martedì 11 novembre 2014

Bifismi, accelerazionismi e altri negrismi


Mat­teo Pasqui­nelli: Algo­ritmi del capi­tale. Accelerazionismo, macchine della conoscenza e autonomia del comune, ombre corte

Risvolto

L'immaginario politico e l'idea di futuro sembrano oggi cancellati dall'imperativo dell'austerity. Ma quale sarebbe il vero passaggio rivoluzionario, si chiedevano un tempo Deleuze e Guattari: ritirarsi dal mercato globale o, al contrario, andare ancora più lontano, "accelerare il processo"? L'economia è in crisi, ma la tecnologia continua a evolvere sotto i nostri occhi: i social network sono sempre più pervasivi, la logistica delle merci sempre più veloce e digitalizzata, servizi segreti e finanza usano algoritmi sempre più sofisticati per analizzare e prevedere i comportamenti di massa. E se l'impasse politica fosse legata all'incapacità di comprendere le nuove astrazioni del capitale e del lavoro, gli algoritmi che controllano le relazioni sociali tanto quanto il tempo collettivo congelato dalla finanza in futures e derivati? Un nuovo nomos tecnologico sembra prendere forma a livello planetario, dove i poteri tradizionali degli Stati nazione si intrecciano con le grandi corporation della rete. Un ex direttore della Cia lo ha riassunto in modo cinico ma efficace: "Uccidiamo persone sulla base dei metadati". Rispondendo al recente Manifesto accelerazionista e rilanciando la tesi del capitalismo cognitivo, gli autori del presente libro sostengono che lo sviluppo tecnologico possa essere ridisegnato in senso rivoluzionario, che l'astrazione più estrema dell'intelligenza debba diventare arma politica e che il futuro sia da riconquistare come terreno visionario.


Dispositivi politici per rompere le maglie strette della Rete 

Algoritmi del capitale. I social network e i Big Data sono da considerare gli esempi che meglio di altri illustrano le tendenze del capitalismo

