martedì 11 novembre 2014

Una rivoluzione senza precedenti nella storia si sta svolgendo sotto i nostri occhi, un Nuovo Mondo è in embrione


Xi Jinping: «Guideremo il nuovo ordine asiatico» 

Meeting Apec. Pronti 40 miliardi di dollari per la «Nuova via della seta» e una banca di investimenti per la regione
Simone Pieranni, il Manifesto 10.11.2014  


Zheng He è un eunuco cinese, di reli­gione musul­mana che, circa 600 anni fa, venne messo a capo della flotta marit­tima cinese, dall’allora impe­ra­tore – della dina­stia dei Ming – Zhu Di. Le sue imprese sono con­si­de­rate miti­che (si dice che abbia addi­rit­tura sco­perto l’Australia e la Nuova Zelanda) e riman­dano ad una gran­dezza navale cinese che non venne mai più repli­cata.
In uno dei suoi tanti recenti discorsi, il pre­si­dente della Repub­blica popo­lare cinese Xi Jin­ping, lo ha ricor­dato, dando il via al lan­cio del «sogno dell’Asia e del Paci­fico». Si tratta di un pro­getto che pre­vede inve­sti­menti, ban­che inter­na­zio­nali, infra­strut­ture per raf­for­zare la ben nota via della Seta e col­le­gare via mare la Cina all’Asia e ai mer­cati medio orien­tali ed europei. 
Si tratta di un balzo in avanti non da poco, una sorta di uscita allo sco­perto da parte di un pre­si­dente che ha ormai col­le­zio­nato inter­na­mente il suf­fi­ciente potere per ripro­porre all’esterno il desi­de­rio di ripor­tare la Cina dove è sem­pre stata, ovvero alla guida del con­ti­nente asia­tico. I piani di Pechino sono com­plessi e arti­co­lati e inclu­dono un accordo di libero scam­bio in Asia e Paci­fico, una Asian Infra­struc­ture Invest­ment Bank (Aiib) da 100 miliardi di dol­lari, con sede a Pechino e un «fondo per la Via della Seta» da 40 miliardi di dol­lari, annun­ciato pro­prio la set­ti­mana scorsa. 
Secondo Xi Jin­ping, «la Cina potrebbe sti­mo­lare la cre­scita e miglio­rare le infra­strut­ture in tutta la regione per con­tri­buire a rea­liz­zare un sogno dell’Asia e Paci­fico: con l’aumento della nostra forza nazio­nale com­ples­siva, ha detto, la Cina ha la capa­cità e la volontà di for­nire un mag­gior numero di beni pub­blici per la regione Asia-Pacifico e per il mondo intero». Per quanto riguarda la banca d’investimenti, il Finan­cial Times — e con esso la comu­nità finan­zia­ria inter­na­zio­nale — è apparso preoccupato. 
«La Aiib e la banca dei Brics, che com­prende Bra­sile, Rus­sia, India, Sud Africa e Cina rap­pre­sen­tano la prima sfida isti­tu­zio­nale grave per l’ordine eco­no­mico mon­diale sta­bi­lito a Bret­ton Woods 70 anni fa, secondo Mat­thew Good­man, uno stu­dioso del Cen­tro di studi stra­te­gici e inter­na­zio­nali di Washing­ton. Meno chiaro è quanto que­ste nuove isti­tu­zioni miglio­ranno la gover­nance glo­bale o aiu­te­ranno dav­vero gli inte­ressi dei paesi che li difen­dono». Domanda legit­tima, se per que­sti Paesi fosse pro­vata l’utilità deri­vata dalle isti­tu­zioni eco­no­mi­che mon­diali occi­den­tali, che con le pro­prie ope­ra­zioni sono riu­scite a met­tere al tap­peto gran parte del mondo. L’occasione migliore per il lan­cio di que­sta nuova, enne­sima, svolta sto­rica è l’Asian Paci­fic Eco­no­mic Coo­pe­ra­tion (Apec) – il mee­ting dei 21 paesi dell’area — ini­ziato ieri a Pechino. Xi gioca in casa e non potrebbe avere ter­reno più favorevole. 
