martedì 18 novembre 2014

Dunque c'è una guerra del Califfato contro il resto del mondo, non un'offensiva neoimperialista...

ISIS. Lo Stato del terrore
Per qualche tempo, questa giornalista - sedicente economista, adesso "analista" - ha avuto un certo credito anche a sinistra, il che è del tutto normale, evidentemente [SGA].

Loretta Napoleoni: Isis. Lo Stato del terrore, Feltrinelli, pagine 144, euro 13

Risvolto
Il primo libro che racconta la scioccante verità sul gruppo terroristico che sfida l’Occidente in nome del Califfato. “Secondo molti sostenitori, il principale obiettivo dello Stato Islamico è rappresentare per i musulmani sunniti ciò che Israele è per gli ebrei: uno stato nella loro antica terra, rioccupata in tempi moderni; un potente stato confessionale che li protegga ovunque essi si trovino.”

Le decapitazioni dei prigionieri. La pulizia etnico-religiosa nelle zone occupate dell’Iraq. La proclamazione di un Califfato. Queste sono le cose che i media hanno cominciato a raccontarci nell’estate 2014 sull’Isis, i pochi frammenti di un mosaico nuovo e terribile, a cui il mondo non era pronto.
Queste milizie hanno conquistato un territorio più vasto del Texas nel cuore del Medio Oriente, hanno dissolto i confini dettati dal colonialismo occidentale un secolo fa, hanno costretto gli Usa a tornare a bombardare l’Iraq. Ma chi sono, da dove vengono, come hanno fatto a diventare così potenti, e fin dove possono arrivare? In questo libro Loretta Napoleoni, uno dei massimi esperti di terrorismo internazionale, offre al grande pubblico il primo e più completo ritratto dell’Isis – il cui stesso nome è mutato molte volte, a seconda delle diverse condizioni sul campo e nel sistema mediatico. Perché, scrive Napoleoni, “quel che distingue questa organizzazione da ogni altro gruppo armato che l’ha preceduta e quel che ne spiega l’enorme successo sono la sua modernità e il suo pragmatismo”.
Dimenticate i talebani, che tenevano l’Afghanistan nel Medioevo. Dimenticate al Qaeda, che aleggiava senza una vera e propria potenza militare, capace solo di colpi isolati, di scarso valore geopolitico. Questa nuova minaccia punta a un ambiziosissimo obiettivo: far nascere dalle ceneri dei conflitti mediorientali non un gruppo terroristico, ma un vero e proprio stato – con un suo territorio, una sua economia e un’enorme forza di attrazione per i musulmani fondamentalisti di tutto il mondo.

Nello Scavo Avvenire 18 novembre 2014


Il califfato si fa Stato 
Islam radicale. L’Isis rappresenta un cambiamento di strategia da parte dell’islam politico fondamentalista. Non solo azioni terroriste, ma costruzione di una entità statale sovranazionale che modifichi gli equilibri geopolitici in Medio Oriente, cancellando i confini tra le nazioni definite a tavolino dall’Occidente dopo la caduta dell’impero ottomano. È la tesi dell’ultimo libro di Loretta Napoleoni per Feltrinelli. E Khaled Fouad Allam analizza il consenso tra i giovani e l’uso dei social network da parte dell’Isis

