martedì 20 gennaio 2015

Jared Diamond sulle scienze sociali

Da te solo a tutto il mondoJared Diamond: Da te solo a tutto il mondo.  Le sfide della società contemporanea , Einaudi, pagg. 130, euro 13
Risvolto
Perché alcuni paesi sono ricchi, mentre altri sono poveri? In che modo le istituzioni possono influenzare il buon andamento di un sistema economico? E qual è stato il ruolo della storia, nella formazione ed evoluzione dei diversi ordinamenti pubblici? Perché la Cina cresce a un ritmo cosi vertiginoso? Cosa possiamo imparare confrontando una crisi "personale" con una crisi di portata nazionale? Come ci rapportiamo al pericolo e in che modo le popolazioni "avanzate" si differenziano dalle società tradizionali, quando si tratta di gestire un'emergenza? Quali insegnamenti, a livello di stile di vita e benessere, possiamo ricavare dall'osservazione dei popoli "arretrati"? Quali saranno le sfide globali del prossimo futuro? "Da te solo a tutto il mondo" raccoglie in unico volume gli interventi dell'autore. Sette capitoli di per affrontare le grandi domande del nostro presente e raccontare "il fascino, le difficoltà e l'importanza delle scienze sociali".

L’antropologo Diamond difende la sua categoriaPerché noi non siamo scienziati di serie B
Il progresso non si ottiene solo con gli esperimenti di laboratorio che tanto piacciono ai chimici
La conoscenza del mondo reale, che è il fine della ricerca, ammette il ricorso ad altri metodi

di Jared Diamond Repubblica 20.1.15
POVERI studiosi delle scienze sociali! Poveri antropologi, psicologi clinici, economisti, storici, antropogeografi, sociologi ed esperti di scienze politiche: le loro discipline non consentono di effettuare esperimenti controllati e rigorosi, dunque non potranno mai fornire risposte decisive. La scienza non ammette altro metodo fuorché quello sperimentale, che consiste nel manipolare un campione (per esempio versando una sostanza chimica in una provetta) e nel comparare i risultati dell’esperimento con un campione di controllo, del tutto identico ma non modificato.
Certi scienziati, come i chimici o i biologi molecolari, sostengono che gli esperimenti manipolativi controllati siano il marchio di garanzia della vera scienza. Le loro, dicono, sono “scienze dure”: la ricerca nel campo delle scienze sociali è “molle”, dunque difettosa. Grazie alla superiore qualità del metodo sperimentale, le scienze “dure” hanno trovato risposta agli interrogativi più minuziosi [...]. Gli scienziati sociali, invece, non sanno rispondere con certezza neppure alle domande più fondamentali: non sanno dirci, ad esempio, perché certe nazioni siano ricche e altre povere. Se anche loro si decidessero a impiegare il metodo sperimentale, di certo farebbero passi da gigante!