A Pechino è arri­vato anche Obama, un pre­si­dente inde­bo­lito (e defi­nito «insi­pido» dalla stampa locale) dalle ele­zioni di metà man­dato e dal nuovo gine­praio ira­cheno e più in gene­rale preda di un mondo mul­ti­po­lare, carat­te­riz­zato dalle varie spinte di potenze regio­nali che ormai sfi­dano aper­ta­mente lo sta­tus quo, ridi­se­gnando una geo­gra­fia con­si­de­rata «colo­nia­li­sta», come nel caso del Calif­fato tra Iraq e Siria o ripro­po­nendo anti­chi fasti, suf­fra­gati dalla nuova forza eco­no­mica, come nel caso di Pechino. Il mondo è cam­biato e l’Asia costi­tui­sce la car­tina di tor­na­sole eco­no­mica di que­sto spo­sta­mento del capi­tale e della sua guida. «Spetta al popolo dell’Asia gestire gli affari dell’Asia, risol­vere i pro­blemi dell’Asia e difen­dere la sicu­rezza in Asia», ha detto Xi Jin­ping, invi­tando i paesi asia­tici a «far avan­zare il pro­cesso di svi­luppo comune e l’integrazione regionale». 
Mai come negli ultimi anni la Cina ha avuto un campo così vasto davanti a sé: atti­vare inve­sti­menti e fondi per Pechino è la solu­zione migliore per rispon­dere ai dubbi che la debo­lezza ame­ri­cana sta facendo ser­peg­giare tra i suoi alleati nella regione, in bilico tra la resi­stenza ad un’alleanza anti cinese o l’abbandono ai – tanti – soldi che Pechino mette sul piatto. Washing­ton è riu­scita, per ora, a bloc­care l’idea di un libero scam­bio asia­tico a matrice cinese, per spin­gere sul pro­prio accordo, che esclude la Cina, ma la cen­tra­lità cinese nella regione sem­bra ormai inar­re­sta­bile e non nasce certo in que­sti giorni. A Washing­ton c’è già chi parla di un nuovo piano Mar­shall asia­tico, men­tre alcuni media occi­den­tali – il Wall Street Jour­nal ad esem­pio – ricor­dano i fasti impe­riali cinesi e il sistema dei tri­buti: qual­cosa che forse appare più vicino alle inten­zioni di Pechino. 
Xi Jin­ping ha infatti pro­po­sto la cosid­detta «Cin­tura eco­no­mica della Via della Seta» già set­ti­mane fa, durante un viag­gio in Asia cen­trale. Si tratta di un cor­ri­doio che col­lega l’Oceano Paci­fico al Mar Bal­tico e che uni­sce Asia orien­tale, Asia meri­dio­nale e il Medio Oriente per ser­vire un mer­cato com­bi­nato di circa tre miliardi di per­sone. In Kaz­ha­ki­stan ha stretto un accordo per 30 miliardi di dol­lari per petro­lio e gas e ha for­nito un pre­stito di 3 miliardi di dol­lari per infra­strut­ture in Kir­ghi­zi­stan. Una mano­vra già vista in Africa: pre­stiti per infra­strut­ture e ser­vizi, in cam­bio di risorse. 
«Durante il recente viag­gio in Indo­ne­sia — ha scritto il Wall Street Jour­nal — ha pro­po­sto un altro pila­stro, un cor­ri­doio com­mer­ciale marit­timo che ha chia­mato la Via della Seta Marit­tima del 21° secolo. Esso com­porta la costru­zione o l’espansione di porti e aree indu­striali in tutto il Sud-Est asia­tico e in luo­ghi come lo Sri Lanka, il Kenya e la Gre­cia, con l’obiettivo di incre­men­tare il com­mer­cio bila­te­rale con il sud-est asia­tico a mille miliardi di dol­lari entro il 2020, più del dop­pio del livello dello scorso anno». 
Il Fondo for­nirà soste­gno finan­zia­rio ai paesi asia­tici che mirano a miglio­rare la con­net­ti­vità, ha detto Xi. «Seduta su una grande riserva di valuta estera, la Cina ha la capa­cità e dovrebbe assu­mersi mag­giori respon­sa­bi­lità per lo svi­luppo comune della regione», ha spe­ci­fi­cato al Glo­bal Times Zhang Bao­tong, un ricer­ca­tore dell’università dello Shaa­nxi, la pro­vin­cia nord-occidentale cinese, già punto di par­tenza dell’antica Via della Seta. 
La stampa locale non ha dubbi sul cam­bia­mento dell’equilibrio asia­tico, rimar­cando il con­sueto carat­tere «paci­fico» dell’ascesa cinese: «Gli Usa vogliono sem­pre gui­dare il mondo, ma non ne hanno la forza. Non c’è stata alcuna ege­mo­nia glo­bale in grado di spaz­zare via la diver­sità nel mondo e gli Stati Uniti non fanno ecce­zione. Se uno dei due paesi tra Cina e Stati Uniti non tiene conto degli inte­ressi degli altri per cer­care il pro­prio inte­resse, non ci sarà alcun suc­cesso nella regione. Quella di una posi­zione domi­nante è forse un’idea obso­leta e la lotta per il domi­nio non bene­fi­cerà nes­suno dei due paesi».