Benedetto Vecchi, 11.11.2014 

A Mat­teo Pasqui­nelli va rico­no­sciuto il merito di una costante atten­zione cri­tica verso la Rete. E in par­ti­co­lare, da alcuni anni a que­sta parte, sul legame ormai impre­scin­di­bile tra le atti­vità in Rete e i pro­cessi di pro­du­zione della ric­chezza. Sia che si parli dei «mec­ca­ni­smi di cat­tura» messi in campo dalle imprese che del dop­pio legame tra finanza, net-economy e coo­pe­ra­zione sociale den­tro e fuori la Rete, Pasqui­nelli ha lavo­rato alla ela­bo­ra­zione di un’adeguata cas­setta per gli attrezzi per la cri­tica del «capi­ta­li­smo da espro­pria­zione».
Di que­sta prassi teo­rica sono testi­moni i libri Ani­mal Spi­rits: A Bestiary of the Com­mons (Nai), Media Acti­vism: Stra­te­gie e pra­ti­che della comu­ni­ca­zione indi­pen­dente (Deri­veAp­prodi), non­ché i nume­rosi saggi pub­bli­cati su rivi­ste fran­cesi, por­to­ghesi, spa­gnole, tede­sche e sta­tu­ni­tensi. È merito suo anche la tra­du­zione e dif­fu­sione nei siti Inter­net ita­liani del «mani­fe­sto per l’accelerazionismo», testo di un gruppo di intel­let­tuali e mili­tanti euro­pei dal quale prende avvio que­sto volume col­let­tivo sugli Algo­ritmi del capi­tale (ombre corte). Un mani­fe­sto che ruota attorno alla cen­tra­lità della mac­china infor­ma­tica nello svi­luppo eco­no­mico e nella vita sociale. 
Già per­ché i com­pu­ter e le rete che li col­le­gano hanno una par­ti­co­la­rità che spesso viene posta sullo sfondo della rifles­sione e della ana­lisi del capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo: il com­pu­ter è infatti una «mac­china uni­ver­sale», che può cioè svol­gere più ope­ra­zioni a seconda di come pos­sono pro­gram­mate. Può infatti pre­sie­dere l’automazione di una fab­brica, svol­gere fun­zioni ammi­ni­stra­tive, ma può anche faci­li­tare la comu­ni­ca­zione sociale in quanto stru­mento comu­ni­ca­tivo indi­vi­duale o come media. Que­sta sua «uni­ver­sa­lità» ha due con­se­guenze desta­bi­liz­zanti per le gerar­chie sociali: la cen­tra­lità della com­po­nente imma­te­riale (il soft­ware) e l’accelerazione dei pro­cessi lavo­ra­tivi e comu­ni­ca­tivi ali­men­tano infatti una tra­sfor­ma­zione con­ti­nua delle rela­zioni sociali, che può essere colta, non nella sua cri­stal­liz­za­zione quanto nel suo divenire. 
Que­sto non signi­fica che le mac­chine non abbiano più nes­sun ruolo. Con­ti­nuano, ovvia­mente, a svol­gere una fun­zione di governo del lavoro vivo, defi­nendo inten­sità, velo­cità e divi­sione tec­nica del pro­cesso pro­dut­tivo, ma il cen­tro nella pro­du­zione della ric­chezza si spo­sta sem­pre più nella defi­ni­zione dei pro­grammi infor­ma­tici che danno il ritmo e met­tono in forma le rela­zioni tra mac­chine e essere umano. Allo stesso tempo, con­sen­tono di accu­mu­lare e ela­bo­rare infor­ma­zioni e dati indi­spen­sa­bili ai pro­cessi di valo­riz­za­zione del capi­tale, sia come merci da ven­dere in forma aggre­gata sia come «cono­scenza» gene­rica da usare nell’innovazione dei pro­dotti e dei pro­cessi lavo­ra­tivi. Esem­pli­fi­ca­tivi a que­sto pro­po­sito sono i social net­work e lo svi­luppo dei Big Data, veri e pro­pri labo­ra­tori dove pro­du­zione di merci e com­ple­men­tare alla pro­du­zione di con­te­nuti infor­ma­tivi, a loro volta «impac­chet­tati» e «spac­chet­tati» per ali­men­tare altri set­tori pro­dut­tivi. Ma anche realtà dove le mac­chine svol­gono un ruolo ancil­lare rispetto la pro­du­zione dei con­te­nuti, merce dif­fu­sis­sima, ma resa scarsa dalle norme domi­nanti sulla pro­prietà intel­let­tuale, che legit­ti­mano l’espropriazione di quel comune che è la comu­ni­ca­zione sociale.
Il valore del volume curato da Mat­teo Pasqui­nelli non sta però solo nel ripro­porre temi e nodi teo­rici del cosid­detto capi­ta­li­smo cogni­tivo. Rile­vanti sono infatti le domande che alcuni degli autori pon­gono e anche le rispo­ste che ten­tano di ela­bo­rare. Quel che emerge nei pro­cessi di «astra­zione» dei pro­cessi pro­dut­tivi e la rile­vanza del com­pu­ter in quanto mac­china uni­ver­sale è l’apparente costi­tu­zione di una «tota­lità» che non con­sente con­trad­di­zioni e dun­que la for­ma­zione di un «sog­getto» poli­tico anta­go­ni­sta. Alla tec­no­strut­tura del capi­tale non c’è via d’uscita, se non la sot­tra­zione e la costi­tu­zione di spazi sociali libe­rati dalla logica del pro­fitto che hanno tut­ta­via l’ambizione di garan­tire il red­dito a chi vi par­te­cipa. Que­sta è una delle derive affron­tate nel volume. Una visione tut­ta­via par­ziale e pro­vo­ca­to­ria­mente impo­li­tica, che com­pare qua e là nelle pagine del libro, ma che ha comun­que forti echi nei movi­menti sociali. Al moloch della pro­du­zione capi­ta­li­stica viene tal­volta con­trap­po­sta un «fare società» che prende con­gedo dalle strut­ture di domi­nio e governo capitalista.
Punto di forza di tale ela­bo­ra­zione è la mol­ti­pli­ca­zione di figure sociali che pas­sano con­ti­nua­mente il con­fine tra vita e lavoro, asse­gnando a quest’ultimo una dimen­sione coer­ci­tiva che nega ogni pos­si­bile pro­cesso di libe­ra­zione. Punto debole è il rifiuto di con­si­de­rare il capi­ta­li­smo come un rap­porto sociale che defi­ni­sce gerar­chie e rap­porti di forza (e dun­que di potere) nella società. Un rap­porto sociale che non si esau­ri­sce sul posto di lavoro, ma che inve­ste l’insieme delle rela­zioni sociali. Il «fare società» auspi­cato dai movi­menti sociali è desti­nato a esem­pli­fi­care uno «stile di vita» che fun­zione come motore sia nella sfera del con­sumo che nei pro­cessi di inno­va­zione sociale. 
Da que­sto punto di vista, la sot­tra­zione al moloch della pro­du­zione è desti­nata ad ali­men­tare pro­cessi di spo­li­ti­ciz­za­zione dell’agire sociale: un esito disa­stroso per i movi­menti sociali, che pun­tano invece a una poli­ti­ciz­za­zione dell’agire sociale. Allo stesso tempo non è dato per scon­tato che una mag­giore socia­liz­za­zione e auto­ma­zione del pro­cesso pro­dut­tivo garan­ti­sca la for­ma­zione delle con­di­zioni di una fuo­riu­scita dal capi­ta­li­smo. La realtà, infatti, atte­sta che pro­prio in que­sta con­tin­genza mostra una forma di dispo­ti­smo nelle rela­zioni sociali che tutto fa pre­sa­gire, eccetto la fuo­riu­scita dal capitalismo. 
Non si tratta dun­que, atten­dere che lo svi­luppo capi­ta­li­stica rag­giunga il suo acme affin­ché si creino le con­di­zioni per il suo supe­ra­mento, né di ritrarsi di fronte la ten­denza «tota­li­ta­ria» del pro­cesso pro­dut­tivo. Più rea­li­sti­ca­mente, agli «algo­ritmi del capi­tale» vanno con­trap­po­sti dispo­si­tivi poli­tici tesi a destrut­tu­rare la gab­bia del lavoro sala­riato. Nei quali non c’è un solo pro­ta­go­ni­sta — il kno­w­ledge wor­kers o il pre­ca­rio o l’erede metro­po­li­tano dell’operaio massa — ma l’insieme delle figure lavo­ra­tive. E’ que­sta la sfida da gio­care, affin­ché si deter­mini l’auspicato errore di sistema degli algo­ritmi del capitale.