Simone Pieranni, 18.11.2014 

L’immagine degli uomini con l’indice alzato, gesto effet­tuato anche dallo stesso al Bagh­dadi, il Califfo, a ricor­dare il sim­bolo di al Tawhid, l’espressione poli­tica del volere di dio, è diven­tato il mar­chio, il brand rico­no­sci­bile dello Stato isla­mico (che oggi abbrac­cia un’area più vasta del Regno unito, dalla sponda sud della Siria, fino all’Iraq, trat­teg­giando in pieno l’area tri­bale sun­nita). Già la defi­ni­zione carat­te­rizza l’interpretazione che viene data al feno­meno. Non a caso, sulla stampa inter­na­zio­nale, una volta con­sta­tata la realtà, si è uti­liz­zato «Stato isla­mico», anzi­ché Isis, a segnare un con­fine tra un gruppo ter­ro­ri­stico, per certi versi ormai un clas­sico dell’area, e qual­cosa di nuovo: una vera e pro­pria isti­tu­zione statale. 
Di Isis prima, di Stato isla­mico poi, si è discusso molto in Ita­lia, anche se con col­pe­vole ritardo rispetto al tempo durante il quale gli uomini di al Bagh­dadi hanno comin­ciato il loro lento e ine­so­ra­bile pro­getto poli­tico. Dopo un primo momento di con­fu­sione, è ben pre­sto emersa tutta la pecu­lia­rità dello Stato isla­mico, rispetto ai gruppi «ter­ro­ri­stici» cono­sciuti fino ad oggi. Que­sta prima con­si­de­ra­zione deve tenere conto di alcuni fat­tori piut­to­sto rile­vanti: le pri­ma­vere arabe hanno cam­biato com­ple­ta­mente non solo l’area di rife­ri­mento, ma il mondo intero. Da quel momento è par­tito un ridi­se­gno totale di quei con­fini sta­bi­liti agli inizi del Nove­cento (gli accordi anglo fran­cesi di spar­ti­zione dell’Impero otto­mano nel 1916, noti come il trat­tato Sykes-Picot) e tutto è ritor­nato in gioco. La Siria è stato il punto di non ritorno, il luogo e le cir­co­stanze nelle quali si sono rea­liz­zati i peg­giori errori delle potenze occi­den­tali, e all’interno del quale l’Isis ha saputo sfrut­tare la situa­zione per dare vita al pro­prio sogno: la nascita di uno Stato isla­mico, a par­tire dalla culla siriana, capace di defi­nire i nuovi con­fini del medio oriente. 

Un busi­ness in crescita 
La fun­zione del Calif­fato si trova così ad essere duplice: fare brec­cia nei sen­ti­menti anti­oc­ci­den­tali di tanti musul­mani che vivono in Europa o in altri paesi occi­den­tali e stron­care i regimi arabi con­si­de­rati apo­stati e favo­re­voli all’Occidente (che in un’apparente con­trad­di­zione del mondo isla­mico, hanno finan­ziato pro­prio lo Stato isla­mico, come gruppo anti-Assad). È que­sta la prin­ci­pale novità dell’Isis: aver dato vita ad uno Stato capace di creare un sistema di tas­sa­zione, di impie­ghi pub­blici, in grado di far girare soldi – che arri­vano da più atti­vità, non ultimo i rapi­menti e i riscatti – potendo con­tare su un eser­cito com­po­sto da per­sone total­mente dedite alla causa. E su que­sto ha saputo inner­vare un uti­lizzo sapiente, pro­fes­sio­nale, dei con­tem­po­ra­nei stru­menti comu­ni­ca­tivi di massa, a par­tire dal disin­volto e spre­giu­di­cato uso di Internet. 
Di tutti que­sti ele­menti par­lano due libri di recente pub­bli­ca­zione. Il jiha­di­sta della porta accanto di Kha­led Fouad Allam (Piemme, 15,90 euro) e Isis, lo Stato del ter­rore di Loretta Napo­leoni (Fel­tri­nelli, 13 euro). Si tratta di due opere par­ti­co­lari, che inda­gano in modo diverso il feno­meno del Calif­fato. Una visione più socio­lo­gica quella di Fouad Allam (il titolo del suo volume non rende giu­sti­zia ad un rac­conto molto meno main­stream di quanto si potrebbe sup­porre), più geo­po­li­tica quella di Napo­leoni. Entrambi però insi­stono sulla par­ti­co­la­rità e la novità rispetto a feno­meni pre­ce­denti, ad esem­pio al Qaeda, dell’Isis. Si tratta di due volumi — per altro — che appa­iono pre­pa­rati velo­ce­mente (ma non per que­sto sono raf­faz­zo­nati, anzi) per rispon­dere alle domande su quanto sta acca­dendo in Medio oriente e che quindi, se hanno il pre­gio di for­nire alcune rispo­ste imme­diate, sono par­ziali e spe­ci­fici, senza dise­gnare qua­dri com­ples­sivi di quanto avviene. Del resto la situa­zione è in dive­nire: le ultime noti­zie vedono in aumento il con­tin­gente ame­ri­cano e danno al Bagh­dadi, il Califfo, ferito gra­ve­mente durante un’incursione aerea della «Coa­li­zione» in Iraq, men­tre sono state dif­fuse le imma­gine della nuova ese­cu­zione di Peter Kas­sig, ostag­gio nelle mani dell’Isis. 