Consideriamo per esempio un problema delle scienze sociali che interessa molto i miei lettori italiani: perché in Italia il Sud è da sempre più povero del Nord? [...] Ho una proposta da farvi: proviamo a immaginare che un abitante della Nebulosa di Andromeda, un essere dai poteri quasi illimitati, addestrato ai metodi della scienza sperimentale presso le migliori università della sua galassia, venga a visitare la Terra. Messo al corrente delle differenze tra il Nord e il Sud dell’Italia, l’ospite extraterrestre appronterebbe lì per lì un protocollo sperimentale utile a identificare le cause del fenomeno. Per misurare l’importanza dei fattori geografici, spargerebbe sulla Sicilia i ricchi suoli alluvionali della valle del Po; rimossa quindi l’isola dalla sua attuale, infelice collocazione, la deporrebbe poco a sud di Genova, appena sotto il limite costiero della prosperosa Italia settentrionale. Per valutare il peso delle eredità sociali del passato, il nostro visitatore riavvolgerebbe il nastro della storia con l’aiuto di una macchina del tempo, cancellando ogni traccia delle dominazioni normanna e borbonica; quindi ucciderebbe tutti i presunti affiliati alla mafia residenti nell’Italia sudorientale (ma non in quella sudoccidentale) e trapianterebbe centomila mafiosi nelle regioni nordorientali del paese, dotandoli di fondi illimitati e affidando loro il compito di propagare la corruzione e il malaffare. L’Italia nordoccidentale, non manipolata dall’esperimento, servirebbe da variabile di controllo per le regioni nordorientali; le regioni sudoccidentali svolgerebbero la stessa funzione nei confronti delle regioni sudorientali, e tutto il Sud dell’Italia continentale servirebbe da controllo per la Sicilia traslocata al Nord. Dopo quarant’anni, il nostro scienziato andromediano tornerebbe sulla Terra per misurare il livello di benessere economico dei suoi campioni da esperimento: confronterebbe la ricollocata Sicilia con la parte continentale dell’Italia meridionale, le regioni del Nordest contaminate dalla mafia con il Nordovest liberato dal contagio, il Sudest “demafiosizzato” con il Sudovest ancora infestato dalla criminalità organizzata. Tutto ciò gli consentirebbe di individuare, al di là di ogni possibile dubbio, le origini delle disparità economiche tra Italia meridionale e settentrionale, proprio come i biologi molecolari hanno individuato la funzione del centotrentasettesimo amminoacido della beta-galattosidasi.
Ma ahimè, c’è un piccolo problema: la mia modesta proposta è immorale, illegale e impraticabile. Molti esperimenti potenzialmente decisivi nel campo delle scienze sociali hanno il medesimo difetcomunissimo to: sono immorali, illegali e impraticabili. Dobbiamo dunque rinunciare a ogni speranza di progresso in questo ambito della conoscenza? Com’è ovvio, la risposta è no. Il progresso scientifico non si realizza soltanto grazie agli esperimenti di laboratorio controllati che tanto piacciono ai chimici e ai biologi molecolari. La conoscenza del mondo reale, che è poi il fine ultimo della scienza, ammette anche il ricorso ad altri metodi.
Ho imparato questa grande verità intorno ai ventisei anni, cioè nel periodo della mia vita in cui la passione per gli uccelli stava cominciando a trasformarsi da semplice hobby in serio interesse accademico. Il dottorato di ricerca in fisiologia conseguito un anno prima dimostrava che tra i ventuno e i venticinque anni ero stato addestrato a risolvere i problemi relativi al mio ambito di studi tramite ben congegnati esperimenti scientifici. [...] Quando poi ho cominciato a studiare gli uccelli della Nuova Guinea ho constatato che sul piano sintattico i problemi della nuova disciplina non erano affatto diversi da quelli della fisiologia. Uno di questi, per esempio, riguardava il passeriforme noto come pigliamosche dorsoverde e la sua capacità di influenzare (e se sì, in quale misura) la consistenza delle popolazioni dell’altrettanto comune pigliamosche dorsogrigio. Applicando il metodo delle scienze “dure”, avrei potuto risolvere la questione in quattro e quattr’otto: sarebbe bastato uccidere tutti i pigliamosche dorsoverde che vivevano in una certa zona e misurare le eventuali variazioni nella popolazione di pigliamosche dorsogrigio, finalmente liberi dalla concorrenza dei cugini dorsoverde. Ma c’era un problema: l’esperimento, benché decisivo, era altrettanto immorale, illegale e impraticabile di quello che un immaginario andromediano avrebbe potuto effettuare traslocando la Sicilia e trapiantando o uccidendo i mafiosi. Di fatto, dovevo trovare un altro metodo per risolvere i miei dubbi ornitologici.