Il diagramma di flusso della libertà 
Tempi presenti. Il volume collettivo «Gli algoritmi del capitale» affronta il nodo del rapporto degli esseri umani con le macchine all’interno della produzione di ricchezza e della comunicazione on-line. Una discussione a più voci a partire dal «manifesto per una politica accelerazionista»

Andrea Fumagalli, il Manifesto 11.11.2014 

Il rap­porto tra mac­chine e capi­ta­li­smo è stret­ta­mente con­nesso e impre­scin­di­bile. Il capi­ta­li­smo come sistema di pro­du­zione (accu­mu­la­zione) e di orga­niz­za­zione del lavoro (comando) nasce con la nascita della mac­china moderna. L’evoluzione del capi­ta­li­smo si può descri­vere come pro­cesso di evo­lu­zione della strut­tura mac­chi­nica. Gil­les Deleuze nel 1990, in un’intervista con Toni Negri, affer­mava: «Ad ogni tipo di società (…) si può far cor­ri­spon­dere un tipo di mac­china: le mac­chine sem­plici o dina­mi­che per le società di sovra­nità, le mac­chine ener­ge­ti­che per quelle disci­pli­nari, le ciber­ne­ti­che e i com­pu­ter per le società di con­trollo. Ma le mac­chine non spie­gano nulla, si devono invece ana­liz­zare i con­ca­te­na­menti col­let­tivi di cui le mac­chine non sono che un aspetto». «Le mac­chine non spie­gano nulla», diceva Deleuze. A ragione, dal momento che l’evoluzione del capi­ta­li­smo è det­tato dalla dia­let­tica del rap­porto sociale tra mac­china (capi­tale) e lavoro, un rap­porto, come ci ricor­dava il Tronti di Ope­rai e capi­tale in cui il capi­tale (a dif­fe­renza del lavoro) non può pre­scin­dere dal lavoro vivo umano. Ma forse, anche a torto, se ana­liz­ziamo la recente evo­lu­zione del «mac­chi­nico», neo­lo­gi­smo che, svi­lup­pato dal Gil­bert Simon­don e dallo stesso Deleuze, ci è utile per discu­tere cri­ti­ca­mente la pos­si­bile (auspi­ca­bile?) meta­mor­fosi del dive­nire umano delle mac­chine. 

