mercoledì 5 novembre 2014

Non lasciamo alle destre la critica della decrescita

Contro la decrescita. Perché rallentare non è la soluzione
Respingiamo questo mito populista in nome della modernità integrale e del progresso, piuttosto che dell'idolatria dell'esistente [SGA].

Luca Simonetti: Contro la decrescita. Perché rallentare non è la soluzione, Longanesi, pagg. 260, euro 16

Risvolto
Questo libro si propone un compito tanto necessario quanto controcorrente: smontare il mito della decrescita come visione alternativa della società rivelandone di volta in volta i numerosi luoghi comuni, le ingenuità o addirittura la malafede. Ha davvero senso il nuovo mito del ritorno alla terra e l'elogio dei contadini del passato? È giusto considerare l'austerità un valore contrapponendola al "demoniaco" consumismo? Siamo proprio sicuri che lo slow food sia più etico e altruistico del tanto stigmatizzato fast food? E uno Stato in cui qualcuno decidesse cosa è necessario consumare per vivere, e cosa non lo è, non diventerebbe uno Stato totalitario? Non c'è il rischio che si tratti dell'ennesima, prepotente riemersione di un'ideologia antica che ha già avuto in passato esiti politicamente nefasti? Da Carlo Petrini a Serge Latouche, da Simone Perotti a Vandana Shiva, Simonetti passa in rassegna idee e proclami di tutti quei teorici della "decrescita felice" che in nome di una visione del passato nostalgica e sentimentale, e animati da diffidenza e ostilità nei confronti della scienza, della tecnica e del progresso, finiscono col "vedere l'apocalisse con ghiotta impazienza". Con ironia e passione, e uno stile limpido e acuminato, l'autore di questo libro ci dimostra che nessuna decrescita potrà mai essere felice, ma solo estremamente pericolosa.
La decrescita non è felice ma in compenso è confusa

Nel nuovo libro di Luca Simonetti tutti gli errori e i vuoti teorici di chi sogna un'economia che ci renda liberi attraverso la povertà

Matteo Sacchi - il Giornale Mer, 05/11/2014

La decrescita è una boiata pazzesca
Due saggi ribaltano i luoghi comuni radical chic del naturismo di Latouche Dal fallimento di cibi bio, no logo e olio di colza, ci salverà il capitalismo11 gen 2015  Libero SIMONE PALIAGA
«Guarda quanta dignità hanno i contadini dei paesi poveri… ci fanno sentire ridicoli… di fronte a loro ci scopriamo brutti, rumorosi, avvelenati dall'inutile, curvi sui cellulari…». Chissà che cosa penserebbe di queste parole di Carlo Petrini, patron di Slow Food, un agricoltore bengalese con le mani affondate per dieci ore nell'acqua torbida delle sue risaie? «Petrini» commenta Luca Simonetti, autore del recente Contro la decrescita. Perché rallentare non è la soluzione ( Longanesi, pp. 260, euro 18) - sa davvero in che cosa consistano la povertà e la ricchezza?»
Pubblicitari e agenti di borsa, stressati dalla tensione e dai recenti fallimenti, vorrebbero abbandonare tutto per fare gli skipper o i restauratori infliggendo così «un colpo al Sistema». Clienti di supermarket e fruitori dei prodotti delle multinazionali alimentari ora si tufferebbero nel downshifting: ovvero cercherebbero in ogni modo la riduzione del proprio tenore di vita, il taglio alle spese, la corsa al riciclo e al risparmio. Ma «non li sfiora il dubbio» ammonisce Simonetti «che il fatto di consumare meno possa non metterci automaticamente in condizione di consumare meglio: perché al contrario la storia mostra che qualità e quantità vanno di solito di pari passo, che la qualità costa e che i poveri tendono a consumare non solo meno ma anche peggio dei ricchi». Pertanto è facile sostenere che «il consumismo ha fallito e va confutato su tutti i fronti. La velocità va combattuta con la lentezza. Quanta dignità hanno i contadini dei paesi poveri… ci fanno sentire ridicoli… Di fronte loro ci scopriamo brutti, rumorosi, avvelenati dall'inutile, curvi sui cellulari» quando ci si chiama Carlo Petrini. È altrettanto agevole pontificare che « ci sveglieremo quando capiremo che dietro la nostra fame c'è una tremenda fame di qualità» quando si porta la firma del regista Ermanno Olmi e quando le proprie tasche permettono di assicurarsi quella qualità che chi porta i figli da McDonald invece che da Cracco forse non può permettersi!
Simonetti passa in rassegna il corpus ideologico dei teorici della decrescita, in cui fanno capolino i più noti come Serge Latouche o Vadana Shiva ma dove non mancano gli italiani Maurizio Pallante, Simone Perotti, Filippo Schillaci o Sonia Savioli, che si sono distinti prevalentemente nell'elaborazione della «decrescita felice», per non dire dei loro addentellati politici, come il movimento No logo di Naomi Klein o le stessa furia naturista del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo che per molto tempo ha inneggiato contro gli idrocarburi nel nome e nell’irresistibile richiamo all’olio di colza sostituto naturale della benzina. Ma felici lo sono davvero, tutti loro? «La loro caratteristica principale» li sferza ironicamente Simonetti «è una viva ostilità per il progresso tecnico-industriale, unita a un idoleggiamento quasi parossistico per la vita naturale, in campagna, contrapposta alla città. Ma c'è da chiedersi se questa attitudine giovi alla loro conclamata felicità».
«I decrescenti rifiutano» continua Simonetti «non l'uso capitalistico dell'industria, della tecnica e del progresso, ma l'industria, la tecnica e il progresso in sé e per sé» forse convinti che nel primo anno dopo Cristo, con un’età media di 22 anni, la vita fosse migliore di oggi, quando anche in Indonesia e India la vita media supera oggi i 70 anni. La vita naturale senza il progresso è bella solo davanti alle pagine di un libro, a una bella performance ecologista o a uno schermo televisivo.
Non sbagliano, in questo, Chicco Testa, ex presidente di Legambiente ed Enel, e Patrizia Feletig quando nel loro Contro (la) natura. Perché la natura non è buona né giusta né bella ( Marsilio, pp. 128, euro 10) sbertucciano le idiosincrasie dei teorici della decrescita e delle loro ambizioni primitiviste: è bellissimo vedere avanzare una tromba d'aria ma protetti dalle vetrate di un hotel extra lusso come è pregevole ammirare una tormenta di neve al tepore di un albergo aspettando le sciate dell'indomani. Forse i pescatori che devono tenere il mare a bordo di un peschereccio non la pensano allo stesso modo e nemmeno il tagliaboschi che deve farsi largo nella neve appena caduta!
Eppoi naturali non sono solo le terapie alla moda, i cibi bio o terme e solarium. Naturali sono anche la morte, le disgrazie, i terremoti, cosa che forse sfugge ai novelli Robinson Crusoe che si adombrano dietro la decrescita. Non si deve erigere la natura a feticcio e vedere in essa una via di fuga dai guasti del mondo ma capire «che non esistono equilibri ecologici» scrivono gli autori di Contro (la) natura «che prescindono da equilibri sociali e dalla soddisfazione dei bisogni umani». Chicco Testa, ecologista militante della prim’ora, verde indomito e ambientalista alla massima potenza oggi dedito anche alla causa del nucleare buono, ha, in tutto questo, operato un’illuminata conversione.
LaNatura insomma non esiste senza la sua interazione con la specie umana che per indole è portata a migliorare le proprie condizioni e che certo non ambisce oggi a riguadagnare una condizione che si è lasciata alle spalle nel corso degli ultimi secoli.      

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