L’alternativa agli esperimenti manipolativi controllati c’era già, ed era un metodo ampiamente diffuso nelle scienze sociali: il cosiddetto esperimento naturale. Invece di creare un ambiente artificiale privo di pigliamosche dorsoverde, cominciai dunque a osservare diversi ambienti montani della Nuova Guinea: scoprii che alcuni ne sostenevano la diffusione, altri no. Negli ambienti in cui non c’erano pigliamosche dorsoverde la popolazione di pigliamosche dorsogrigio era del trenta per cento più abbondante, in quanto libera di estendersi anche alle quote che negli ambienti popolati da entrambe le specie erano occupate dai pigliamosche dorsoverde. Ma naturalmente anche gli esperimenti naturali, come quelli manipolativi, presentano problemi. Nel caso dei pigliamosche, per esempio, per confermare che l’assenza naturale di pigliamosche dorsoverde era alla base dell’aumento della popolazione di pigliamosche dorsogrigio, e non una semplice causa correlata, si sono resi necessari altri studi sul campo.
Come ho detto, gli esperimenti naturali sono un normale strumento delle scienze sociali. [...] Il primo esempio che ci viene in mente è quello della Germania, unificata fino al 1945 e poi divisa in due nazioni i cui governi e istituzioni, tra il 1945 e il 1990, hanno creato incentivi economici alquanto dissimili, a loro volta responsabili di livelli di benessere molto differenti. [...] In altri casi gli esperimenti naturali mettono a confronto entità che si differenziano sotto vari punti di vista, e non soltanto in relazione a un’unica variabile dominante. Se per esempio volessimo misurare gli effetti della latitudine sul benessere economico delle nazioni, non sarebbe corretto paragonare un solo paese situato alle basse latitudini (diciamo lo Zambia) con un altro che si trovi a latitudini maggiori (diciamo l’Olanda), perché la distanza dall’Equatore non sarebbe l’unico elemento di diversità. Tuttavia una comparazione tra decine di nazioni ubicate a diverse latitudini ci permetterebbe di constatare senza ombra di dubbio che i paesi delle zone temperate, situati alle latitudini più alte, sono in media due volte più ricchi delle nazioni tropicali che si trovano alle latitudini più basse. (Traduzione di Anna Rusconi e Carla Palmieri) © 2-014 Jared Diamond. All rights reserved © 2-015 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino



Jared Diamond Umanesimo sperimentale
di Sandro Pagnini Il Sole Domenica 22.3.15
Jared Diamond è uno di quegli scienziati che vale sempre la pena leggere, anche nelle sue opere non strettamente di ricerca, dove riesce a far convergere gli interessi e le competenze più diversi, e dove rivela una sua encomiabile disposizione alla curiosità, al racconto; nel caso di questo libretto, all’improvvisazione intelligente su tema. Diamond è stato professore di Fisiologia alla Ucla Medical School. Ha intrapreso una carriera di ornitologo e etologo soggiornando soprattutto nella Nuova Guinea e nelle isole vicine. Più tardi è diventato uno storico ambientale, e infine professore di Geografia sempre alla Ucla. In Italia non siamo molto abituati a questo tipo di figure professionali, e lasciamo in genere che siano i comunicatori, quelli ben informati ma anche dotati di un certo fiuto, a mettere insieme le conoscenze più disparate per offrire sintesi e spunti di riflessione creativa; che però sono cose ben diverse dalla ricerca. E nella ricerca, invece, siamo assai poco disposti alle collaborazioni interdisciplinari, rese quasi impraticabili dalla moltiplicazione di Dipartimenti “monadi” e dalla frammentazione e specializzazione dei settori disciplinari nei concorsi universitari. Ecco perché, forse, Diamond, venendo l’anno scorso ospite in Italia alla Luiss di Roma (tornerà ospite dell’Università di Firenze e di Pistoia il prossimo ottobre), ha tenuto in quella sede lezioni che fossero di interesse vivo per la nostra cultura e per la nostra politica, dalle quali ha tratto queste pagine: su temi come le ragioni del divario tra zone ricche e zone povere, tra nord e sud; o l’incidenza delle buone istituzioni e dei governi onesti sul benessere degli stati; o l’economia cinese (cui il nostro paese è forzatamente sempre più interessato per la massiccia immigrazione); o i nessi tra le crisi che investono gli stati nazionali e le crisi che gli individui incontrano nella loro vita quotidiana. Ottimi argomenti, ognuno dei quali rappresenta, potremmo ben dire, un “nervo scoperto” per noi italiani, che leggiamo queste pagine come una benefica (e benevola) provocazione, non soltanto a guardare in faccia i nostri problemi, ma soprattutto a guardarli armati di strumenti analitici e scientifici più idonei.