Il kolossal di Xi Jinping, così il “nuovo Mao” mette in scena il suo trionfo
di Giampaolo Visetti Repubblica 11.11.14
UNA pagoda di nove piani in un campo da golf e la copia di un villaggio rurale ai piedi di un hotel in cristallo a forma di sole, sospeso sopra il lago Yanqi. Sullo sfondo, i grattacieli della capitale e la Grande Muraglia che si arrampica sui monti Haitou. Per questa immagine impressionante, simbolo della Cina che dal passato si proietta nel futuro e che risorge sul panorama del mondo, Xi Jinping ha lavorato personalmente. Ha corretto i disegni agli architetti e speso quasi due miliardi di euro. Un solo scatto: ma è quello assieme ai leader delle economie in crescita dell’Asia-Pacifico, nel giorno più importante da quando Pechino ha ritrovato il suo “nuovo Mao”.
Per i Grandi dell’Apec, accolti con i fuochi d’artificio e un tappeto rosso lungo quanto lo stadio delle Olimpiadi 2008, il presidente cinese ha preparato una scenografia che nessun altro oggi si può permettere. È l’immagine di ricchezza, capacità organizzativa e avanguardia tecnologica che Xi Jinping vuole fissare nella mente della comunità internazionale, mentre conquista la leadership del mercato più vasto e decisivo del presente. Un suo consigliere, poche ore prima che capi di Stato e di governo mettessero piede nello sfarzoso padiglione imperiale del summit, è stato incaricato di controllare perfino colore dei fiori e altezza dell’erba: quelli britannici, se comparati, devono apparire incolti.
Meraviglia e timore verso la nuova superpotenza del secolo hanno unito ospiti divisi da molti interessi. Assieme allo stupore verso Xi Jinping, segretario generale del partito comunista che in soli due anni ha eclissato il mito di Mao Zedong, sia tra i cinesi che nelle cancellerie straniere. Nessuno si sarebbe aspettato che il sorriso da papà buono nascondesse un capo spietato, deciso a costruire anche un globale e quasi divino culto della personalità. Per la sua incoronazione, il nuovo imperatore della Città Proibita ha chiuso di fatto il Nord del Paese, ottenendo due giorni di quello che la propaganda ha definito “cielo color blu Apec”. Smog invisibile e sicurezza asfissiante: 60 mila uomini e 1680 nuove telecamere a raggi infrarossi. Improvvisamente, in hotel e sale stampa, si sono messi a funzionare anche i social network, altrimenti bloccati dalla censura.
La sorpresa per tutti è stata però il “libro bianco” di Xi Jinping, erede del “libretto rosso” di Mao Zedong. L’apologia in cinque lingue si intitola Il governo della Cina , 515 pagine e 44 fotografie, 5 mila copie in regalo affinché a nessuno sfugga la grandezza dei primi due anni del «leader riformista che ha lanciato il sogno cinese». La definizione va anzi aggiornata. Ai colleghi, Xi Jinping ha spiegato che il «sogno cinese» è già diventato il «sogno dell’Asia-Pacifico», indicata come «una nuova comunità con un unico destino», che Pechino è pronta a guidare.
