lunedì 12 gennaio 2015
Il secolo del confronto tra Stati Uniti e Cina. Ancora sul libro di Kissinger
Per
l'ex segretario di Stato americano l'equilibrio globale sarà
determinato da come la grande potenza in carica e quella emergente
sapranno convivere
di Ugo Tramballi Il Sole Domenica 11.1.15
«La storia della gran parte delle civilizzazioni è un racconto di ascesa
e di caduta d'imperi», tenta di semplificare Henry Kissinger. Rendere
comprensibili l'affermarsi di una potenza e le cause del suo declino;
illustrare le dinamiche che provocano i conflitti e creano gli ordini
mondiali; spiegare perché ora è il disordine, più di un ordine, che
governa le relazioni internazionali. È questa la missione ambiziosa
dell'ultimo saggio dell'ex segretario di Stato americano.
World Order, che non è ancora stato tradotto in italiano, inizia la sua
narrazione contemporanea dalla pace di Westfalia del 1648: «Quasi tutti i
re affermarono di governare per diritto divino, accettando che Dio
avesse ugualmente dotato molti altri monarchi» è la folgorante
semplificazione di quel trattato che ancora definisce i fondamenti delle
relazioni fra Stati.
Già Cina (Mondadori 2012) era un promemoria per i sinologi e
contemporaneamente un testo fondamentale per chi volesse studiare
l'emergente potenza asiatica. World Order è un testo imprescindibile per
gli specialisti e una necessaria introduzione al mondo e alle sue
principali regioni politiche per tutti gli altri: Europa, Russia, Islam,
India, Cina, Stati Uniti. Nulla di nuovo, nella cadenza storica dei
protagonisti. Ma in Kissinger c'è la capacità di descrivere l'essenza
dei problemi con sintetica profondità. «Tutto della Russia – il suo
assolutismo, le dimensioni, le ambizioni e le insicurezze globali –
rappresenta un'implicita sfida al concetto tradizionale europeo di
ordine internazionale, costruito sull'equilibrio e il riserbo». Oppure
il secolare problema americano nel chiarire il rapporto fra il suo vasto
potere e i suoi principi morali: «Quando praticavano ciò che altrove
era definito imperialismo, lo chiamavano "compimento del nostro destino
manifesto di diffondere la Provvidenza"».
Ogni regione del mondo ha le sue criticità ma per Henry Kissinger, di
natura un "westfaliano" ma troppo realista per ancorarsi a un solo
schema, il nuovo ordine sarà determinato da come la grande potenza in
carica e la nuova, emergente, sapranno convivere. «L'approccio americano
alla politica è pragmatico; quello cinese concettuale. L'America non ha
mai avuto un potente nemico alle frontiere; la Cina non è mai stata
senza un potente avversario alle frontiere. Gli americani reputano che
ogni problema abbia una soluzione, i cinesi che ogni soluzione sia un
biglietto d'ammissione a una nuova serie di problemi». Nonostante uno
studio di Harvard dimostri che in 15 casi storici quando una potenza
stabilita e una emergente interagiscono sia scoppiata una guerra,
Kissinger è ottimista.
Il realismo kissingeriano cede invece al pessimismo riguardo all'era
digitale che rende difficile distinguere tra informazione, conoscenza e
saggezza. Per essere più chiaro Kissinger cita T.S. Eliot: «Where is the
life we have lost in living? Where is the wisdom we have lost in
knowledge? Where is the knowledge we have lost in information?». Quando
migliaia di cittadini invocano in rete le dimissioni di un governo o un
intervento militare a fini umanitari, questa è un'espressione di
democrazia automatica che impone il sostegno morale e politico
occidentale. Ma in questo modo, dice Kissinger, «la diplomazia rischia
un intervento indiscriminato, disconnesso dalla strategia. Enuncia
assoluti morali a una platea globale prima che sia possibile stabilire
le intenzioni degli attori centrali, le loro prospettive di successo o
l'abilità di realizzare politiche a lungo termine». Il danno maggiore
dell'era digitale, conclude Kissinger, sarà di produrre leader deboli,
«riluttanti a esercitare una guida indipendente dalle tecniche di
ricerca di un database».
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