mercoledì 19 novembre 2014

"Il reddito pro capite della Cina è pari solo al 20% di quello dell’America e ci vorranno decenni per recuperare il ritardo"




Conviene ascoltare Joseph Nye, per evitare errori di costruire castelli in aria. Un mondo nuovo è in gestazione ma non è dietro l'angolo e la sua nascita sarà - è già - conflittuale e dolorosa [SGA].

Ecco perché Pechino resta dietro gli Usa
Joseph S. Nye La Stampa 19.11.14

L’autore è professore all’università di Harvard University, Presidente del World Economic Forum’s Global Agenda Council on the Future of Government, e autore di The Future of Power. www.project-syndicate.org

La Banca Mondiale ha recentemente annunciato che l’economia cinese quest’anno supererà quella degli Stati Uniti a parità di potere d’acquisto (Ppp). Ma questa è ben lungi dall’essere una rappresentazione olistica della capacità economica globale della Cina.
Anche se la Ppp può essere utile nel confronto sociale tra i vari paesi, è influenzata in modo significativo dalle dimensioni della popolazione. L’India, che è la decima economia mondiale in base al tasso di cambio tra il dollaro Usa e la rupia indiana, in termini di Ppp risulta la terza. Inoltre, le risorse energetiche, come ad esempio il costo del petrolio importato o di un motore di aereo da caccia avanzato, sono indicatori più significativi in base ai tassi di cambio delle valute che devono essere utilizzate per pagarli.
In realtà la dimensione globale è un aspetto importante del potere economico. La Cina ha un mercato interessante ed è il più grande partner commerciale di molti paesi.
Ma, anche se il Pil complessivo della Cina supera quello degli Stati Uniti (in base a qualsiasi parametro), le due economie mantengono strutture e livelli di raffinatezza molto diversi. E il reddito pro capite della Cina – una misura più accurata della complessità economica – è pari solo al 20% di quello dell’America e ci vorranno decenni, come minimo, per recuperare il ritardo (se mai accadrà).
Inoltre, come hanno riconosciuto i funzionari e i ricercatori cinesi, anche se nel 2009 la Cina ha superato la Germania affermandosi come il più grande esportatore mondiale in termini di volume di merci, deve ancora trasformarsi in un paese commerciale «forte», a causa degli scambi ancora fiacchi nei servizi e delle produzioni a basso valore aggiunto. E la Cina non ha il genere di grandi marchi internazionali che sono il vanto di potenze commerciali come gli Stati Uniti e la Germania: ben 17 dei 25 marchi globali sono americani.
Il ritardo nell’evoluzione economica della Cina si riflette anche nei suoi mercati finanziari, che hanno un ottavo delle dimensioni di quelli americani, con gli stranieri autorizzati a detenere solo una piccola parte del debito cinese. Anche se la Cina ha cercato di aumentare la sua forza finanziaria incoraggiando l’uso internazionale della sua moneta, lo scambio del renmimbi rappresenta appena il 9% del totale mondiale, rispetto alla quota del dollaro, che ne detiene l’81%.
Nemmeno le enormi riserve in valuta estera della Cina – le più grandi del mondo, quasi 4.000 miliardi di dollari – basteranno ad aumentare la sua leva finanziaria, a meno che le autorità creino un mercato obbligazionario profondo e aperto con tassi di interesse liberalizzati e una moneta facilmente convertibile. Queste riserve non danno alla Cina un grande potere contrattuale diretto sugli Stati Uniti, dato che le relazioni interdipendenti appoggiano sulle asimmetrie.
La Cina possiede i dollari che riceve grazie alle sue esportazioni verso l’America, mentre gli Stati Uniti, mantenendo il loro mercato aperto ai prodotti cinesi, aiutano a generare crescita, occupazione e stabilità in Cina. Sì, la Cina potrebbe mettere in ginocchio l’economia statunitense svendendo i suoi dollari, ma non senza risentirne seriamente essa stessa.
Le differenze tra la Cina e gli Stati Uniti in termini di raffinatezza economica si estendono anche alla tecnologia. Nonostante alcuni importanti risultati, per il suo progresso tecnologico la Cina conta di più sulla copia di invenzioni straniere che sull’innovazione nazionale. Anche se la Cina sta moltiplicando l’emissione di brevetti, pochi rappresentano invenzioni veramente innovative. I cinesi spesso lamentano di riuscire a produrre posti di lavoro per l’iPhone, ma nessun Steve Jobs.
Nei prossimi decenni la crescita del Pil della Cina rallenterà, come avviene in tutte le economie, una volta raggiunto un certo livello di sviluppo – di solito il livello di reddito pro-capite, in termini di Ppp a cui la Cina si sta avvicinando. Dopo tutto, la Cina non può fare affidamento su tecnologie importate e manodopera a basso costo per sostenere la crescita per sempre. Gli economisti di Harvard Lant Pritchett e Lawrence Summers hanno concluso che la regressione alla media collocherebbe la crescita cinese per i prossimi due decenni al 3,9%.
Ma questa semplice stima statistica non tiene conto dei gravi problemi che la Cina dovrà affrontare nei prossimi anni, come la crescente disuguaglianza tra le aree rurali e quelle urbane e tra le regioni costiere e quelle interne. Altre sfide importanti includono un settore statale ipertrofico e inefficiente, il degrado ambientale, la massiccia migrazione interna, una inadeguata rete di sicurezza sociale, la corruzione, e uno stato di diritto debole.
Inoltre, la Cina dovrà affrontare condizioni demografiche sempre più avverse. Dopo aver imposto la politica del figlio unico per oltre tre decenni, la forza lavoro della Cina inizierà a declinare nel 2016 ed entro il 2030 gli anziani non autosufficienti supereranno di numero i bambini. Questo suscita la preoccupazione che la popolazione possa diventare vecchia prima di diventare ricca.
Il sistema politico autoritario della Cina ha dimostrato un’impressionante capacità di raggiungere obiettivi specifici, dalla costruzione di linee ferroviarie ad alta velocità alla creazione di intere nuove città. Ciò che il governo cinese non è ancora pronto a fare è rispondere in modo efficace alle esigenze sempre più pressanti di partecipazione politica – se non di democrazia – che tendono ad accompagnare l’aumento del Pil pro capite. Ci sarà una svolta politica quando il Pil nominale pro capite, che ora è a circa 7000 dollari, si avvicinerà ai 10.000 dollari, come è avvenuto nella vicina Corea del Sud e a Taiwan?
Resta da vedere se la Cina saprà sviluppare una formula adatta a gestire una classe media urbana in espansione, le disparità regionali, e, in molti luoghi, minoranze etniche ribelli. La sua carente specializzazione economica può complicare ulteriormente le cose. In ogni caso, questo significa che il Pil aggregato, comunque lo si misuri, è insufficiente per determinare quando – e se – la Cina supererà gli Stati Uniti come potenza economica. traduzione di Carla Reschia

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