Non è solo liturgia da vecchio socialismo reale. A poche ore dall’incontro con Barack Obama, Xi Jinping ha esibito ieri i suoi muscoli incontrando in successione il premier giapponese e i presidenti di Russia e Corea del Sud, ossia i leader delle altre tre potenze asiatiche. Freddo «l’incontro concesso» a Shinzo Abe: mezz’ora faccia a faccia, non un sorriso, ma è il primo Pechino-Tokyo dopo tre anni di gelo e di conflitti sfiorati, dunque qualcosa di più di una stretta di mano. La crisi morde, le prime due economie del Pacifico hanno pagato caro lo scontro e come ha spiegato il braccio destro di Xi, «il pragmatismo in certi casi diventa idealismo». Cina e Giappone così «hanno concordato sul fatto di essere in disaccordo», ma hanno concordato pure su un «meccani- smo di gestione dei problemi».
A Vladimir Putin, Xi Jinping ha strappato altri 30 miliardi metri cubi di gas di gas, accordo da 400 miliardi di dollari, mentre da Park Geun-hye ha ottenuto il sì alla zona di libero scambio Pechino- Seul. «In una mattina — ha commentato il Quotidiano del popolo — il presidente ha allargato l’influenza cinese, sfilato gli alleati a Washington, ricostruito l’asse sino-russo e si è riservato di decidere se puntare ancora su Obama o guardare già al suo successore ». E la tela tessuta dal «nuovo Mao», cruccio dei conservatori rossi del Politburo, abbraccia realmente l’intera Asia. Xi Jinping aveva appena stanziato 100 miliardi di dollari per una nuova banca asiatica, da contrapporre a quella a guida Usa. Ieri l’annuncio di altri 40 miliardi per un «fondo aperto» destinato alle infrastrutture. L’obiettivo è «mettere in connessione l’intero continente», puntando a ricostruire «una Via della Seta stradale, marittima e ferroviaria» che «in un decennio richiederà investimenti per 8 mila miliardi ».
Sono cifre, idee e ambizioni che oggi né l’Occidente né il resto dell’Oriente possono mettere in campo, ma che l’autoritarismo della prima economia mondiale impone invece al solo leader con davanti otto anni di potere assoluto. Xi Jinping ha annunciato anche che da lunedì le Borse di Shanghai e Hong Kong saranno collegate, secondo mercato finanziario del pianeta, mentre oggi i 21 Grandi dell’Apec saranno accolti a Huairou con l’ultimo colpo ad effetto. Pechino, con lo strabiliante resort di Yanki e la ski-area di Zhangjiakou, si candida a vincere la volata con la kazakha Almaty per le Olimpiadi invernali 2022. Il “nuovo Mao” pretende che la sua capitale sia la prima nella storia ad ospitare sia i Giochi estivi che quelli bianchi. Le picchiate con gli sci giù dalla Grande Muraglia saranno l’apoteosi per il commiato del leader bi-olimpico. Il problema è che non nevica quasi mai. Dettagli. «Per l’imperatore del Duemila — ha detto la tivù di Stato — i fiocchi sono già nel cannone».