La con­qui­sta della Siria 
Secondo Napo­leoni, «dal 2012 lo Stato Isla­mico è indi­pen­dente e non ha biso­gno degli spon­sor, il pro­cesso di pri­va­tiz­za­zione del ter­ro­ri­smo è avve­nuto molto rapi­da­mente pro­prio gra­zie alla moderna guerra per pro­cura che dal 2011 si com­batte in Siria. Una rosa di spon­sor, tra cui i sau­diti, alleati fedeli degli ame­ri­cani, e natu­ral­mente anche il Qatar e il Kuwait, hanno finan­ziato gruppi sun­niti ribelli, tra cui anche mili­zie jiha­di­ste, come il fronte al Nusra, una sorta di suc­cur­sale di al Qaeda in Siria, e lo Stato Isla­mico in Iraq, poi ribat­tez­zato Stato Isla­mico in Iraq e Siria (Isis) ed oggi cono­sciuto come Stato Islamico». 
Per cosa muove i primi passi lo Stato isla­mico? Innan­zi­tutto il rove­scia­mento del governo Assad in Siria, appog­giato invece dall’Iran e dalla Rus­sia e in parte dalla Cina. Pechino, ad esem­pio, non ha inviato né armi, nè sol­dati, ma ha usato il suo peso poli­tico nelle Nazioni unite per fer­mare, attra­verso il veto nel con­si­glio di sicu­rezza, ogni azione mili­tare o diplo­ma­tica con­tro il regime siriano. Un com­por­ta­mento, quello cinese, che può essere visto anche come par­ziale rivin­cita dopo lo scem­pio libico, che ha costretto Pechino a rim­pa­triare migliaia di con­na­zio­nali e per­dere impor­tanti con­tatti per quanto con­cerne il petro­lio. «Agli ame­ri­cani, impos­si­bi­li­tati ad inter­ve­nire mili­tar­mente in Siria dal veto russo e cinese nel Con­si­glio di sicu­rezza, que­sta poli­tica andava bene. Il mol­ti­pli­carsi dei gruppi spon­so­riz­zati ha però fram­men­tato l’opposizione e creato situa­zioni in cui costoro si com­bat­te­vano tra di loro. Lo Stato Isla­mico ha sfrut­tato tutto ciò ed invece di com­bat­tere le mili­zie di Assad ha attac­cato i più deboli gruppi jiha­di­sti e ribelli, con­qui­stando pezzo per pezzo il ter­ri­to­rio che oggi con­trolla in Siria». Sapendo per altro, come con­fer­mato dai fatti, che Washing­ton non avrebbe avuto il via libera a com­bat­terli in Siria. Sulla base di que­sta situa­zione di par­tenza lo Stato isla­mico ha saputo con­qui­stare ter­ri­tori, gestire effi­ca­ce­mente le pro­prie risorse finan­zia­rie, creando una pro­pria auto­no­mia sle­gata dagli spon­sor del pas­sato. «Tagliare i finan­zia­menti dello Stato Isla­mico non è pos­si­bile per­ché ormai è uno Stato e l’economia fa parte di un ter­ri­to­rio vasto con­trol­lato dalla stessa autorità». 
Inte­res­sante il rife­ri­mento a Israele com­piuto da Loretta Napo­leoni: «Il prin­ci­pale obiet­tivo dello Stato Isla­mico è rap­pre­sen­tare per i musul­mani sun­niti ciò che Israele è per gli ebrei: uno stato nella loro antica terra, rioc­cu­pata in tempi moderni; un potente stato reli­gioso che li pro­tegge dovun­que essi si tro­vino». Il primo comu­ni­cato di al Bagh­dadi, nel quale defi­ni­sce il Calif­fato come «la pro­messa di Allah», sem­bra sol­le­ti­care i sen­ti­menti pro­fondi del mondo arabo. Fouad Allam sot­to­li­nea come pro­prio dopo la morte del Pro­feta, sul Calif­fato, sia avve­nuta la spac­ca­tura sto­rica del mondo arabo, spe­ci­fi­cando come il tema sia sem­pre stato assai dibat­tuto dai teo­logi e dai giu­re­con­sulti dell’islam (gli ulema). Rimane il fatto che la capa­cità dello Stato isla­mico di creare quel senso di appar­te­nenza per­duto, com­preso un richiamo ad un’età dell’oro del mondo musul­mano, ha fatto brec­cia tanto nel mondo vicino al suo punto di par­tenza, quanto tra i musul­mani distanti. Secondo Fouad Allam, però, il feno­meno di poli­ti­ciz­za­zione dell’islam fa sì che le nuove gene­ra­zioni cono­scano a memo­ria il Corano o gli hadith ma sap­piano ben poco della let­te­ra­tura e della filo­so­fia araba. 

