lunedì 13 ottobre 2014
Una rilettura della morte di Pietro Tresso che non piace ai trotzkisti
Roberto Gremmo: La tragedia di “ Blasco”. Pietro Tresso coi partigiani nella "Montagne Protestante" e nel Meygal, Storia Ribelle, pagg. 192, euro 20
Risvolto
Da secoli l'altopiano del Velay in Alta Loira è una terra di rifugio per comunità di Ugonotti protestanti.
Proprio quest isola di pace, dove avevano trovato aiuto ogni sorta di
perseguitati, il pomeriggio del 22 aprile 1944 fu teatro d'un orrenda
strage compiuta dai 'collaborazionisti' di Vichy e dai tedeschi che
nella borgata di Montbuzat uccisero il 'maquisard' siciliano Salvatore
Iannello ed altri suoi compagni, assassinati con degli incolpevoli
paesani.
Testimone diretto dell'eccidio fu il pastore protestante Daniel Besson
che nel 1992 in un qualificato convegno di studi rivelo una circostanza
di straordinaria importanza: uno dei caduti sotto il piombo
nazi-petaista sarebbe stato l'italiano Pietro Tresso.
Senza saperlo, con quest'affermazione il candido uomo di Fede cancellava
centinaia di pagine scritte per raccontare, senza veri dati di fatto,
che Tresso detto "Blasco" sarebbe stato assassinato in una formazione di
'maquis' da implacabili e crudeli sicari al servizio di Stalin.
Nato a Magre di Schio il 5 gennaio 1893, Tresso era stato uno dei più
importanti dirigenti del Partito Comunista d'Italia da cui era stato
espulso pretestuosamente nel 1930 per aver coraggiosamente denunciato le
malversazioni della famiglia Togliatti e l'avventurismo di "Ercoli".
Nelle difficili condizioni delle migrazione in Francia, "Blasco" aveva
capeggiato l'opposizione comunista che si richiamava a Trotsky ed era
stato fra i fondatori della IV° Internazionale.
Arrestato a Marsiglia grazie allo spionaggio italiano, era stato
rinchiuso dal regime Vichy nel carcere del Puy da dove era fuggito ma si
erano perse le tracce e la sua fine era stata considerata un efferato
delitto stalinista.
L’ultimo segreto del partigiano chiamato Blasco
Era il nome di battaglia di Pietro Tresso compagno di Gramsci e Bordiga Un libro riapre il caso della sua morte Ignazio Silone era convinto che il mandante fosse Stalin
di Massimo Novelli Repubblica 13.10.14
Pietro Tresso (1893- 1943) fu tra i fondatori del Pcd’I ma fu espulso
dal partito per le sue simpatie trotskiste dopo la svolta stalinista
CHI uccise Pietro Tresso? Fu un ordine di Stalin o furono i fascisti?
Nato nel 1893 a Magrè di Schio (Vicenza), Tresso fu uno dei fondatori
del Partito Comunista d’Italia con Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga.
Negli anni Trenta, in rotta di collisione con il Pcd’I e con l’Unione
Sovietica di Stalin, divenne in Francia uno dei più autorevoli
rappresentanti della sinistra comunista e del movimento trotskista della
IV Internazionale. A lungo reticenze e silenzi hanno occultato la
verità sulla morte, avvenuta, a quanto pare, nell’ottobre del 1943 tra
le montagne dell’Alta Loira, che “Blasco”, il suo nome di battaglia,
aveva raggiunto con un gruppo di partigiani dopo essere evaso da un
carcere del regime di Vichy. Nel dopoguerra si cominciò a ipotizzare che
a ucciderlo fossero stati dei maquisard italiani o francesi,
probabilmente su ordine di Mosca e forse per volere di Palmiro
Togliatti. Ignazio Silone, compagno della sorella della donna di Tresso,
fu tra i primi a denunciarlo. La pubblicazione del volume Meurtres au
maquis dello storico Pierre Broué, biografo di Trotsky, e di Raymond
Vacheron, uscito negli anni Novanta, ha reso assai credibile la pista
che portava agli assassini stalinisti.
Ora però il libro La tragedia di “ Blasco” del ricercatore storico
piemontese Roberto Gremmo, edito da Storia Ribelle (pagg. 192, euro 20),
riapre il caso: Tresso potrebbe essere caduto nell’aprile del 1944,
sotto il piombo dei collaborazionisti di Vichy e dei nazisti. L’autore
ricostruisce la vicenda sulla base di alcune testimonianze poco note o
inedite. In particolare quella del pastore protestante Daniel Besson,
che all’epoca dei fatti si trovava nell’altipiano del Velay, la zona in
cui Blasco aveva trovato rifugio. Il pasteur parlò di Tresso durante un
convegno sulla Resistenza nel 1992 un anno prima della sua morte.
Affermò che il trotskista italiano molto verosimilmente era stato
massacrato, insieme ad altri maquisard , dai fascisti e dai tedeschi.
Sostenne inoltre che sul cippo eretto lassù, in memoria dei partigiani
uccisi nell’aprile del ‘44, al posto di un certo Zowoik Fèlix, indicato
come vittima dall’identità incerta, avrebbe dovuto esserci il nome di
Blasco. Le cose sono andate veramente così? La versione non convince
Roberto Massari, editore e scrittore, a lungo militante dei gruppi della
IV Internazionale e amico di Alfonso Leonetti, un’altra grande figura
di comunista eretico che non aveva dubbi sulla matrice stalinista della
morte di Tresso, come non li ebbe Pia Carena, la sua compagna, già
collaboratrice di Gramsci a L’Ordine Nuovo. Spiega Massari: «Mi pare che
la testimonianza del pastore Besson, che dovrebbe sorreggere il tutto,
non valga granché, soprattutto perché è frutto di un sentito dire, ed è
arrivata, peraltro, quasi cinquant’anni le tragiche vicende.». Il
ricercatore piemontese replica: «Non ho tesi preconcette o verità
assolute. Mi sono soltanto imbattuto in alcune testimonianze, non solo
quella del pastore, che andavano fatte conoscere. Sulla tragedia di
Blasco, in ogni caso, metto sempre diversi punti interrogativi».
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