giovedì 4 dicembre 2014
Salvatore Veca dal "Saggio sul programma scientifico di Marx" a testimonial dell'Expo
Il filosofo tiene domani una lecture sul “Patto della Scienza”: il progetto internazionale che anticipa l’appuntamento milanese del prossimo anno
Lab Expo Veca:“Mangio dunque sono”
Dal Simposio di Platone all’ Ultima cena di Leonardo Nutrirsi è elemento fondante dell’identità di un popolo e fattore di coesione sociale», dice Salvatore Veca
di Antonio Cianciullo Repubblica 4.12.14
Il dibattito sul cibo, con l’alternarsi di note che affascinano e
spaventano, seducono e minacciano, è materia da tecnologi o da filosofi,
da biologi o da antropologi? A porsi queste domande è stato il
Laboratorio Expo, un’iniziativa della Fondazione Feltrinelli e di Expo
Milano 2015 avviata nell’autunno del 2013 e destinata a concludersi a
fine aprile. E la conclusione venuta fuori in questo anno di lavoro -
sintetizzata domani nel secondo Colloquio internazionale che ha
coinvolto più di cento ricercatori - è che una risposta può venire solo
mettendo assieme i vari punti di vista.
«Abbiamo sviluppato quattro aree di analisi: il cibo come filiera, il
cibo come cultura, il cibo come fonte di squilibri sociali, il cibo in
bilico tra campagna e città», racconta Salvatore Veca, coordinatore
scientifico del Laboratorio Expo. «Sintetizzare le conclusioni non è
facile perché ognuno di questi temi meriterebbe un libro, ma si può
provare a estrarre alcuni elementi del ragionamento per misurare
l’importanza dell’alimentazione e il suo ruolo strategico. Partiamo
dalle radici: dal Simposio di Platone all’ Ultima cena l’atto della
nutrizione si configura come un elemento fondante dell’identità di una
popolazione o di un gruppo».
Il mantenimento delle tradizioni gastronomiche costituisce un aspetto
centrale della stabilità culturale di un Paese o di una regione. E
tuttavia il cibo è anche un brand formidabile capace di penetrare nuovi
mercati. Dunque lo scambio, la contaminazione (fusione se vogliamo usare
un termine più adatto al tema), è parte ineludibile del presente; ma il
rispetto delle tradizioni alimentari è necessario per il mantenimento
degli equilibri sociali e ambientali che su queste tradizioni si sono
costruiti nei secoli. Come uscire dalla contraddizione? «La risposta è
semplice in teoria, difficile nella pratica: bisogna imparare a far
convivere culture diverse senza permettere sopraffazioni «, continua
Veca. «Locale e globale devono poter coesistere nello stesso tempo e
spazio. Il che vuol dire che non possiamo accettare soluzioni
monopolizzanti che cancellino il diverso: una ricetta unica, a livello
globale, è un incubo. Bisogna mantenere l’equilibrio tra noi e gli
altri, con una linea di demarcazione che passa per un confine mobile, in
continuo movimento perché continuamente ci si adatta. Il cibo può
essere usato per costruire ponti o per erigere muri. Sta a noi
scegliere».
Sul cibo come elemento di coesione sociale si sono schierate con
decisione le Nazioni Unite. Nel documento preparato dall’Onu per la
partecipazione a Expo 2015 si pone l’accento sull’importanza del
sostegno ai contadini che nel mondo difendono le tradizioni
dell’agricoltura e una biodiversità creata nei millenni ma oggi a
rischio. «Se le filiere alimentari vengono monopolizzate da grandi
multinazionali l’effetto può essere negativo sia in termini di stabilità
sociale che dal punto di vista della possibilità di mantenere il nostro
patrimonio genetico», continua Veca. «Il rischio è perdere una
ricchezza costituita da risorse sicure - perché testate da millenni di
evoluzione - in grado di dare una risposta ai nuovi bisogni di sicurezza
creati dallo squilibrio del ciclo idrico».
La convivenza tra passato e futuro passa anche dalla profonda mutazione
del rapporto tra città e campagna. Dal 2007 si è sovvertito un dato
costante lungo tutta la storia umana: gli abitanti delle città,
storicamente una piccola minoranza, si sono trasformati in maggioranza
assoluta. E in questo nuovo contesto si parla sempre più spesso di
produzione agricola urbana, con modelli che vanno dagli orti cittadini
alle vertical farm. È una prospettiva reale?
«Al momento l’ipertrofia tecnologica urbana appare una prospettiva poco
concreta», risponde Veca, «mi sembra più probabile una simbiosi tra le
smart cities e le slow cities. Città in cui il livello tecnologico
aumenta ma contemporaneamente si sviluppano forme agricole che
rilocalizzano il processo di produzione del cibo all’interno delle aree
urbane attraverso la riqualificazione di spazi abbandonati o degradati».
Una sorta di rammendo dei quartieri che hanno perso vecchie funzioni e
possono acquistarne di nuove collegandosi alla domanda di cibo di
qualità .
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