La varia­bile del tempo 
Que­sto è il tema di fondo che innerva la rac­colta di saggi, curata da Mat­teo Pasqui­nelli, Gli Algo­ritmi del Capi­tale, (Ombre Corte, pp. 190, Euro 18,00). Si tratta di un con­tri­buto molto impor­tante e utile per­ché, nel solco della meto­do­lo­gia d’analisi che viene dall’operaismo, si cerca di inda­gare quella che pos­siamo defi­nire in ter­mini mar­xiani la nuova «com­po­si­zione orga­nica del capi­tale». Il tema della tra­sfor­ma­zione delle mac­chine nel pas­sag­gio dal capi­ta­li­smo for­di­sta a quello bio­co­gni­tivo è stato negli ultimi anni messo un po’ da parte a van­tag­gio della dove­rosa ana­lisi del dive­nire della com­po­si­zione tec­nica del lavoro. Non si vuole con ciò affer­mare che non sia stato affron­tato, tutt’altro. Il sag­gio di Mat­teo Pasqui­nelli «Capi­ta­li­smo mac­chi­nico e plu­sva­lore di rete. Note sull’economia poli­tica della mac­china di Turing» né è la con­ferma. Con estrema chia­rezza, Pasqui­nelli rico­strui­sce il filo rosso che dalla mac­china indu­striale, perno della pro­du­zione mate­riale, porta alla mac­china di Turing, emblema della mac­china vir­tuale, perno della valo­riz­za­zione del gene­ral intel­lect. 
Il tema delle tra­sfor­ma­zione della mac­chine nel mac­chi­nico non può essere ana­liz­zato se non in rela­zione al tempo e al lavoro vivo ad esso connesso. 
La varia­bile tempo e soprat­tutto la costante acce­le­ra­zione del tempo è una delle chiave di volta dell’organizzazione capi­ta­li­stica della pro­du­zione. Mac­china e tempo sono sem­pre stret­ta­mente con­nessi e il pro­gresso tec­no­lo­gico non è altro che la ten­denza alla ridu­zione del tempo di pro­du­zione. Ma se tale obiet­tivo ai tempi del cro­no­me­tro della fab­brica si poteva coniu­gare con una pos­si­bile ridu­zione anche del tempo di lavoro (come la sto­ria del Nove­cento ci inse­gna), sep­pur a sca­pito dell’equilibrio ambien­tale, oggi l’accelerazione indotta dai tempi del com­pu­ter non solo non può evi­tare la cata­strofe ambien­tale ma può anche indurre quella sociale. 
Il tema dell’acce­le­ra­zio­ni­smo viene affron­tata nella prima parte del volume, con la pre­sen­ta­zione per la prima volta in ita­liano del Mani­fe­sto per una poli­tica acce­le­ra­zio­ni­sta di Alex Wil­liams e Nick Srni­cek (Mpa). La tesi è sug­ge­stiva. Par­tendo dalla con­si­de­ra­zione che il capi­ta­li­smo non è altro che il pro­cesso di acce­le­ra­zione dell’automazione (con­cetto ben diverso da velo­cità, come sot­to­li­nea Toni Negri nel suo con­tri­buto: il primo indica una ten­denza dina­mica, la seconda una varia­bile sta­tica), oggi carat­te­riz­zata dalla tec­no­lo­gie digi­tali, cer­care di inse­guirlo è inu­tile e inol­tre perdente. 