Il ruolo di Pechino La velocità di Xi Jinping
di Vittorio Emanuele Parsi Il Sole 11.11.14
Xi Jinping si muove a tutto campo ma anche con straordinaria efficacia, capitalizzando al massimo l'opacità che ha ormai l'aura di Obama. Certo, il fato ci ha messo del suo, e il vertice Apec si svolge proprio a Pechino a una manciata di giorni dalla tornata elettorale americana.
A un Obama che insisteva sul fatto che la «tutela dei diritti umani» rientrasse «negli interessi nazionali americani», che la Trans Pacific Partnership (Tpp l'iniziativa di libero scambio che esclude la Cina, di fatto relativizzano i vantaggi dell'ingresso di Pechino nella Wto) mentre contemporaneamente cercava di blandirne la nuova upper class con una politica sui visti di ingresso meno rigida, il presidente cinese ha opposto un'azione assai più impressionante. Da un lato ha stretto un nuovo accordo con la Russia per la fornitura di 30 miliardi di metri cubi di gas annui (che si sommano ai 38 concordati nella primavera scorsa). Si tratta di un accordo che, a regime, porterà la Russia a fornire quasi un quinto del fabbisogno di gas cinese. Intendiamoci bene, la Cina resta un Paese il cui bilancio energetico resterà ancora sbilanciato fortemente a favore del carbone, per cui quel 20% è un dato significativo ma che va parametrato su questo sfondo. In secondo luogo, rispetto alle vaghezze del Tpp, Pechino ha continuato a lavorare sul suo progetto di un Free Trade Agreement for Asia-Pacific (Ftaap) che ovviamente includerebbe la Cina (oltre agli Stati Uniti) e che sembra attirare maggiori consensi del Tpp. Esso infatti sembra in grado di offrire una sponda regolata e non di rottura rispetto a quel sentiero di costruzione progressiva di un'egemonia benigna della Cina nell'Asia orientale che diversi osservatori vedono come sostanzialmente inevitabile. Nella mente degli architetti cinesi, una simile istituzione dovrebbe riprodurre, a distanza di circa 150 anni quell'accomodamento dei rispettivi interessi economici e strategici che consentì a Londra e Washington di costituire una vera e propria diarchia nel Pacifico.
Una simile prospettiva, evidentemente, necessita dell'attiva collaborazione dei principali Paesi della costa asiatica del Pacifico. In tal senso, i colloqui con il primo ministro giapponese Shinzo Abe assumono una levatura che è difficile non definire "storica". Le relazioni tra Cina e Giappone negli ultimi anni erano drasticamente peggiorate, sia per il contenzioso sulle isole Senkaku/Diaoyu, sia per l'atteggiamento della leadership giapponese, assai più in difficoltà di quella cinese a liberarsi degli aspetti più inquietanti del proprio passato. Le dichiarazioni rese ieri congiuntamente dai due leader aprono la strada alla possibilità di un netto miglioramento della situazione. Analogamente, il trattato di libero scambio tra Cina e Corea del Sud rafforza la sicurezza stessa di Seul, sempre minacciata dall'erratico vicino del Nord. È appena il caso di segnalare che queste due mosse segnalano il crescente avvicinamento a Pachino (e alla sua concezione di ordine regionale) i due pilastri della presenza americana nel Pacifico. Forse gli storici del futuro collocheranno in vertice Apec l'inizio dell'era del dragone nel Pacifico.

