta. Cali­mero, il pul­cino nero icona della pub­bli­cità del deter­sivo Ava, è forse l’esempio più ecla­tante della com­bi­na­zione tra la stig­ma­tiz­za­zione della nerezza asso­ciata a impu­rità, spor­ci­zia e con­ta­gio con i motivi anti­con­ta­dini, anti­me­ri­dio­nali e pater­na­li­stici che domi­na­vano la cul­tura dif­fusa dell’Italia indu­striale negli anni del boom eco­no­mico e delle migra­zioni interne.
Attra­verso l’interiorizzazione di modelli di com­fort per­so­nale e dome­stico, la linea del colore con­tri­bui­sce a model­lare i pro­cessi di mobi­lità ter­ri­to­riale e quelli della mobi­lità sociale segna­lando «uno spo­sta­mento nella rap­pre­sen­ta­zioni raz­ziali che si allon­ta­nano dalle cate­go­rie bio­lo­gi­che e si avvi­ci­nano a una com­pren­sione più intima e pri­vata della posi­zione di cia­scuno nel pro­getto morale e nazio­nale della moder­niz­za­zione».
Nel met­tere in ten­sione corpo della nazione e disci­pli­na­mento bio­po­li­tico dei corpi indi­vi­duali, il volume evi­den­zia come la linea del colore si mate­ria­lizzi all’intersezione di para­digmi diversi di natu­ra­liz­za­zione delle dif­fe­renze legate al corpo. Il genere diventa qui un ter­reno cru­ciale per indi­vi­duare le linee mobili attra­verso cui l’identità raz­ziale degli ita­liani è pro­dotta e con­tem­po­ra­nea­mente resa invi­si­bile da altre forme di cate­go­riz­za­zione sociale. I rife­ri­menti ai modelli visivi ed este­tici che defi­ni­scono gli ste­reo­tipi di fem­mi­ni­lità e masco­li­nità bianca e medi­ter­ra­nea, così come la trama raz­zia­liz­zata dei mec­ca­ni­smi di con­trollo e nazio­na­liz­za­zione del corpo delle donne, indi­vi­duano nella dif­fe­renza ses­suale il prin­ci­pale ter­reno attra­verso cui la razza e il raz­zi­smo si mani­fe­stano nel con­te­sto ita­liano.
Uno dei prin­ci­pali meriti del volume, e uno dei suoi punti di forza, è di offrire una chiave inter­pre­ta­tiva di lungo periodo che rie­sce a far dia­lo­gare effi­ca­ce­mente due ambiti di inda­gine finora lar­ga­mente sepa­rati. Il primo è rap­pre­sen­tato da quel patri­mo­nio di ricer­che che negli ultimi anni ha riscat­tato la sto­ria delle migra­zioni e del colo­nia­li­smo ita­liano da una posi­zione mar­gi­nale per col­lo­carle al cen­tro delle dina­mi­che del nation buil­ding ita­liano. Il secondo è ricon­du­ci­bile a quell’insieme di approcci e gri­glie inter­pre­ta­tive che in ambito anglo­sas­sone ha carat­te­riz­zato l’emersione dei whi­te­ness stu­dies, un’area tra­sver­sale di ricerca — cono­sciuta in Ita­lia prin­ci­pal­mente gra­zie al lavoro di tra­du­zione di Giu­liani — che ha rifor­mu­lato le teo­rie cri­ti­che della razza assu­mendo come oggetto pri­vi­le­giato l’analisi della costru­zione sto­rica, cul­tu­rale e poli­tica del «pri­vi­le­gio» bianco.
A muo­vere que­sto dia­logo è l’urgenza di iden­ti­fi­care stru­menti ana­li­tici ade­guati a leg­gere nei con­flitti del pre­sente un pro­blema con­tem­po­ra­nea­mente sto­rico e poli­tico in grado di sol­le­ci­tare nuove mappe dell’archivio delle nostre iden­tità. Pro­prio su que­sto ter­reno la scom­messa for­mu­lata dalle autrici del volume è stata rilan­ciata in que­sti mesi dalla nascita di InteR­GRace (Gruppo inter­di­sci­pli­nare e inter­se­zio­nale su razza e e razzismi/Interdisciplinary Research Group on Race and Racism), di cui Giu­liani è una delle fon­da­trici.
InteR­GRace è una rete di pro­du­zione, dif­fu­sione e scam­bio a livello nazio­nale e inter­na­zio­nale che, arti­co­lan­dosi nella duplice veste di gruppo di ricerca acca­de­mica e di asso­cia­zione rivolta ad un pub­blico non spe­cia­li­sta, si pro­pone come labo­ra­to­rio di tra­du­zione e con­ta­mi­na­zione tra domande poli­ti­che e sfide teoriche.

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