Pia­ni­fi­ca­tori postcapitalisti 
Il motivo sta che que­sta acce­le­ra­zione si basa oggi, a dif­fe­renza del pas­sato, sulla com­pres­sione e comando della potenza del lavoro cogni­tivo. Il pro­cesso di ten­den­ziale insta­bi­lità e quindi auto­di­stru­zione dello stesso capi­ta­li­smo non si fron­teg­gia ponendo bar­riere alla sua folle corsa, bensì ope­rando per «libe­rare le forze pro­dut­tive latenti». A tal fine, è neces­sa­rio per la sini­stra «svi­lup­pare un’egemonia sia nella sfera delle idee che nella sfera delle piat­ta­forme mate­riali» al fine di creare le pre­messe per «una pia­ni­fi­ca­zione post-capitalista». (Si noti bene, come ci ricorda nel suo con­tri­buto Dier-Whiteford, che tale ten­ta­tivo aveva già avuto luogo ai tempi dell’Unione Sovie­tica e del Cile di Allende, ma ancora in un con­te­sto tay­lo­ri­sta). «Per far que­sto, la sini­stra deve appro­fit­tare di ogni pro­gresso tec­no­lo­gico e scien­ti­fico reso pos­si­bile dalla società capi­ta­li­sta». Tre sono gli stru­menti con­creti: «costruire un’infrastruttura intel­let­tuale», «pro­muo­vere una riforma dei mezzi di comu­ni­ca­zione su larga scala» e infine, «rico­struire varie forme di potere di classe». 
Toni Negri e Franco Berardi «Bifo» discu­tono dell’acce­le­ra­zio­ni­smo par­tendo da due punti diversi, sep­pur com­ple­men­tari. Negri — pur apprez­zando l’innovatività del mani­fe­sto nel rico­no­scere il supe­ra­mento irre­ver­si­bile del for­di­smo, la neces­sità di agire all’interno di una com­po­si­zione tecno-politica del capi­tale e l’esigenza di indi­vi­duare nuove moda­lità di orga­niz­za­zione del lavoro cogni­tivo — vi nota un eccesso di deter­mi­ni­smo tec­no­lo­gico che «sot­to­va­luta (…) la dimen­sione coo­pe­ra­tiva della pro­du­zione (e tanto più la pro­du­zione di sog­get­ti­vità), (…) le tra­sfor­ma­zioni antro­po­lo­gi­che della forza-lavoro». Su que­sta linea, in modo molto più netto, si pone Bifo: «(Il mpa) sot­to­va­luta com­ple­ta­mente gli osta­coli e i limiti che osta­co­lano e dirot­tano il pro­cesso di sog­get­ti­va­zione» sino a dar corpo a una nuova forma di «imma­nen­ti­smo tec­no­lo­gico»: «la posi­zione acce­le­ra­zio­ni­sta (…) è una mani­fe­sta­zione estrema della con­ce­zione imma­nen­ti­sta», in quanto «il loro mate­ria­li­smo radi­cale implica la natura imma­nente della pos­si­bi­lità, ma que­sta imma­nenza del pos­si­bile non implica una neces­sità logica». Qui, l’inguaribile otti­mi­smo di Negri si scon­tra con il pes­si­mi­smo cosmico di Bifo. 

Non solo social media 
Sul tema Mat­teo Pasqui­nelli cerca di svi­lup­pare una media­zione che apre alle altre due parti di cui si com­pone il libro, recu­pe­rando il con­cetto mar­xiano di astra­zione. Lavoro e capi­tale si com­bi­nano con­ti­nua­mente ad un livello cre­scente di astra­zione, reso pos­si­bile dalla tra­sfor­ma­zione della mac­china in algo­ritmi lin­gui­stici. Ed è pro­prio il lin­guag­gio che innerva sia il lavoro vivo che il lavoro morto a rap­pre­sen­tare la chiave di volta nel pas­sag­gio dal for­di­smo al capi­ta­li­smo del gene­ral intel­lect. Non si tratta solo di lin­guag­gio umano, ma di lin­guag­gio arti­fi­ciale, in grado di defi­nire la base del pro­cesso di accu­mu­la­zione e quindi di valo­riz­za­zione. La sfida poli­tica diventa così la neces­sità di riap­pro­priarsi del lin­guag­gio. Detto in altri ter­mini, riap­pro­priarsi del «comune» (al sin­go­lare) pro­dotto dalla coo­pe­ra­zione sociale a tutti i livelli del pro­cesso eco­no­mico. Su que­sto tema si sof­fer­mano Mer­ce­des Bunz e Ste­fano Har­vey riguardo il lavoro, men­tre Tiziana Ter­ra­nova affronta invece il ruolo svolto dai social media. Nella terza parte del volume, signi­fi­ca­ti­va­mente inti­to­lata «L’autonomia del comune», Carlo Ver­cel­lone si inter­roga sulla neces­sità di ride­fi­nire un nuovo wel­fare ade­guato a que­ste tra­sfor­ma­zione e Chri­stian Marazzi ana­lizza il ruolo del lin­guag­gio nei mer­cati finan­ziari e la pos­si­bi­lità di fon­dare una «moneta del comune».

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