Una dif­fu­sione virale 
Il mec­ca­ni­smo del resto è noto da tempo: di fronte a crisi eco­no­mi­che e dif­fi­coltà di inte­gra­zione, le rispo­ste «sem­plici» e «radi­cali» hanno con­senso popo­lare. E lo Stato isla­mico, gra­zie a pro­fes­sio­ni­sti del set­tore (la rivi­sta «Dabiq» è pati­nata non meno della cele­bre «Mono­cle»), è in grado gestire il mec­ca­ni­smo virale dei con­tem­po­ra­nei stru­menti di comu­ni­ca­zione (i social net­work). Allo stesso tempo ha saputo uti­liz­zare i mede­simi mec­ca­ni­smi comu­ni­ca­tivi occi­den­tali, ovvero quelle tec­ni­che pub­bli­ci­ta­rie che oggi costi­tui­scono il «segreto» dei tanti «spin doc­tor» che ormai li attuano nel mondo poli­tico — basti pen­sare, per non andare troppo lon­tano, al caso Renzi — per atti­rare l’attenzione mon­diale e reclu­tare combattenti. 
È que­sto il fine ultimo di una comu­ni­ca­zione che – come sug­ge­ri­sce Fouad Allam – non è improv­vi­sata, ma arriva dopo anni di pro­pa­ganda attra­verso le video­cas­sette, i dvd e infine la Rete svolta da gruppi isla­mici fon­da­men­ta­li­sti che mai, però, ave­vano intra­preso un dise­gno così vasto come quello dello Stato isla­mico. Non a caso, l’intento del Calif­fato è sto­rico: da un lato c’è il pro­getto, come spe­ci­fica Napo­leoni, di rifon­dare l’antico Calif­fato di Bagh­dad, entità distrutta dai mon­goli nel 1621 (un ter­ri­to­rio che andava dalla capi­tale ira­chena, fino all’odierno Israele) dall’altro c’è un intento total­mente poli­tico. Pur nel rispetto rigo­roso della loro tra­di­zione, i sun­niti del Calif­fato mirano a moder­niz­zarne il con­cetto. «Nel suo primo discorso in veste di nuovo Califfo – scrive Napo­leoni — al Bagh­dadi si è impe­gnato a resti­tuire ai musul­mani la dignità, la potenza i diritti e l’autorità di comando che pos­se­de­vano nel glo­rioso pas­sato e nel con­tempo ha rivolto un appello a medici, tec­nici, giu­dici ed esperti di giu­ri­spru­denza isla­mica, affin­ché si unis­sero a lui». 
Entrambi i volumi met­tono dun­que in evi­denza alcune que­stioni prio­ri­ta­rie per com­pren­dere il feno­meno: da un lato la crisi dei modelli occi­den­tali di inte­gra­zione, che con­se­gnano allo Stato isla­mico gio­vani desi­de­rosi di affer­marsi, attratti anche dal fascino della vio­lenza ster­mi­na­trice del Calif­fato (secondo Napo­leoni è in atto un vero e pro­prio geno­ci­dio con­tro gli sciiti per fina­lità poli­ti­che ed eco­no­mi­che), dall’altro mette in evi­denza la rivo­lu­zione in atto in quelle aree, dove la poli­tica occi­den­tale è apparsa in ritardo nel capire il river­bero di un mondo ormai mul­ti­po­lare. È sal­tato tutto, alleanze, accordi, sto­ri­che ami­ci­zie e ini­mi­ci­zie: nel mondo in cui gli Usa non hanno più la forza e l’autorità di un tempo, solo gli uomini del Calif­fato sem­brano averne com­preso il pro­fondo signi­fi­cato storico.

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