domenica 2 novembre 2014

Valery su Voltaire


Liberi grazie a Voltaire 
Un ritrattto inedito di un grande francese: più che filosofo, benefattore del genere umano attraverso le lettere
2 nov 2014  Il Sole 24 Ore Di Paul Valéry 
La vita stessa di Voltaire ha l’aria d’un racconto fra i suoi racconti. C’è vaudeville , favola, riflessi di dramma e apoteosi nella sua storia. Si fa ammirare, adorare, aborrire, odiare e venerare, bastonare e incoronare, con una sorta di padronanza enciclopedica nell’arte di suscitare i sentimenti più diversi, di crearsi dei nemici mortali, dei devoti e dei fanatici, di non essere indifferente a nessuno, mentre niente d’umano gli è estraneo, e una curiosità mai soddisfatta lo tormenta. Tutto eccita il suo desiderio di conoscere, di ridimensionare, di combattere; tutto gli è nutrimento, e gli serve ad alimentare quel fuoco così chiaro, così vivo, dove ha corso una perpetua trasformazione, dove s’avvicendano gli entusiasmi, dove il talento scompositivo scioglie ogni apparenza di verità che permane nel secolo e ancora s’impone alla pigrizia delle menti. I filosofi dopo di lui non lo vorranno filosofo. Gli rifiutano un rango che tutto il suo tempo gli assegnava. Pensano, forse, che un filosofo è un uomo che s’attarda sui termini, come se le parole avessero più consistenza e profondità dello spazio e dell’istante mentale nel quale s’accendono in ciascuno. Ma Voltaire vola su tutti costoro. Forse avverte troppo acutamente, con tutta la sua indole nervosa, che un valore dello spirito non dura più d’un lampo, e che lo spirito è vita, e la vita essenzialmente transitiva. No, non è un filosofo. È un uomo che s’è cimentato in tutti i generi, li ha toccati tutti, tragedia, epigramma, storia, epopea, racconto, saggio e quella sterminata corrispondenza; un uomo che ha reso Shakespeare di moda, assicurato e fissato la gloria di Racine; che ha celebrato del suo meglio, studiato e persino cantato Newton; che ha sbertucciato Leibniz, mosso contro le religioni una sorta di guerriglia perpetua; ma eretto e dedicato a Dio stesso una piccola chiesa, all’ingresso della sua dimora di Fernay: DEO EREXIT VOLTAIRE. Un uomo che ha tanto scritto e sul quale si è tanto scritto, di cui si può dire tanto bene e tanto male – come è stato fatto –, un uomo sul cui conto Joseph de Maistre che lo ammira e lo detesta, pronuncia questa sentenza in forma d’antitesi dove mette insieme la sua dottrina e il suo gusto: «Vorrei» dice «fargli erigere una statua... di mano del boia». No, non è affatto un filosofo questo diavolo d’uomo, di cui mobilità, risorse e contraddizioni fanno un personaggio cui soltanto la musica, la musica più viva potrebbe tener dietro, seguire fino alla fine, fino a quell’ora in cui non potendo tener fermi i suoi ottantaquattro anni, si fa portare a Parigi, nel teatro dove lo aspetta il trionfo. Lo si incorona. Muore, e questo demolitore d’idoli, muore idolo lui stesso. Ma così come i filosofi l’hanno esiliato dalla loro filosofia, così i poeti, quelli che presto verranno, i figli del nuovo secolo, gli rifiuteranno il divino dono della poesia. Gli troveranno un’aridità, un’assenza di calore e colore, uno scetticismo desolante. È vero che a noi sembra poco musicale e i suoi versi troppo conformi al detestabile parere di d’Alembert che aveva osato indicare come migliori i versi che più s’approssimano a una buona prosa. 
Ma chi sa come l’avvenire giudicherà i Romantici, a loro volta? Ronsard, al tempo di Voltaire, era in una condizione disperata; e Racine parve ben in affanno verso il 1840. Nell’eternità letteraria, i più morti hanno qualche possibilità di rivivere; i più amati d’una volta sono anche i più esposti a dissolversi ben presto nelle biblioteche dell’oblio. Quasi tutti questi argomenti contro Voltaire s’indirizzano insomma a quell’eccesso d’intelligenza che ebbe. Poiché ne aveva tanta, era dunque superficiale. E poiché aveva troppo ingegno, di certo mancava di cuore. Questi sono i giudizi del mondo. Ma, contrariamente al proverbio, nessuno ha più acume di Voltaire, e accade che siano tutti piuttosto stupidi. I fatti, ahimè, che sono in definitiva l’effetto dell’azione di tutti su tutti, troppo spesso sono lì a dimostrarlo. Ma il nostro uomo di spirito per antonomasia, a un tratto, e quando sta per entrare nell’ultimo terzo della sua vita, e come se tutto questo acume non gli fosse stato dato, ed egli non l’avesse esercitato, né gli avesse dato forma, né lo avesse affilato e acuminato per quarant’anni per farne un’arma destinata alle battaglie più nobili, si scopre una vocazione e un ardore inediti. Lo dicono arido e superficiale, e sia! Ma quanta gente profonda, quanti uomini sensibili hanno fatto per gli uomini in generale quel che fece allora questo scettico, questo versatile Voltaire? Bisogna pur riconoscere che il suo «orrido sorriso» ha messo in luce e avviato la rovina di molte orride cose. Per la sua immortalità, il fatto decisivo della sua carriera è questa metamorfosi in amico e difensore del genere umano. All’età in cui le carriere di regola si concludono, quando aveva ormai acquisito tutta la fama che le Lettere possono dare a qualcuno, ammirato dovunque, ricco, non avendo più che da godere di quella universalità leggera, alla ribalta nel clima enciclopedico del suo tempo, così eccitante per l’intelligenza e di cui quel tempo fu l’età dell’oro, eccolo trasformarsi in colui che celebriamo oggi. Fosse morto a sessant’anni, sarebbe oggi pressoché dimenticato e non saremmo solennemente qui a rendere omaggio all’autore di Merope, di Zaira e della Enriade. Noi sappiamo bene che il vero oggetto di quest’incontro non è tanto la commemorazione della nascita di un uomo illustre, l’omaggio a quest’uomo e alla sua opera, per cospicua e brillante che sia, quanto d’esaltare fra noi, Francesi, quella che fu la sua passione più costante e generosa, quella della libertà di pensiero. 
Noi sappiamo quanto vale questa libertà. Noi sappiamo quanto costa. Ma dovremmo forse sapere meglio che il suo più degno impiego, e il suo banco di prova, e la garanzia della sua durata sono nei limiti che deve essa stessa tracciare al suo potere tanto prezioso e tanto temibile di rimettere ogni cosa in questione. Questa libertà è in pericolo, è perduta quando oltrepassa quelle frontiere talvolta difficili da individuare.

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