Il vertice Apec Pechino si riavvicina a Tokyo
Prima stretta di mano tra Xi e Abe dopo due anni di alta tensione
di Rita Fatiguso Il Sole 11.11.14
PECHINO È stato il "giorno perfetto" del presidente Xi Jinping. Quello in cui gli è riuscito di chiudere una sfilza di spinosi dossier e, per giunta, sotto gli occhi degli altri capi di Stato e di Governo arrivati qui per il 25° Apec Summit 2014.
I riflettori del mondo intero sono puntati in questi giorni su Pechino, non sono ammessi passi falsi. L'elenco di Xi parte dalla contromossa di mettere la sordina alle tensioni con il Giappone, continua con la sigla dell'accordo di libero scambio con la Corea del Sud e passa anche dalla conferma dell'endorsement politico del governatore di Hong Kong al quale concede, finalmente, una data per l'avvio degli scambi incrociati tra le borse di Hong Kong e Shanghai: la deadline ufficiale è il prossimo 17 novembre.
Intanto nel weekend Xi Jinping ha rinsaldato l'alleanza con il presidente russo Vladimir Putin, che gravita sempre di più nell'orbita cinese fornendo a Pechino altro gas necessario ad affrontare il prossimo decennio, ma non prima di aver chiuso con il Canada il primo swap currency miliardario in yuan di tutto il Nord America.
Con un gesto memorabile, soprattutto, Xi ha accolto nella Great Hall of People, il Santa Sanctorum del potere cinese tutto velluti, specchi e lampadari, il premier giapponese Shinzo Abe.
È la prima volta dal 2012, nella foto di rito il volto di Xi non sprizza certo di gioia ma quella stretta di mano è l'architrave di una svolta strategica non da poco. Svolta preannunciata dall'accordo in quattro punti tra Cina e Giappone imperniato sulla sicurezza, inclusa quella dei mari del Sud della Cina dove si trovano le isole contese Senkaku-Diaoyu, per le quali Tokio e Pechino sono ripetutamente entrate in rotta di collisione. I media cinesi hanno dipinto finora il nazionalista Shinzo Abe come il male assoluto, ora il presidente cinese Xi Jinping gli concede urbi et orbi la possibilità di riaprire il dialogo.
Nel frattempo, però, Pechino ha annunciato la firma dell'accordo di libero scambio con la Corea del Sud, il vicino asiatico che vanta la leadership delle esportazioni in Cina, al contrario del Giappone che nella prima metà dell'anno ha registrato un crollo pari alla metà dei volumi esportati.
Si è trattato di un'altra mossa a sorpresa concretizzata a ridosso del vertice Apec China 2014, proprio quello in cui la Cina ha ottenuto la riapertura del dossier sul Free trade Asia Pacific agreement (FTAAP), il trattato multilaterale sbandierato come la soluzione migliore per tutta l'area. Dal canto loro gli Usa proprio in queste ore continuano a insistere sul Tpp, il Trans pacific partership, l'accordo regionale definito da Obama come un fatto assolutamente straordinario. Gli americani vorrebbero chiuderlo entro l'anno, ma mentre negoziano febbrilmente con il Giappone la Cina sigla un accordo bilaterale che, secondo il presidente coreano Park, «crea ottime prospettive di crescita a lungo termine, anche perché la Corea vanta un ampio surplus commerciale nel commercio con la Cina».
Il gesto va interpretato come un segno di importanza della Cina per l'economia della Corea del Sud e c'è chi stima che il patto potrebbe far lievitare il Pil della Corea del Sud di una percentuale pari a tre punti nei prossimi 10 anni.
Il presidente Xi Jinping continua dunque ad avere in mano il pallino e dimostra di saper giocare d'anticipo sui concorrenti spegnendo i vari focolai. Infatti, un altro elemento cruciale di tensione estrema delle ultime settimane è stata la questione Hong Kong. Partecipando alla tavola rotonda del Ceo Summit, il governatore Leung CY aveva detto lunedì di aver incontrato il presidente Xi e di avergli chiesto di avviare quanto prima il bridge tra le borse di Shanghai e Hong Kong, rimasto in panne a causa anche della rivolta degli studenti. Un'altra svolta eccezionale e lungamente attesa, dunque, ha trovato una soluzione, dal 17 novembre iniziano gli scambi e le quotazioni incrociate tra le due borse. Per Leung è la prova che Xi lo sostiene, per Xi il via libera all'operazione ha una forte valenza politica: dando impulso concreto a una difficile riforma finanziaria il presidente dà un segnale forte sulla capacità della Cina di realizzare il cambiamento. Come ha detto Leung «Hong Kong non ha nulla da temere, la decisione contribuirà, anzi, a fare di Hong Kong un luogo ideale in cui basare attività e risorse finanziarie, potenziando il ruolo di Hong Kong come hub di elezione per l'utilizzo dello yuan».

2 commenti:

massimo z ha detto...

Perchè chiamare rivoluzione il conflitto strategico tra élite in un mondo multipolare? Saluti

materialismostorico ha detto...

Il conflitto politico-sociale passa anche per il conflitto strategico tra elite. Consiglio a questo proposito il libro di Losurdo su La lotta di classe, nel quale questo concetto viene profondamente ridefinito.