E infatti la prima lezione che Diamond ci vuole impartire riguarda il metodo delle scienze sociali. Se gli antropologi, gli psicologi, i sociologi e anche gli economisti (ma quanti, in Italia, sarebbero disposti a considerare l’economia una scienza sociale? ); dicevo, se gli scienziati sociali, per la natura del loro oggetto di ricerca, non possono valersi, se non in casi rari, di experimenta crucis e di trial controllati, se non possono manipolare, per esempio, un campione di una popolazione per comparare i risultati con un campione di controllo senza incorrere almeno in insormontabili problemi etici, non per questo devono necessariamente affidarsi a narrative, a mere interpretazioni di significati, a “decostruzioni”; come se l’ambito di cui si occupano non potesse, di principio, far parte della scienza, bensì solo di una cultura umanistica da sempre considerata avversa alla scienza, e superiore in quanto più duttile verso i suoi oggetti (che, quando si parla di azioni e pratiche umane, sono dei “soggetti”). Ma gli scienziati sociali osservano, come del resto si osserva in astronomia senza manipolare un bel nulla, e, nei loro esperimenti mentali, possono servirsi egualmente delle scienze “esatte”, anche con un po’ di matematica e di calcolo delle probabilità, in combinazione con altri modelli interpretativi, per spiegare i loro oggetti. E soprattutto si possono servire di “esperimenti naturali”, che non creano ambienti artificiali, ma approfittano di quella artificialità che in qualche caso la storia realizza (per esempio, una Germania unita che dal ’45 al ’90 diventa divisa) per sperimentare quasi con l’esattezza, e senz’altro nello stesso spirito, di quando si sperimenta immergendo «una cistifellea in due soluzioni, una contenente potassio, l’altra no». Dunque, ci insegna Diamond, si deve mantenere una forma mentis scientifica anche quando si fanno scienze umane e sociali; non rinunciando mai al massimo dell’oggettivazione dei problemi, e senza farsi intimidire dalla acclarata “disunità” della scienza. Anzi, da tale disunità si trae occasione per far collaborare tutte le scienze nel porre correttamente e nello spiegare i problemi, perché ognuna di esse, dalla fisica alla filologia, è portatrice di un punto di osservazione che può illuminare. Nel sottotitolo del libro si legge di un ornitologo che osserva le società umane. Ma, è giusto ricordare, quell’ornitologo era lo stesso Diamond che, da sociobiologo, aveva osservato gli uccelli. Questa circolarità virtuosa non significa relativizzazione dei punti di vista, e vuol dire bensì concentrare (aristotelicamente, e soprattutto secondo quanto prescrive un programma di ricerca ispirato alle teorie evoluzionistiche) tutte le nostre conoscenze per porre correttamente gli oggetti di cui si parla e per trovarne una spiegazione. Come dicevo, gli italiani, leggendo queste pagine, sentiranno il pungolo di risolvere qualche problema di governance capendo quanto istituzioni non corrotte portino ricchezza; d’altra parte, si sentiranno lusingati a sapere (ma già lo sapevano, forse confortandosi anche troppo) quanto la nostra dieta mediterranea meglio si adatti agli stili di vita dei paesi a economie avanzate. Ma si spera facciano tesoro di un’altra lezione, non esplicita nel libro, ma che si legge chiaro tra le righe: quanto una cultura scientifica e una ricerca “disinteressata” siano fondamentali per la crescita o almeno per il mantenimento di una ricchezza che, come Diamond ricorda sia a noi che ai suoi connazionali americani, potremmo perdere per mera ignoranza.

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